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venerdì 17 dicembre 2021

Recensione: La promessa, di Damon Galgut

La promessa, di Damon Galgut. Edizioni E/O, pp. 278, € 18 |

Una volta qualcuno mi ha rivelato che i momenti di aggregazione acuiscono il malumore. Si parlava, nello specifico, delle festività natalizie: da me temutissime, generano spirali di ricordi destinate puntualmente a intristirmi. Quali sono, invece, i meccanismi psicologici che intervengono durante le commemorazioni funebri – rimpatriate già dolorose di per sé? Vestiti a lutto e stretti nello stesso banco di legno, finiamo per pensare più ai trascorsi con i nostri vicini di posto che ai parenti stesi nelle loro bare sfarzose. Fresco vincitore del Booker Prize, Damon Galgut costruisce la sua saga familiare – una storia dall'impianto piuttosto classico, fatta di forzati ritorni all'ovile, avidità e dissapori – proprio su questa considerazione: i funerali servono ai vivi, non ai defunti. È per questo motivo che La promessa, destinato a imporsi come uno dei titoli più imperdibili dell'anno ormai agli sgoccioli, immortala le vicende della famiglia Swart attraverso quattro funerali avvenuti in quattro decenni differenti. Cosa si prova a rincontrarsi in chiesa o al cospetto di un notaio, mentre il tempo cambia i luoghi e i volti della nostra infanzia? Può la morte essere un collante migliore della vita?

Il sangue è la colla più densa di tutte.

Uniti dall'implacabilità del destino e da una promessa mai mantenuta – garantire una casa a Salome, l'affezionata cameriera di colore –, gli Swart si ritrovano nella fattoria di famiglia di capitolo in capitolo. La morte della madre, donna malvista dai più, ha causato una diaspora irreversibile. A richiamarli all'appello, tuttavia, è un narratore onnisciente che conosce i loro sogni, i loro pensieri, le loro perversioni, perfino i mostri invisibili che gravano sulle loro spalle: Galgut, cinico e dissacrante, fluttua leggero come una piuma di stanza in stanza, di storia in storia, non tentennando neanche davanti alle temperature infernali dei forni crematori. Scritto d'un fiato, il romanzo ha la fluidità danzereccia e l'estro di quei film girati interamente in piano sequenza. Nonostante le 300 pagine scarse, la lettura risulta densissima per stile e contenuto: un caos tragicomico con un cast irresistibile nella sua bizzarria. Proprietari di un rettilario – e per questo, forse, bestie a sangue freddo –, i personaggi (non vi rivelerò quali) vengono decimati dalla malattia, dalla tracotanza, dall'omicidio, dall'ossessione.

L'apartheid è finito, ecco, adesso moriamo l'uno accanto all'altro, in stretta vicinanza. È solo la parte del vivere che dobbiamo ancora risolvere.

Anton, il figlio maggiore, è un fuciliere pieno di debiti e di speranze mal riposte: aspirante ribelle, aspirante scrittore, cresce per disonorare il padre. Astrid, secondogenita fragile nel carattere così come nella bellezza, è una casalinga disperata che confessa al suo parroco matrimoni di convenienza e relazioni adulterine. Amor, ultima ma non ultima, è invece la piccola di casa: una creatura splendida e misteriosa, sopravvissuta per miracolo a una tempesta di fulmini, con il potere di prendersi cura del prossimo e di estraniarsi fino a vedere, dall'esterno, la grande assurdità del tutto. Non lasciatevi spaventare dall'ambientazione, anche se le invasioni dei babbuini possono talora guastare la festa insieme all'arrivo delle mestruazioni o alla finale della Coppa del Mondo: dal momento che tutto il mondo è paese, soprattutto in materia di sentimenti, il Sudafrica di Galgut è uno scenario sì turbolento – ci sono scontri tra ebrei e cristiani, anglofoni e afrikaner; la fine dell'apartheid e l'avvento dell'Aids – ma talmente somigliante ai suoi personaggi da diventare parte integrante della contesa. Alcune persone, alcuni paesi, non sanno liberarsi del passato. Sul finale, nella solita chiesa, ci saranno sempre meno fedeli a pregare per il lacrimoso trapasso degli Swart. Ci hanno fatto il callo: sopporteranno stoicamente anche l'ennesima tragedia. Ma riusciranno a venire a patti con la farsa dolorosa delle loro promesse negate, soprattutto a loro stessi?

