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mercoledì 29 agosto 2018

Recensione: Resto qui, di Marco Balzano

| Resto qui, di Marco Balzano. Einaudi, € 18, pp. 192 |

La punta di un campanile che sbuca da un lago, lo scatto bellissimo di una sorta di miraggio: ma non si giudica un libro dalla copertina, o così dice il proverbio. Alla prima impressione, scorcio triste e meraviglioso che un giorno vorrei vivamente vedere di persona, aggiungi anche la fascetta promozionale dei romanzi finalisti al premio Strega: riconoscimento che di solito intimorirebbe un po', vero, con il sentore di autorialità e pesantezza che porta con sé, ma che questa volta eppure sembrava sin da subito fare positivamente eccezione. Resto qui ha l'aspetto giusto, le giuste menzioni e soprattutto, a una seconda occhiata, la giusta trama. È un romanzo giusto, giustissimo – questo l'aggettivo chiave –, ma quanto destinato a restare nel cuore del lettore come promesso dal titolo? Siamo a Curon, provincia di Bolzano: terra di confine e di lingua tedesca divisa tra l'Italia, la Germania e la Svizzera; fra le camicie nere e i nazisti. Un paese per vecchi. Se nati lì nei primi del Novecento, si vive una doppia lotta, una doppia fuga: da un lato l'indecisione grande sul male minore da scegliere – lasciarsi guidare da Hitler o forse dal Duce? –, con la Seconda guerra mondiale che bussa alle porte a tempo di marcia. Dall'altra, invece, la drammatica notizia della costruzione di una diga che seppellirà sotto venti metri d'acqua due moderne Pompei ed Ercolano. Quelle le montagne, quelli i pericoli, quelle le questioni di vita o di morte di Trina: all'inizio adolescente, poi moglie, che a una prima battuta rifiuta il destino di angelo del focolare, il lavoro in bottega, la compagnia degli uomini, e studia per diventare maestra prima che a Curon venga imposto l'obbligo dell'italiano – una lingua esotica, pericolosa –, con il tedesco relegato invece a lezioni clandestine per non dimenticare le proprie origini. Infine compagna di Erich, madre di Michael e Marica, che nel congedarsi da noi stringe al seno come può i cocci di una famiglia disintegrata per sempre. Non mancano le lotte tra vicini di casa, l'immobilismo generato dalla neve che cade, i moti di scetticismo verso lo Stato e Dio. Conquista dalle prime pagine, invece, una protagonista stoica e appassionata, condannata purtroppo a una solitudine siderale: una Jo March di campagna, che ha tanto della forza dei personaggi femminili di Michela Murgia e Donatella Pietrantonio.

Io invece credevo che il sapere più grande, specie per una donna, fossero le parole. Fatti, storie, fantasie, ciò che contava era averne fame e tenersele strette per quando la vita si complicava o si faceva spoglia. Credevo che mi potessero salvare, le parole.

Marco Balzano, scoperto qui, piace e commuove. Ha tutte le carte giuste per funzionare, e senza cattive sorprese funziona, galeotti uno spunto dall'impatto immediato e uno stile per fortuna sempre all'altezza. Potrei dire che è furbo, che è perfettino. Potrei dire che questa lettera aperta indirizzata a una figlia irraggiungibile – Marica: assente ma presente, incarnazione di un egoismo infantile che me l'ha presto resa presto detestabile – ricordi troppo altri romanzi, perfino La madre di Eva, presente nella stessa acclamata dozzina. Potrei dire che, dopo la complessità della prima parte, a poco serva lo stillicidio dei capitoli conclusivi, con battaglie vane e quei paesi dal destino già segnato in partenza. Tutto verissimo, sì, ma Resto qui gioca con sentimento e saggezza le sue carte scoperte. Emozionando con una storia di ordinaria resilienza, in cui una memorabile mamma coraggio si fa portabandiera di tutta una cultura sepolta e di ciascun genitore lasciato indietro dall'ingratitudine del sangue del suo sangue. Istruendoci sui torti e le prepotenze che i libri di scuola saltano a pie' pari. Dando alla resistenza un significato alternativo e il volto umano di un Beppe Fenoglio. Non servirà però farsi crescere le branchie, no. La lettura infatti è di quelle affatto accidentate, semplici e scorrevoli, che non troppo fanno dispiacere per la mancata vittoria – a chi piace in fondo vincere facile? Risulta scontato ma bello, tuttavia, andare alla deriva con Balzano. Tornano a galla allora i ricordi dolce-amari, il senso di ingiustizia profondissimo, le voci fantasma dei sopravvissuti all'abisso.

Anche le ferite che non guariscono prima o poi smettono di sanguinare. La rabbia, persino quella della violenza inflitta, è destinata come tutto a slentarsi, ad arrendersi a qualcosa di più grande di cui non conosco il nome. Bisognerebbe saper interrogare le montagne per sapere quello che è stato.

Resto qui: imperativo categorico di chi si è imputato, con i pugni chiusi sui fianchi e lo sguardo che non ammette repliche. È con piacere che non la si scontenta, Trina, e le si fa dunque spazio all'interno delle nostre giornate. Con lei, di conseguenza, c'è il bagaglio a mano di una storia che non è soltanto sua. La stessa che riserva forse meno sorprese di una narratrice avanti coi tempi, ma lascia con la curiosità, l'indignazione e l'incanto di spingersi fino alle soglie di questa moderna Atlantide sommersa. Con la speranza di scoprire altri travagli, altri segreti, sotto una superficie che intanto brulica di pesci e memorie.
Il mio voto: ★★★½
Il mio consiglio musicale: Roberto Vecchioni – Chiamami ancora amore

8 commenti:

  1. Adoro la canzone che hai scelto ma questa volta il libro mi incuriosisce poco!

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  2. Me lo ha detto anche Tessa! Devo metterlo in lista.
    Bella recensione. Pensavo, dopo averla letta, che gli accordassi mezzo punto in più.
    Lea

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    1. Purtroppo gliel'ho negata, Lea. Resta un compito ben fatto, ma comunque eccessivamente a tavolino per i miei gusti.

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  3. Ambientazione, trama e ambizioni non fanno proprio per me. Il suggerimento musicale ancora meno.
    Marco Bolzano resta qui, io me ne fuggo via ahahah :D

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  4. Lo sai, a me è piaciuto senza riserve, devo ancora recensirlo, qui il tempo è tiranno, ma credo otterrà un bel numero di Converse ;)

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