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martedì 16 settembre 2025

Halloween in anticipo: Weapons | Bring Her Back | 28 anni dopo | So cosa hai fatto | Heretic

Era stato etichettato come l'horror dell'anno ancora prima di arrivare al cinema. Al battage pubblicitario, poi, si sono aggiunti gli incassi: sorprendenti, soprattutto in estate. Che fine hanno fatto diciassette bambini scomparsi nel cuore della notte? Per venire a capo del mistero, Cregger confeziona un film a capitoli, lungo e ambizioso, in cui punti di vista diversi si intrecciano in preparazione del finale: intrattenente, ma al di sotto delle aspettative. Servivano due ore che oscillano dal mystery al grottesco fino allo splatter più puro? Serviva una struttura-puzzle che poco spiega dei personaggi e troppo a lungo maschera, rimanda, dissimula una verità soprannaturale? Più derivativo del previsto — una versione blockbuster di Longlegs, con cenni a Stephen King —, Weapons punta all'iconicità con le sue corse a braccia larghe e le apparizioni terrificanti di zia Gladys. Ma si limita a riproporre in chiave contemporanea le fiabe più oscure dei Grimm, trasformando in una folle corsa a zig-zag un cammino altrimenti linearissimo. Qualcuno si sentirà preso in giro. Qualcuno, invece, si divertirà. Io, nel mezzo, aspetto Together — e mi tengo stretti gli altri film del post. (6,5)

L'horror è il genere che meglio si presta a cambiare pelle. A tormentare. A sviscerare ciò che fa più male. È il caso di Bring Her Back, ritorno alla regia del duo di Talk to Me, che attraverso una trama archetipica — due fratellastri ospiti di una strega cattiva — fruga nelle viscere degli abusi familiari, della disabilità, del trauma, del lutto. Scritto come una fiaba nera, lascia i protagonisti in balia di Sally Hawkins. Sottovalutissima, regala un'interpretazione destinata a trasformarla in una delle villain più memorabili del cinema recente. Coi suoi rituali, con le sue videocassette sgranate, fa una paura matta. E spezza il cuore, in un film dove il sangue — copioso, forse inutilmente — è un inganno per inchiodarci a una parabola alla Hereditary sull'insostenibilità di certe perdite. Non esiste un termine per definire una madre che ha seppellito la propria figlia. Ed è proprio in questo vuoto lessicale che l’horror affonda le mani. Allora non resta che affidarsi al cinema di genere, alla magia nera, per dare una forma — per quanto mostruosa — a tutto ciò che il dolore rende contro natura. (8)

Può un film pieno di morti essere un inno alla vita? Me lo chiedevo l'anno scorso, davanti al prequel di A Quiet Place. L'interrogativo, insieme alla commozione, mi ha seguito anche in 28 anni dopo. Il Regno Unito continua a essere il focolaio di un contagio. I protagonisti utilizzano la terraferma come terreno di ricognizione. Ci sono un padre col complesso dell'eroe (Taylor-Johnson, di nuovo con arco e frecce), una mamma malata (Comer: da nomination) e, soprattutto, un dodicenne contro le regole (l'esordiente Williams, straordinario). Garland stupisce con un romanzo di formazione sanguinoso ma delicatissimo, dove abbondano i cenni alla contemporaneità — il Covid e la Brexit, la mascolinità tossica e l'eutanasia — e Boyle può ricordarci di essere tra i più grandi registi viventi. Tornato alla regia della serie, alterna una prima parte iperviolenta a un prosieguo dal lirismo struggente, dove la vita si annida dappertutto e le ossa impilate ci ricordano che la morte e l'amore, forse, non sono che due teschi della stessa medaglia. (7,5)

Da adolescente, a torto, l'ho sempre trovato la copia sbiadita della saga di Scream. Il tempo mi ha dato torto. A sorpresa, So cosa hai fatto è invecchiato meglio del previsto, e quello arrivato al cinema a metà luglio — a cavallo tra sequel e remake — è un ritorno alle origini che ho trovato delizioso. Il merito spetta a una scrittura fresca e genuinamente divertita, che dialoga con le commedie splatter e omaggia le atmosfere anni Novanta senza però scordare i colpi di scena. Il nuovo cast, in cui brilla l'esilarante Madelyn Cline, si muove sulla vecchia scena del crimine. Tornano i superstiti dell'originale — iconico il cameo di Sarah Michelle Gellar —, ma in un film dove il passato torna a mietere vittime non c'è troppo spazio per la nostalgia. I ricordi ci ammazzeranno tutti. Per fortuna, quelli del film di Jennifer Kaytin Robinson ci hanno salvato dalla noia delle uscite in sala. Da vedere possibilmente al cinema, tra i risolini delle ragazzine e gli avanzi di popcorn. (7)

L'incipit: tra i più classici. Due ragazze giovani e belle bussano alla porta di un uomo misterioso in un giorno di pioggia. Potrebbe essere il prologo di uno dei tanti torture porn. Heretic, invece, è un horror psicologico arguto, cerebrale, originalissimo. Sophie Tatcher e Chloe East sono una coppia di missionarie e Hugh Grant, qui nel ruolo di uno dei villain più memorabili degli ultimi anni, è un padrone di casa che le costringe a un sadico gioco di ruolo. Ai fiumi di sangue, i registi Scott Beck e Bryan Woods preferiscono quelli di parole. Pur non disdegnando scantinati oscuri e stilettate, curano un gioiello dalle atmosfere teatrali e dalle riflessioni caustiche. Il loro film – frutto di dieci anni di lavoro – sintetizza le contraddizioni delle tre grandi religioni monoteiste come un piccolo manuale di teologia, e ci dice che il cristianesimo è solo la copia di mille riassunti. Quale sarà il prossimo aggiornamento? Chi saluteremo come nuovo Messia? Io ho fede in A24. E nell'horror come metafora massima della vita, della morte e di ciò che, sfuggente, c'è nel mezzo. (7,5)

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