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mercoledì 25 novembre 2020

Recensione: Andromeda, di Gianluca Morozzi

Andromeda, di Gianluca Morozzi. Giulio Perrone Editore, € 15, pp. 247 |

Con trentaquattro romanzi all'attivo e un film internazionale ispirato all'ansiogeno Blackout – misteriosamente mai arrivato in Italia, nonostante un giovanissimo Armie Hammer nel cast –, l'emiliano Gianluca Morozzi è un instancabile architetto di incubi e perversioni. Leggere le sue storie significa sempre sporcarsi di fango e pensieri impuri. Sconsigliate ai deboli di stomaco, tormentano con immagini fortissime ma si lasciano divorare grazie all'umorismo caustico che le pervade. È la formula che segue alla lettera anche Andromeda, il suo ultimo thriller, giunto in libreria con un titolo mitologico e una copertina che evoca il rosso del sangue vivo. Lo spunto narrativo, terrificante, è presto detto: in una villa periferica sui colli bolognesi, un certo Dimitri viene tagliato pezzo dopo pezzo da un uomo di cui non ricorda l'identità. Pronunciare il nome del cattivo potrebbe salvarlo da questo supplizio preso in prestito da una puntata di Game of Thrones, ma la memoria vacilla. E la motosega, così, romba rumorosamente. E taglia. Si può essere puniti per uno sgarbo che nemmeno ricordiamo? Eccezionalmente il vero protagonista non è la vittima al macello, bensì il suo flagellatore: un uomo stravolto nel fisico e nella mente, in cerca di una vendetta meditata per trenta lunghi anni, che racconta al tronco umano legato a una croce di Sant'Andrea i suoi personalissimi moventi.

Mi sono sempre chiesto: nella realtà, che effetto farebbe trovarsi di fronte un folle con una motosega, sapendo che la userà per tagliare via parti del tuo corpo? Non è nemmeno il dolore dell'amputazione, secondo me, la cosa più terribile: è il prima, è il pensiero, la consapevolezza che tra poco quella lama di metallo segherà via la tua carne, i tuoi muscoli, le tue ossa. L'attesa dell'inevitabile dolore dev'essere ancora più orribile del dolore stesso.

Il romanzo è un flashback che si dirama per duecento pagine. È un monologo ininterrotto, dove veniamo resi partecipi del peggio degli anni Ottanta e della nascita di uno psicopatico in erba. Perché ogni mostro è stato un adolescente: magari innamorato. Soprannominato Borg per l'hobby del tennis, cresciuto in una famiglia alto-borghese votata al danaro e al rancore, il narratore parte dal 1981: a dieci anni i telegiornali lo invitano a trattenere il fiato per la strage a piazza Fontana, per l'attentato al Pontefice, per la sorte sfortunata di Alfredino Rampi. Davanti allo sfacelo della cronaca nera, è forse il caso di credere alle bugie del catechismo? Alto e silenzioso, di una bellezza vagamente pericolosa, il protagonista sperimenta le prime pulsioni nocive in compagnia di Rocco: allievo del San Barnaba, una scuola privata per futuri avvocati, l'amico meridionale – sboccato, cleptomane, fascista – è un Lucignolo da cui lasciarsi condurre tra fast food, prostitute e sballi. Fin quando non compare Alina, una liceale bella come una canzone dei Beatles, che ama i gruppi rock, il cinema di Lucio Fulci e un ragazzo che probabilmente sarebbe stato più saggio evitare.

Tu mi hai distrutto la vita sghignazzando. E non mi conoscevi neppure. 

All'indomani da una lunga assenza dal mondo, il narratore si schiarisce la voce e ci descrive la formazione di un futuro assassino. In una Bologna vivissima – specchio deformante della nostra Italia, è la stessa del cantautorato di Guccini ma altresì dello scandaloso Pasolini –, sui protagonisti di Andromeda veglia il fato beffardo di una tragedia greca. Pervaso da un ottundente torpore alcolico e dalla spietata legge del taglione, il romanzo apparirebbe uno scherzo organizzato ad arte se non fosse tanto atroce. Afflitti da una vergogna indicibile e dal senso d'ingiustizia – con quanta leggerezza, infatti, si può fare del male al prossimo? –, i personaggi sono senza redenzione. Disperati, marci fino al midollo, possono o uccidere o uccidersi per trovare un po' pace. Pulp, ormonale e scabroso, l'autore underground ricorda la peggio gioventù e il primo Ammaniti. Morozzi, il “cannibale” che non è mai uscito dal gruppo, non smette tutt'oggi di mordere.

Il mio voto: ★★★½
Il mio consiglio musicale: Duran Duran – The Wild Boys

8 commenti:

  1. Ma che libri leggi?????????

    Non lo so, tre stelline e mezzo non mi bastano per vincere lo sgomento provato nel leggerti, mi sa che ne farò a meno.

    In compenso ho appena ritirato "L'avversario" di Carrère che non penso sia una passeggiata, vedremo se arriverò alla fine, te lo dirò.
    Ora sto leggendo, l'ho iniziato da poco "La figlia maschio", accidenti che scrittura! Mi sto trattenendo dall'andare a leggere la tua recensione, non ricordo cosa avevo letto nel tuo post che mi ha spinto a cercarlo, spero che non mi deluda andando avanti (non mi dire niente!)

    CIAO!

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  2. Sono in mood Natale, non hai notato? Mi sto dedicando alle letture a tema: vedasi il rosso in foto, che mette allegria! 🤪

    La figlia maschio è straordinario, soprattutto nel finale: non ti deluderà.

    In quanto a Carrere, ci riproverò ma sospetto che non mi piaccia: ho letto, e detestato, soltanto I baffi.

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  3. Hum.. non so se è il periodo adatto per inserire questo tipo di lettura :-D
    Però mi devo fare un giro tra i libri di questo autore, che conosco solo di nome ma non ho ancora mai letto :)

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    1. Magari in un periodo più consono, sì, però penso proprio che una lettrice onnivora come te non si tirerebbe indietro davanti alle provocazioni dell'autore!

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  4. Il suo "Gli annientatori" fu davvero piacevole, nella sua perversione.

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    1. Questo alza ancora di più l'asticella del malessere, ma l'ho trovato un po' più frettoloso, un po' meno compiuto. In ogni caso piacevolissimo!

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  5. Potrebbe proprio essere una cannibalata con i fiocchi! :D

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    1. Bella al sangue!
      Tra citazioni di film, libri e canzoni, apprezzeresti. ;)

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