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mercoledì 8 maggio 2019

Mr. Ciak: Dumbo, Benvenuti a Marwen, Instant Family, Unicorn Store

Ci si aspettava poco. Dalla riproposizione di un cartone niente affatto apprezzato da bambino. Dall'ennesimo live action di cui in fondo non si sentiva il bisogno, con Aladdin e Il re leone già attesi al varco nei prossimi mesi. Dal ritorno al cinema di Tim Burton, mio regista del cuore, che purtroppo non indovina il film giusto dai tempi del sentito Frankenweenie. Si è andati in sala senza grandi pretese, con il biglietto pagato tre euro in promozione e un pubblico misto di pargoli e nostalgici. La sorpresa, se di sorpresa si può parlare, è che Dumbo risulti efficace nel suo niente di indispensabile. La fiaba animalista, debitamente aggiornata alla luce di una morale necessaria, più che a un adattamento somiglia a un seguito non dichiarato. Cos'è stato dell'elefante bullizzato per le orecchie a sventola, dopo le sue magiche lezioni di volo? La prima parte, a metà fra omaggio e ammodernamento, è il cartone originale: qualcosa resta, come la toccante Bimbo mio o la famosa sequenza degli elefanti rosa; qualcosa si perde, come il topolino per aiutante qui rimpiazzato dal reduce Farrell e dalla terribile bambina protagonista, scelta più per mamma Thandie Newton che per un'espressività che lascia molto a desiderare. Nella seconda, da emarginato a stella, il protagonista attira le attenzioni di Keaton, cattivo bidimensionale con al seguito l'incantevole e ribelle Eva Green: la scalcagnata compagnia di De Vito, già circense nell'insuperato Big Fish, viene inglobata da una multinazionale da sogno. O da incubo? La bestialità degli uomini e l'umanità degli animali emergerann, come da copione, in una chiusa che è la parte debole: un trionfo di fuochi e fiamme, d'ingombrante CGI, che perdeo amaramente il confronto con la riuscita animazione dell'elefantino. Perché il nuovo Dumbo è sempre lo stesso: imbranato e tenerissimo, cerca la mamma tenuta in cattività e minaccia di commuoverci spesso da dietro i suoi grandi occhi azzurri. Perché Burton, nel bene e nel male, è Burton: scolastico ma in discreta forma, nonostante il lavoro alla buona degli sceneggiatori, ripropone con trasporto la classica parabola dell'emarginato: la poetica del freak, che perde d'originalità in casa Disney, ma lascia spunti di riflessione ai giovanissimi. È il compito di un film per famiglie tanto godibile quanto convenzionale, che condanna la barbarie fuori moda del circo, omaggia la tecnologia e la creatività degli artisti tutti e, nel suo piccolo, sa farti volare a mezz'aria grazie alle orecchie di un'attrazione principali davanti cui è impossibile non sospirare, inteneriti. (6) 

Marwen è un villaggio fittizio in Belgio, assiepato dai nazisti e difeso da un esercito di donne armate fino ai denti. Marwen, ancora, è un mondo in miniatura che si rivela essere ben presto lo specchio consolatorio della realtà: l'elaborazione di un uomo sofferente, con la testa spaccata da una gang di teppisti, mentre si perde appresso agli amori platonici e a missioni di salvataggio degne di una spy story. Disegnatore e miniaturista, divorziato, Mark Hogan nutre una venerazione per il gentil sesso e il pallino per le scarpe con il tacco. Un'ossessione mai chiarita, che suo malgrado l'ha reso protagonista di un tragico attacco omofobico. Traumatizzato, adesso vive attraverso i suoi giocattoli. Lì è un soldato valente e fascinoso, che porta con orgoglio le cicatrici di guerra. Lì la sua vicina di casa, una deliziosa Leslie Mann, accetterebbe di sposarlo su due piedi. Apologo per grandi e piccini, a sorpresa flop al botteghino, Benvenuti a Marwen ha la regia di un Zemeckis in forma smagliante benché sottovalutato, effetti visivi ineccepibili – con loro, scenografie e costumi –, un attore protagonista che fa la differenza. Steve Carrell, senza scimmiottare il ben più famoso Forrest Gump, è come Carrey: un attore comico che, cosa ormai assodata, fa faville nei drammi, grazie a un sorriso svagato che riesce ad essere tenero e struggente insieme. Peccato che la sceneggiatura fatichi a decollare. Se l'idea di girare un biopic a confine fra animazione e live action appare brillante, sfortunatamente non segue a ruota una scrittura senza guizzi che lascia fare tutto al comparto tecnico; all'espressività del mattatore Carrell, colto nel divenire di un viaggio che racconta i meccanismi di difesa, la dipendenza da antidolorifici, il velo di Maya dei filosofi moderni. Quello che ottunde i sensi, ammortizza e c'inganna. Insieme a Mark, un superstite, dovremmo perciò imparare a discernere: la vita, infatti, non è una casa di bambole. (6,5)

