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martedì 4 agosto 2020

Recensione: Storia della bambina perduta, di Elena Ferrante

| Storia della bambina perduta, di Elena Ferrante. Edizioni E/O, pp. 451, € 19,50 |

Ho rimandato questo momento finché ho potuto. L’addio a Lila e Lenù, per me già indimenticabili. Avevo paura che avrei provato una nostalgia incontenibile. Invece, a fine lettura, mi ha sorpreso una specie di senso di sollievo. Uscito dalle spire del rione, finalmente tornavo a respirare. È stata una lettura verso cui ho nutrito un rapporto conflittuale. Una bella storia che non necessariamente è una storia bella. Ma piuttosto un capitolo conclusivo lungo, denso, cupo e luttuoso, che si classifica come il più difficile dei quattro e come l’immancabile riconferma del genio di Elena Ferrante: un’autrice nient’affatto consolatoria, amante dei finali che non finiscono mai per davvero.
Le avevamo lasciate negli anni della rivoluzione studentesca e sessuale, davanti all’ennesima scelta avventata di una insopportabile Lenù: dare a Nino Sarratore, il famigerato lupo che perde il pelo ma non il vizio, una seconda opportunità. Mandato all’aria il matrimonio con Pietro, madre di Dede ed Elsa e autrice di due testi accolti con un discreto successo di critica, Lenù viene riacciuffata in viaggio mentre insegne il lavoro e l’amore. Divisa tra Genova, Firenze e Torino, confusa da una relazione annichilente, torna infine a Napoli con la coda tra le gambe. È il richiamo di una sirena.

Ah, che città, diceva a mia figlia zia Lina, che città splendida e significativa: qua si sono parlate tutte le lingua, Imma, qua s’è costruito di tutto s’è scassato di tutto, qua la gente non si fida di nessuna chiacchiera ed è assai chiacchierona, qua c’è il Vesuvio che ti ricorda ogni giorno che la più grande impresa degli uomini potenti, l’opera più splendida, il fuoco, e il terremoto, e la cenere  e il mare in pochi secondi te la riducono a niente.
Nonostante il suo appartamento vista mare, viene inesorabilmente attratta dalla vicinanza col rione: il luogo delle origini dove nel frattempo Lila – brillante autodidatta – si è imposta come diretta concorrente dei fratelli Solara. Immersa nel vecchio quartiere, Lenù racimola nuove idee per un nuovo libro: una denuncia alla maleducazione, alle siringhe nei giardinetti, agli omicidi consumati nel buio del tunnel, al mal di vivere, allo strapotere di Michele e Marcello. Vicine come non accadeva dall’infanzia, sulla soglia dei quaranta, le due amiche saranno coinvolte in una spirale di tradimenti, tornaconti e vendetta. Due sono le possibilità: o essere risucchiate dal cuore paludoso del rione, o bonificarlo. 
Nella prima parte – un’introduzione lunga duecento pagine –, le due amiche condivideranno lo stesso condominio e una gravidanza coordinata. A separare le loro piccole Tina e Imma, così come Dede, Elsa e Rino – il primogenito di Lila da salvare dalla droga –, c’è soltanto una rampa di scale. Le dinamiche sentimentali tra i reciproci figli, coetanei, saranno imprevedibili. Confidenti, arbitre, burattinaie, compagne di disavventura, le protagoniste rischiano di stancare un po’ in una seconda metà sì carica di eventi, uscite di scena e metamorfosi – penso ad Alfonso, che abbraccia la sua controparte femminile e diventa l’alter-ego di Lila –, ma frettolosa: si passa dagli attentati delle brigate rosse agli scandali politici a Montecitorio, fino a citare il crollo delle Torri Gemelle; si accenna perfino al cambiamento repentino in una città in divenire, ormai multietnica, dove si percepiscono nuovi traffici, nuovi profumi, nuove lingue. Più che rievocati, infatti, qui gli avvenimenti vengono riassunti en passant attraverso salti ed ellissi.

