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lunedì 30 novembre 2020

Recensione: Harvey, di Emma Cline

| Harvey, di Emma Cline. Einaudi, € 12, pp. 104 |

È proprio lui, quello sulla bocca di tutti. Non serve il cognome a identificarlo. Produttore cinematografico dalle intuizioni vincenti, più volte entrato nelle grazie dell'Academy per aver investito sui film giusti, all'improvviso è diventato un bersaglio umano. Un'attrice – una sua protetta, una sua vittima – gli ha puntato il dito contro. E sulla scia della prima donna hanno fatto eco le altre dell'harem, in un coro che a suon di Tweet ha denunciato gli abusi di potere, i provini succinti, i massaggi, le camere d'albergo. #Metoo, per confessare al mondo: ho subito anch'io; a Hollywood non è bastato il talento. Travolto dalle onde dello scandalo, l'uomo trova riparo dallo tsunami nella villa in Connecticut di un amico. L'indomani un giudice lo dichiarerà o colpevole o innocente. Queste imperdibili novanta pagine raccontano il suo ultimo giorno di libertà. Qual è lo stato d'animo di un uomo che sta per perdere tutto? Come investe il tempo in attesa del verdetto finale? La giornata comincia all'alba, in un letto madido di sudore, con piccoli malesseri. Prosegue a colazione poi: succo di pompelmo, muffin ipocalorici, una sbirciata ai quotidiani col suo nome in grassetto. Harvey è sempre al telefono. Cerca notizie su di sé su Google, sperando in un commento solidale; fa telefonate; ne rifiuta altre. Attende le visite del personale medico, che propone cure alternative per i suoi dolori cronici, e l'arrivo di figlia e nipote: purtroppo non si fermeranno dopo cena. In sottofondo, il ticchettio dell'orologio: nella casa semivuota aleggia insopportabile; sembra un frastuono supersonico.

Benvenuto, disse il vuoto. Ti stavamo aspettando.

Annoiabile ed estraniato, Harvey non sa di essere spregevole. Anzi: per la classica inconsapevolezza del male, si sente un capro espiatorio. Nel corso della sua routine sonnacchiosa, l'ho immaginato come un incrocio tra il Billy Murray della migliore Sofia Coppola – sornione ma profondamente malinconico – e il cavallo antropomorfo di BoJack Horseman, tutto genio e sregolatezza. Ho letto delle manie, dei tic nervosi, delle piccole pratiche disgustose che tutti noi sbrighiamo quando non visti. Barricata dietro un'algida terza persona, Emma Cline sorprende con il suo piglio caustico, asciutto, lineare. Apparso per la prima volta sul New York Times, il racconto non è la filippica che a giusta ragione ci saremmo potuti aspettare dall'autrice delle Ragazze: una delle narratrici più interessanti di una nuova gioventù femminista e battagliera. Ancora più a fuoco che nel suo bestseller, da me apprezzato a metà, Cline sa muoversi brillantemente nei confini ristretti di questo formato e nelle pieghe di un punto di vista scomodo: capace di grande empatia, eppure mai indulgente, l'autrice emoziona con il ritratto di uno degli uomini più odiati al mondo. In una storia di prevaricazione, sesso e potere, si focalizza eccezionalmente sui postumi. Il risultato è la dipintura di un self-made man rovesciato a forza dal suo trono, che all'improvviso perde sudditi e giullari. Ma non un'ottusa, ingiustificata forma di speranza. Più che spaventato, Harvey è ansioso di tornare in tribunale: confida nell'assoluzione, e allora tormenta in anticipo colleghi, segretarie, investitori. Culla l'idea di un ritorno in pieno stile con l'adattamento cinematografico di Rumore bianco: un romanzo considerato infilmabile. 

Quando le sensazioni iniziarono ad attenuarsi e la stanza cominciò a ricomporsi, provò un dispiacere ben noto, come la tristezza di quando, da piccolo, sentiva avvicinarsi la conclusione di un film, sapendo che presto sarebbe tornato alla dura realtà del mondo. Nel cinema si accendevano le luci, rivelando i popcorn caduti sotto le sedie, le tappezzerie lise, gli spettatori che raccattavano i cappotti scadenti. Perché Harvey non poteva stare così per sempre?

Da un lato mecenate e dall'altro boia, da un lato scaltro e dall'altro puerile, questo Harvey sul viale del tramonto indossa gli stessi calzini rossi di papa Francesco sul rigonfiamento della cavigliera elettronica, ma nasconde magliette sdrucite sotto le ascelle e una carie a cui rimediare quanto prima. Dimagrito bruscamente in seguito a un accidente, ha scoperto che l'annientamento è la dieta migliore contro i chili di troppo. Ha problemi con il correttore automatico, cita a sproposito incipit di cui non ricorda gli autori, suona goffo e pretenzioso alla cornetta, si ingozza di cioccolatini e pasticche guardando Chernobyl in binge watching: ciò che ingerisce potrebbe indurlo al soffocamento o alla disfunzione erettile. Quanti nello show business sapevano davvero delle sue compulsioni? Quanti, nonostante tutto, avevano distolto lo sguardo pur di salire a brindare sul carro del vincitore? Si festeggia insieme, ma ci si lecca le ferite soli. Simbolo del decadimento fisico e morale di una certa America, Harvey è una creatura bifronte. Mantiene integra la sua infida voce da serpente a sonagli, ma si copre di ridicolo involontario con i sogni a occhi aperti sul conto del vicino di casa. Se Gatsby fantasticava sulla luce verde oltre la baia – simbolo dell'irraggiungibile, del futuro, di un'ambizione motivante –, Weinstein spia le mosse di un presunto fuoriclasse al di là di una staccionata bianca. È Don DeLillo? È lui la luce di cui, Harvey come noi, ha bisogno per non spegnersi?

Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: Lana Del Rey – Cola

6 commenti:

  1. Oggi mi sono imbattuta in questo libro un paio di volte, in web; Le ragazze ce l' avevo già puntato, ma anche quest'Altro mi incuriosisce. Me lo segno per il 2021 :-D

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    1. Questo, brevissimo, potresti incastrarlo nelle letture di dicembre.
      In ogni caso, un'autrice dalla voce bellissima!

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  2. Una grande conferma.
    Attendo il prossimo. Questa volta un romanzo.

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  3. Mi incuriosisce tantissimo. Sembra parecchio potente.
    Considerando il tema trattato, sono quasi sicuro che un adattamento cinematografico sia in arrivo. Se lo facessero in Italia, il ruolo andrebbe di sicuro a Pierfrancesco Favino, negli Usa non so. Bill Murray non me lo vedo... Magari qualcuno con la faccia più da antipatico tipo Russell Crowe.

    A produrlo ci penserà la Weinstein Company? XD

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    1. O Russell Crowe, o Vincent D'Onofrio: ce li vedo!

      In quanto a un eventuale film: nonostante la non-trama, il racconto ha dettagli così vividi che si presterebbe bene!

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