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martedì 10 novembre 2020

Le serie bellissime dell'autunno: La regina degli scacchi | We are who we are

Si chiama Beth Harmon, è una bambina prodigio diventata una donna da record. Cresciuta in orfanotrofio dopo il suicidio della madre borderline, conosce gli scacchi – la sua passione, la sua ossessione – grazie alla pazienza del custode. Affidata a una famiglia benestante, coltiva il suo hobby anche al liceo. Porta con sé anche nell'altra casa la sua ambizione e i suoi limiti. Assuefatta agli anestetici sin dalla tenera età, la giovane è genio e sregolatezza: drink, pasticche e relazioni occasionali. Perché dove c'è un grande talento c'è sempre un briciolo di follia. Tra un torneo e l'altro, Beth punta allo scontro definitivo: il campione in carica è un temibile russo. Affiancata per un po' da una mamma manager, costruisce passo passo la sua personalità. Prima bambina, poi adolescente, infine adulta, è sulle copertine e sulla bocca di tutti. Eccellere in una competizione per uomini, ieri come oggi, fa notizia. Di Beth Harmon conosciamo gli appuntamenti, il glamour, le cadute e le risalite. I manuali sprimacciati, le rinunce, i deliri: stesa sul letto, vede scacchiere perfino tra le ombre del soffitto illuminato dalla luna. Viene difficile crederlo, ma questa donna – questa campionessa – non è realmente esistita. Scritta con la credibilità di una biografia, l'ultima serie Netflix è tratta dall'omonimo romanzo di Walter Tevis: è una storia d'invenzione. Nel passaggio dalla carta al piccolo schermo trova un comparto tecnico degno di meraviglia – le simmetrie della regia e i costumi invidiabili vi faranno sentire la nostalgia di The Marvelous Mrs Maisel – e la conferma di una stella splendente. Anya Taylor-Joy, ventiquattro anni, è magnetica in un ruolo che le sembra cucito a pennello. Con la sua bellezza vagamente felina, fatta di occhi grandi e gambe affusolate, l'attrice incarna alla perfezione un personaggio già iconico. Algida, saccente e geniale, la protagonista soffre di una solitudine siderale colmata dagli abiti lussuosi. Senza mai calcare la mano, la serie ci mostra le sue debolezze e i suoi dolori. Il ritratto, equilibrato e incantevole, è quello di un'anticonformista che basta a sé stessa e qualche volta ha bisogno di un buon amico. Continuamente strumentalizzata, rifiuta però di diventare un simbolo nella lotta contro il nemico sovietico o uno stendardo della religione cattolica. Beth è un lupo solitario seduto alla scacchiera. Non importa conoscere l'arte degli scacchi per seguire le sue imprese con il cuore in gola. Dietro ogni mossa c'è sfida, c'è seduzione, e lo scacco matto è tanto prevedibile quanto giusto. Appassionante come si legge dappertutto, La regina degli scacchi porta con sicurezza la corona: alla stagione dei premi, nei listoni di fine anno, si farà valere. (7,5)