Chiunque abbia avuto la sfortuna di sedere in un'aula di tribunale ricorderà le sedie sbrindellate, le attese estenuanti, le domande degli avvocati che scavano come vanghe. La sensazione di disagio, la ferrea volontà di non rimetterci mai più piede. Ma una sera, per caso, ho scoperto che i tribunali non servono soltanto alla caccia alle streghe; alle famiglie che finiscono. Realizzarlo, durante la visione dell'inatteso Instant Family, mi ha commosso in poltrona. Questa è la storia di una coppia senza figli, liberamente ispirata alle vicissitudini dello stesso regista, che si sobbarca un'impresa difficile il triplo: adottare, sì, ma un'orfana ormai adolescente. E i suoi due fratelli minori. Con la loro età malsicura, con i loro traumi, con la voglia di riabbracciare ancora la mamma spacciatrice. Sulle orme di Una scatenata dozzina e This is us, a metà fra l'intrattenimento godereccio e i mèlo dai buoni sentimenti, Sean Anders indovina gli equilibri vincenti di una commedia affatto originale, ma a modo suo sorprendente. Un film vecchio stile che è proprio quello che appare, ma anche l'esatto contrario. Ben scritto, recitato con contagiosa armonia – accanto a Wahlberg e Byrne, occhio alle esilaranti caratteriste Spencer, Cusack, Martindale –, in una serata leggerissima mi ha strappato lacrime e risate in quantità. Rischiava di passare inosservato, eppure, per via del solito poster, per colpa del solito cast. Un tema lodevole è affrontato con realismo inatteso, invece, e note scorrette che non guastano. Perché genitori si diventa, si diventa una famiglia. Basta imparare: insieme. (7+)

E se un invito anonimo promettesse di renderti finalmente felice? Succede a una trentenne in crisi, con una carriera fallimentare in campo artistico e una convivenza forzata sotto il tetto di mamma e papà. Si improvvisa a malincuore segretaria, benché nel frattempo punti ai mondi impossibili del proprio inconscio grazie a un pigmalione dai completi variopinti: un Samuel L. Jackson istrionico ai limiti dell'irritazione, che alla protagonista con la testa fra le nuvole spalanca all'improvviso le porte del sogno. Invitandola a prestare fede all'immaginazione. Ma quando è un bene, quando un male, quando alienazione pura? I bontemponi sono definiti eterni Peter Pan, ma le donne si figurano segretamente addestratrici di unicorni. Store Unicorn, commedia strampalate dalle scenografie arcobaleno e le luci iridescenti, ricorre al bagaglio di uno spirito fanciullesco come antidoto a un'infanzia solitaria e a una giovinezza interrotta. In questo bailamme di personaggi dolci e surreali, dotati di un umorismo talmente particolare che potrebbe non piacere a tutti, spicca il “capitano” Brie Larson: qui impegnata in una doppia veste. Che piacere rivederla alle prese con i pregi e i difetti del cinema indie, momentaneamente in pausa dai blockbuster Marvel! Che piacere rivederla alle origini, nei panni di un'infaticabile sognatrice, mentre mette in scena i mostri e le fate negli armadi del suo passato, in una fiaba sui generis tutt'altro che memorabile ma comunque molto sentita! Mentre si prepara ad accogliere l'amico mitologico allestendo una mangiatoia, per la prima volta torna a vivere. Si guarda intorno, e non è da sola. Un po', la aspettavamo noi. (6)

