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lunedì 29 novembre 2021

Recensione: Le stanze buie, di Francesca Diotallevi

| Le stanze buie, di Francesca Diotallevi. Neri Pozza, € 18, pp. 304 |

Ho varcato la soglia di queste stanze buie otto anni fa. Ero una matricola avvinta dai misteri e, nel perlustrare la residenza della sventurata famiglia Flores, cercavo gli spettri nascosti negli angoli più imprevedibili; l'oscuro. Preceduta da una fama sinistra, la villa – considerata infestata – ospitava il ricordo di un grande struggimento e le presunte apparizioni di una dama vestita di bianco. Mi aveva fatto da guida Francesca Diotallevi, già talentuosissima, che di quella villa nelle Langhe era stata architetto eccezionale nonché abitatrice. Cresciuta con il culto dei gotici inglesi, l'autrice esordiente aveva fatto sua la lezione delle sorelle Brontë: ogni storia d'amore è una storia di fantasmi.

Una vecchia casa è piena di rumori, Fubini. Se doveste badare a ogni singolo scricchiolii, a ogni fruscio, impazzireste. Credetemi, impazzireste.

È strano ritrovarsi dove tutto ha avuto inizio – compresa l'amicizia telematica tra me e Francesca – quasi un decennio dopo. Questa volta, ben consapevole dei colpi di scena in agguato, ho prestato attenzione alla verosimiglianza del contesto storico-sociale e alla grazia di una scrittura elegante nella sua linearità. In fase di riscrittura è mutata la relazione tra i protagonisti, qui platonica, mentre l'elemento horror è stato ridimensionato: ho apprezzato la prima scelta, meno la seconda. Questo romanzo, tuttavia, oggi somiglia ben più che in passato alla sensibilità d'altri tempi di Diotallevi e, soprattutto, all'indimenticato Vittorio Fubini: un maggiordomo rigoroso e pragmatico, estraneo ai sentimentalismi, al centro di un uragano di emozioni. Cosa possono i suoi guanti bianchi contro il rosso dell'omicidio; cosa, ancora, contro la polvere del tempo? Arrivato in provincia dalla mondana Torino per volere dello zio, Vittorio crede che una casa vada sempre giudicata dalla lucentezze delle posate. Presso la residenza dei conti Flores, assai grossolani nonostante il titolo nobiliare, ci sono molte cose fuori posto: dal personale troppo invadente ai vizi del padrone di casa, fino ad arrivare alle bizzarrie di Lucilla Flores. Niente affatto ospitale, con i capelli scompigliati e le mani indurite dal duro lavoro, la donna viene spesso meno ai propri doveri e si rifiuta di affidare l'educazione della figlioletta a un'istitutrice. Assoldato per essere il cane da guardia che ne arginerà le fughe, Vittorio si scoprirà combattuto tra il desiderio di biasimarne il ribellismo e quello, indecoroso, di proteggerla. Entrambi prigionieri di un ruolo, la padrona e il servitore – la vittima e il carceriere – si scopriranno complici durante le sortite notturne in cucina o nel rifugio di Lucilla, un laboratorio in cui la donna trasforma i fiori in profumi.

Gli spettri non esisterebbero se non fossimo noi, con i nostri desideri, col nostro amore, col nostro dolore, a trattenerli qua. Gli spettri vino dentro di noi. Gli spettri, talvolta, siamo noi.

Laggiù le scale scricchiolano macabramente, i campanelli tintinnano suonati da mani invisibili, le porte chiuse si spalancano su celle di dolore. Quali sono le ragioni per restare, quali quelle per andare via? L'infelice Lucilla vorrebbe scappare lontano da qualcuno, o forse da qualcosa? È braccio di ferro tra ragione e sentimento nell'arco di questo bellissimo romanzo fatto di esistenze interrotte e passioni mai consumate, storie che ritornano e rimpianti che restano. Raccontato a ritroso da un protagonista ormai anziano, Le stanze buie rinnova incanto e struggimento. Pubblicato inizialmente da Mursia e riportato in libreria da Neri Pozza, nell'edizione di pregio che si sarebbe sin dall'inizio meritato, mi ha investito con immutata potenza e, come capita davanti a un film già visto ma mai metabolizzato del tutto, mi ha indotto a sperare in un epilogo che fosse uguale e diverso al tempo stesso. Ho voluto fortemente visitarle dal nuovo, queste famigerate stanze, le ho scoperte parzialmente riarredate. Nonostante il mobilio fosse mutato, privo di chincaglierie e barocchismi, ho constatato, stupito, di sentirmi benaccetto come durante il primo soggiorno. La mia memoria olfattiva ricordava per fortuna l'odore di cera calda e il profumo floreale di Lucilla; quella del cuore, invece, tutto il resto. Entro i confini di questa «casa stregata» sapevo orientarmi anche al buio.

Il mio voto: ★★★★½
Il mio consiglio musicale: Nicole Kidman – One Day I'll Fly Away

4 commenti:

  1. Ne parlate tutti benissimo, credo che dovrei smettere di rimandare!

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    1. Leggilo, Leggilo! Poi l'inverno, freddo e nebbioso, è la sua stagione.

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  2. Se avessimo un Mike Flanagan in Italia, potrebbe prenderne spunto per una nuova serie. Così non è, quindi probabilmente la storia è destinata a restare solo su carta.

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    1. Già immagino Vittorio fare monologhi di due ore XD

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