Corpi intrecciati. Corpi gaudenti. Corpi colti nel perenne movimento di qualche birbanteria da portare a termine. Ballano, si abbracciano, alzano il gomito, si tuffano. Era l'epoca degli assembramenti. Era l'epoca delle bocche sboccate, senza mascherine. Sembra una vita fa. Ho seguito We are who we are come se fosse una serie di fantascienza. In questa nostra Italia divisa in gialli, arancioni e rossi, ho guardato con invidia e nostalgia all'arcobaleno abbacinante del solito Luca Guadagnino. Anche se a puntate, torna a raccontarci la sessualità, l'estate, l'insostenibile leggerezza dell'avere diciassette anni. Ritornato ai temi e alle ambientazioni di Chiamami col tuo nome, rinuncia agli anni Ottanta – gli stessi della sua giovinezza – per raccontarci il presente, e una generazione lontana tanto da lui quanto da me. Come può un regista cinquantenne raccontare gli adolescenti con tanta sapienza, senza costringerli alle pose plastiche o alla cattività dei copioni? “Siamo quello che siamo” è uno slogan, è un grido di battaglia, è l'autoaffermazione di un gruppo di millennials che in fondo desiderano ciò che desideriamo tutti: un posto nel mondo. Certo, sembrano aver genitori sin troppo permissivi. Certo, appaiono scalmanati e alticci: probabilmente non il migliore esempio da seguire, tra irruzioni notturne, matrimoni lampo e bevute fino al collasso. Ma i protagonisti di Guadagnino, lontani da qualsiasi giudizio morale, sono bestiole libere da vincoli e pregiudizi che formano un gruppo coeso di outsider. Vivono a Chioggia, in una base militare americana. Parlano un po' inglese e un po' italiano, praticano l'amore in un ambiente generalmente votato all'arte della guerra. L'irrequieto Fraser, uno strepitoso Jack Dylan Glazer, è l'ultimo arrivato: l'amicizia con Caitlin, la dirimpettaia, potrebbe diventare qualcosa di più? O lui, efebico e leggiadro, è gay? O lei, amante degli abiti maschili, è transgender? Questi diciassettenni non sono ossessionati dallo specchio. Come da titolo, non vogliono né definirsi né essere definiti. Fluidi, camminano sul bordo vertiginoso dei generi e degli orientamenti sessuali; della friendzone. Fresca, vulcanica e liberatoria, la serie è una boccata d'aria nuova. Di una leggerezza senza peso – al punto che la maggior parte delle scene sembrerebbero improvvisate –, conserva tuttavia un'impronta autoriale infraintendibile. Queste otto puntate, al pari dei personaggi che le popolano, rifuggono le etichette: sarebbe limitante, perciò, definire We are who we are un teen drama. Per i ritmi lenti, per il taglio verista, oltretutto non piacerebbe all'adolescente medio. Di neanche dieci anni più grande dei protagonisti, all'inizio ammetto di aver faticato. Poi è subentrata una curiosità entomologica verso il loro guardaroba, verso i loro discorsi, verso la loro identità sfumata. Sono belli, sono freschi, sono affiatati. Sono diversi. Ma diversi da chi? Appartengono alla cosiddetta generazione Y. Non la conosco, non mi ci riconosco, ma affascina oltre ogni dire, così come affascinano gli alieni e gli angeli. (8,5)

8 commenti:

  1. Ho amato il libro di Tevis (autore anche de L'uomo che cadde sulla Terra) e la serie non è da meno, rispettosissima del romanzo. In più è una goduria per un appassionato di scacchi come me: posizioni dei pezzi, nomi delle difese; tutto ricostruito perfettamente.

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    1. Davanti a tanta cura, immaginavo che anche dal punto di vista del gioco fosse pressoché perfetto. E, dal momento che andiamo piuttosto d'accordo con le letture, metto in lista anche il romanzo! Mi hai incuriosito!

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  2. Anya Taylor-Joy bellissima lo è sicuramente, spero anche la serie..

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    1. Come non concordare?
      La serie vive in funzione di lei. Della sua eleganza, dei suoi sguardi, del suo fascino felino. Ruolo che le calza a pennello.

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  3. Per La regina degli scacchi sono ancora sorpreso che non si tratti di un vero biopic... E sono sorpreso che mi abbia fatto appassionare agli scacchi. Non che abbia iniziato a giocare, ma per un momento il pensiero mi ha sfiorato la testa. :D

    We Are Who We Are non so se sia classificabile come un teen drama o meno. Direi di sì, anche perché per me il termine non ha affatto un'accezione negativa, anzi.

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    1. Io vorrei imparare!

      Teen drama non è un insulto, certo, ma se penso alle cose The CW...

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  4. Se La regina degli scacchi è stato un colpo di fulmine dal primo minuto, che poi si è sempre più confermato (ma davvero la Anya c'ha solo 24 anni?!?), per Guadagnino ho faticato un po' anch'io all'inizio.
    Strano, non sempre centrato, complesso come i veri adolescenti... con il finale, però, mi ha conquistata. Imperfetto, ma va bene così.

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    1. La regina degli scacchi però è talmente perfetto e rigoroso da non lasciare appigli, non so dire.
      A Guadagnino, seppur nella sua imperfezione, mi sono proprio affezionato. E ho sentito una gran nostalgia di assembramenti!

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