Il mio voto: ★★★★★
Il mio consiglio musicale: Amy Winehouse – Back to Black

10 commenti:

  1. Ciao Michele,un pezzo che non ti scrivo, ma ti seguo sempre sempre. Sai che stavolta dalla tua recensione non sono riuscita a capire il fascino che ha suscitato in te, ovvero il perché ti è piaciuto così tanto (5 stelline sono rare per te). Sarà che la trama non mi ha colpito particolarmente....puoi dire di più, ovvero il tuo voto alto va alla trama, la scrittura....?

    Poi al solito attendo le tue classifiche di fine anno.

    Come stai? Lavori?

    Non ti fare immalinconire dalle feste, so l'effetto nostalgia, ma spero che tu possa passare feste serene in buona compagnia e/o dentro qualche sala, cinema a go go!!!!
    Baci.

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    1. Ciao Lory,
      che piacere leggerti. Commenta più spesso! Come stai? Io abbastanza bene, sto lavorando in due scuole: in una mi trovo molto bene, in un'altra (dove ho più ore) affatto. Ma meglio vivere questo tipo di disagio rispetto alla solita sensazione di sentirsi inutili e i appagati.
      Il libro mi è piaciuto moltissimo non tanto per la trama, assai consueta, ma per lo stile. È un fiume. Insomma, è l'equivalente di quei film in cui la mano di un grande regista fa la differenza assoluta.
      Buone feste a te, speriamo di rileggerci. Un abbraccio,
      M.

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    2. Grazie Michele, io sto abbastanza bene dai, si invecchia....😂

      Sono contenta di sentire che lavori, scuole superiori?

      Ci rileggeremo senz'altro, scusa se a volte latito, ma sono sempre al corrente delle tue letture perché leggo sempre i post e come ti ho detto, amante delle classifiche, aspetto le tue che sono sempre scritte in modo originale.
      Ah, chiaramente ti dirò anche le mie letture preferite e i migliori film di quest'anno, non ricchissimo, ma neanche male. Attendiamo 😃👋

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    3. Insegno tre ore alle superiori, dodici alle medie. Nella prima scuola tutto bene, ci ho già insegnato brevemente a gennaio, ma nell'altra faccio parte del cosiddetto organico Covid: non ho una mia classe, faccio il jolly, il tappabuchi. L'importante è lavorare, ma faccio fatica ad abituarmi. Non riesco neanche a insegnare le mie materie.
      Amarezza a parte, ci leggiamo presto con le classifiche! Una bella annata, varia!

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  2. Sei riuscito a vendermelo benissimo, mi sa che gli troverò posto per i buoni che troverò sotto l'albero :)

    P.S.: 300 pagine scarse per come sono messa ultimamente mi sembrano già troppe. Vacanze, arrivate presto!

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    1. C'è l'inghippo. Sono solo 300, pur raccontato generazioni e generazioni della stessa famiglia, ma lo stile è densissimo e senza pause. In vacanza è l'ideale!

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  3. La storia di quattro funerali in quattro decenni differenti?
    Sembra proprio uno spasso!
    Six Feet Under al confronto mi sa che è una comedy. XD

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    1. Però, a sorpresa, l'autore sceglie un umorismo nero che fa la differenza!

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  4. le saghe (che si aprono e chiudono in un unico volume, soprattutto) famigliari mi piacciono molto: il ritrovarsi tutti insieme nella casa di famiglia, in seguito ad un lutto, è vero, nn è qualcosa di nuovo, ma mi sembra che l'Autore abbia comunque dato vita ad una narrazione interessante e meritevole di attenzione.
    In lista di sicuro!!
    Ciao michele :))

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    1. Ciao Angela!
      È proprio il tuo genere. Poi l'ambientazione ha le esatte contraddizioni del nostro sud!

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