Nelle ultime settimane ho recuperato Mare fuori. L'ho visto in apnea. Ne ho parlato a lezione con i miei studenti, citando ora gli amanti rivali di Shakespeare e ora Manzoni, con quella testa calda di Renzo in fuga da Milano. L'ho divorato, ma criticato, facendo riflettere i più giovani sulla romanticizzazione della criminalità, sull'approssimazione della sceneggiatura e della recitazione, ma soprattutto sulla pecca maggiore: perfino nella furia compulsiva del binge watching non può sfuggire la completa assenza di speranza in una produzione pensata per un target adolescenziale. Per i beniamini del pubblico non c'è riscatto: quando escono dall'IPM di Napoli sono destinati o a ritornarci, o a moririre. Ho alternato alla visione l'ultimo romanzo di Silvia Avallone: provvidenzialmente, un'altra storia che similmente parla di carcere minorile, amicizie fatali, giovinezze interrotte. Qui, tuttavia, c'è ciò che manca alla produzione Rai: una riflessione sulla fatica di ricominciare. Non altrove, bensì da sé stessi. Dopo un'adolescenza spesa nel minorile di Bologna, c'è chi non riesce a riscattarsi e si toglie la vita; c'è chi non soltanto si reinventa, ma nel frattempo si è diplomato o finanche laureato; infine c'è Emilia, la protagonista, che in fuga dalla gogna mediatica si rifugia in un eremo irraggiungibile ai confini del Piemonte. A Sassaia non ci sono strade percorribili in macchina, televisori, persone che possano ricordare i dettagli di cronaca. Quel borgo fantasma che ha ospitato streghe, eretici e partigiani conta due abitanti appena: con l'arrivo di Emilia, tre.
Ora ti sembrerà impossibile. Ma io ti garantisco che tutto passa. E, se non può passare, cambia.
La donna, ormai trentunenne, è disabituata al silenzio, alla tecnologia, a uomini che non siano suo padre. Ferma all'estate dei suoi quindici anni, ai poster di DiCaprio e Britney Spears, è la caricatura di una teenager controcorrente, tutta sigarette e scarponi. Reagisce alla libertà come un cerbiatto accecato dagli abbaglianti. Diffidente, non si fida nemmeno di Bruno: un solitario maestro elementare che lascia le castagne migliori in dono ai defunti genitori e combatte l'analfabetismo della valle nell'impossibilità di fare altrettanto coi propri dolori. Leggerà poesie per fare addormentare Emilia. Ci andrà a letto prima di conoscere il suo nome: troppa la fame di calore umano. Si innamorerà di lei, ricambiato, senza conoscerne l'oscurità interiore. Cosa penserebbe lui, vittima dell'ingiustizia, della relazione con lei, carnefice? A raccontarci la loro storia è Bruno, a lungo ignaro, che costruisce la nuova routine di coppia su una fragile bugia in cui hanno entrambi il disperato bisogno di credere. Ma Cuore nero non è soltanto il resoconto di un incontro vissuto con l'entusiasmo febbrile di una seconda adolescenza. È soprattutto l'esame di una coscienza sporca, logora, che per trovare rattoppi ha dovuto conoscere la detenzione: con le sue privazioni, con le sue amicizie e inimicizie, con l'autolesionismo e gli psicofarmaci, ma anche con l'istruzione carceraria.
Ti dicono: “Vai, sei prosciolta”, ma è solo una parola. Come troia e ti odio nel diario dei sedici anni. La verità è che non ti puoi sciogliere da te stessa, che non c'è modo di tornare indietro, sistemare le cose, tirare un sospiro di sollievo e, finalmente, andare avanti.
Grazie alla prof giusta, le detenute scoprono Dante e Dostoevskij. Sostengono la maturità da privatiste, commosse dall'opportunità di mimetizzarsi per una volta con i loro coetanei. «Stronze, troie e regine», corrono perfino alle urne. Tra un romanzo e l'altro, l'autrice ha insegnato scrittura creativa in carcere. Ha dialogato con detenuti, educatori, giudici. È nata così una vicenda sì d'immaginazione, ma attentissima ai sogni e agli incubi dei diseredati. Com'è la neve vista da dietro le sbarre? Cosa significa scoprire il sesso a trent'anni? Quanto è profondo l'abisso, quanto difficile coltivare fiori sul suo bordo vertiginoso? Tragico, commovente e realistico, questo ritorno in libreria colpisce e affonda grazie a due protagonisti chiaroscurati e al calore di una scrittura che infonde quiete. Avallone non è più l'autrice arrabbiata degli inizi. È cresciuta, e la ribellione dell'esordio ha lasciato spazio a maturità e consapevolezza. La leggo e la immagino in pace. In Emilia è possibile scorgere traccia dei vecchi spigoli di Silvia, dei prefabbricati industriali e dei sentimenti morbosi di Acciaio, ma il meglio di lei è in Bruno: un omone a cui dona grazia, pacatezza, empatia. È lui a spiegare si suoi alunni che la nostra lingua è viva: cambia, si evolve. Gli errori di ortografia sono legittimi. Si impara a furia di sbagli, e c'è speranza anche per Martino Fiume, un discolo che proprio non vuol saperne di applicarsi. Ha sbagliato anche Emilia: un'anima smarrita da ricondurre sulla retta via dell'auto-assoluzione. E in discoteca, nella notte Capodanno, in un passo a due sulle note di un tormentone di Gigi D'Agostino. Il male dietro. Il mare fuori, certo, ma a un passo.
Il mio consiglio musicale: Gigi D'Agostino – L'Amour Toujours
Mare fuori è come la droga: crea dipendenza e non è che faccia molto bene :)
RispondiEliminaQuesto libro, tra poster di Leo e Britney e la musica tamarra di Gigi D'Ag, potrebbe creare anch'esso una notevole dipendenza
Però senza svolte trash: leggere per credere. Anzi, le lacrime sono in agguato.
EliminaCiao, mi piace molto il tuo blog e le recensioni che pubblichi. Ho sempre letto molto, ora non riesco più come un tempo, ma i libri sanno sempre attrarmi. Di Silvia Avallone ho letto Acciaio e mi è piaciuto. Magari ora provo questo, la tua riflessione sulla speranza mi ha incuriosita.
RispondiEliminaUn saluto e complimenti! :)
Ciao e benvenuta! Grazie mille! Torna a leggere, torna a leggerla. Non te ne pentirai. :)
EliminaGrazie!
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