16 commenti:

  1. Curiosissima di scoprire Marwen, passato piuttosto inosservato in sala -anzi, direi proprio nel silenzio- me l'hai ricordato dandomi anche della speranza.

    Se con Dumbo si resta dalle parti del classico film per famiglie -con buona pace per l'ex visionario Tim-, Unicorn Store con i suoi difetti ha saputo parlare alla 30enne in crisi che c'è in me. Più Brie così, meno Brie Marvel.

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    1. Povero Zemeckis, perché così ignorato? Sceneggiature a parte, ha sempre un tocco da maestro.
      Anche Allied: quanta raffinatezza stilistica.

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  2. Tra che Dumbo non mi è mai piaciuto, tra che ritengo i live action Disney una delle cose più inutili mai viste, tra che Tim Burton ormai lo do per perso (a me non è piaciuto per niente neanche Frankenweenie)... il Dumbo con attori in carne e ossa è un film che non credo recupererò mai.
    Degli altri, però, mi interessa recuperare Benvenuti a Marwen e Store Unicorn :)

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    1. La parabola della Larson, secondo me, ti piacerà!

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  3. Mi spiace che Dumbo non ti ha entusiasmato. Certamente non è un film indimenticabile, ma non nascondo che lo ricordo ancora con tenerezza ☺️

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  4. Dumbo non è il miglior Burton ma la tenerezza c'è. E così si sciolgono un po' anche i cuori di chi critica ferocemente.
    Il resto, messo da parte per il futuro, chissà quando ç_ç

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    1. Oggettivamente non è granché, ma la morale aggiornata (sacrosanta) concilia la lacrimuccia...

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  5. Dumbo l'ho evitato come la peste, perché anche per me è unodei film Disney meno amato. E poi, dico, Burton bollito e i prossimi Re Leone e Aladdin, sticazzi Dumbo.

    Instant Family mi attira, il resto non molto...

    Moz-

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    1. Un eterno giovane come te che fa, Ignora la Larson in versione Peter Pan?!

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  6. Anche io da Dumbo mi aspetto poco e mi sa che l'elefantino non mi farà volare granché in alto...

    Unicorn Store invece mi ha messo le ali! :)

    Benvenuti a Marwen mi è sembrato mediocre e decisamente in ritardo coi tempi: un 25/30 anni fa sarebbe sembrato fenomenale, adesso molto meno. E Steve Carell io continuo a trovarlo irrilevante (o forse più irritante? non lo so).

    Instant Family caruccio, però non è niente di originale e il tuo voto mi sembra un po' esagerato. Non è che Ford ti ha convinto ad alzarlo perché c'è il suo pupillo Mark Wahlberg?
    La trascinatrice del film comunque è Isabela Moner, di cui credo sentiremo parlare ancora...

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    1. Instant Family mi ha fatto piangere più di diciotto puntate allungate di This is us. Semplice, vecchio stile, ma non mi pento né del voto altissimo (Imdb concorda con me comunque) né della serata sul divano.

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  7. Io prima o poi voglio recuperare Dumbo, non sono fan del cartone Disney ma apprezzo le versioni in Live Action. 😊

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  8. Unicor Store non mi è proprio dispiaciuto. Così stralunato e strano.
    Guarderò anche Istant Family, ma prima...Voglio una vita a forma di me.
    Ciao da Lea

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    1. Voglio una vita a forma di me mi manca. C'è la mia amata Aniston eppure!

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