Voler bene scorre insieme al voler male, e io non riesco, non riesco a condensarmi intorno a nessuna buona volontà. La Oliviero ha sempre avuto ragione, sono cattiva. Non so mantenere in vita nemmeno l’amicizia. Tu sei gentile, Lenù, con me hai avuto molta pazienza. Ma stasera l’ho capito in modo definitivo: c’è sempre un solvente che opera piano, con un calore dolce, e disfa tutto, anche quando il terremoto non c’è. Perciò, per favore, se ti offendo, se ti dico cose brutte, tu tappati le orecchie, non lo voglio fare e invece lo faccio. Per favore, per favore, non mi lasciare adesso, se no cado giù.
Storia della bambina perduta è un mistero sin dal titolo. Un viaggio sinistro sulle tracce di Lila, nella città in cui parrebbe splendere sempre il sole. Ricordate l’incipit dell’Amica geniale? Lila si era allontanata da casa, era volontariamente scomparsa, e un’anziana Lenù si metteva a scrivere di lei. Ma cercare di dare un contorno alla smarginatura di Lila, tentare di metterla per iscritto arginandola, non significa forse – ancora una volta – tradirla? A malapena scolarizzata, circondata da nembi tempestosi che contribuiscono a conferirle un’istantanea aura leggendaria, la bruna perseguitata dalla tragedia regala a Elena Ferrante alcune delle sue pagine più straordinarie: nei capitoli immaginifici e deliranti dedicati al devasto del terremoto dell’Irpinia, gli unici in cui Lila parla in maniera sibillina del suo curioso estraniarsi, ad esempio sembra portare il caos psicologico che cova dentro all’infuori di sé. Distruggendo il paesaggio con le sue ripercussioni apocalittiche. Cosa cerca in biblioteca, cosa scrive china sul portatile, e perché quell’improvvisa fascinazione verso la storia di Napoli? Guida d’eccezione, Lila ci conduce in uno spaventoso labirinto di Minosse, in cui le cose e le persone a volte ricompaiono a piacimento, per magia o per dispetto. Una città dal passato miserabile e glorioso che si morde la coda, tormentata dai fantasmi degli antichi rivoluzionari e da una putredine ben nascosta sotto la sua monumentalità. E lei finisce per diventarne, così, parte integrante. Uno spiritello vestito di stracci e fuliggine, che nella chiusa – per me perfetta: amara ma non disperata – ci farà salire un brivido freddo lungo la spina dorsale perseguitandoci in un’altra regione, in un’altra esistenza, in un’altra lettura.
Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: Carmen Consoli - L'ultimo bacio

11 commenti:

  1. Come già sai io ho preferito goderne uno dopo l'altro, anzi, non ho potuto scegliere immersa come sono stata nel Rione e nelle vite di Lila e Lenù non potevo uscirne ed aspettare.
    Continuerò a preferire le pagine dedicate alla loro adolescenza ma qui, donne e anziane, con la vita che presenta i suoi conti, di pagine belle, di dubbi che la Ferrante mette, ce ne sono altrettanti.
    La chiusa sospesa e le tante ipotesi che si possono fare mi han fatto un po' disperare, ma alla fine ne aumenta il fascino.
    Pian piano che la memoria svanisce, la rinfrescherò con la serie Rai/HBO, promesso.

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    1. Non ti pentirai assolutamente del recupero della serie.
      Per me, forse, la seconda stagione è uno dei prodotti migliori dell'anno.

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  2. Compendo come ti sei sentito. anche per me è stato difficile separarmi,ma serbo un ricordo speciale 🤗🤗

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  3. E quindi le (dis)avventure di Lila e Lenù sono finite?
    Io non mi sento pronto...

    Nell'adattamento televisivo a che punto sono?
    La prossima stagione sarà già questa del finale?

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    1. No, la prossima stagione coprirà il terzo libro: Storia di chi fugge e di chi resta.

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  4. io ho adorato l'intera saga, ma il finale mi ha deluso...

    Nonostante questo, la consiglio sempre a tutti :)

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    1. Il finale in sé, nel mio caso, per fortuna no.
      Ma la seconda parte moltissimo, mi è parsa troppo brusca.

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  6. Che storia e che recensione.
    Aspetto la prossima stagione della serie con trepidazione per ributtarmi nel Rione.
    Leggerai: La vita bugiarda degli adulti?

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