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Una questione privata, di Beppe Fenoglio.
Einaudi, € 12, pp. 192 |
Al
liceo, di malavoglia, imparavo a memoria i versi dell'Orlando
Furioso. Le donne, i cavalieri, l'arme e gli amori, le
audaci imprese. Di Ariosto, anni dopo, ricordo l'avventura di
Astolfo sulla luna ben più delle passioni della contesissima
Angelica. In sella all'ippogrifo del mito, il cavaliere volava in
cerca dell'ingegno che l'amico Orlando aveva smarrito: racchiuso in
un'ampolla e della stessa consistenza di un liquido sottile e
scivoloso. Facile lasciarselo sfuggire dalle mani, dalla testa, se
pazzi d'amore e di gelosia. All'università, anche se per vie
traverse, sono arrivato a leggere il romanzo postumo di Beppe
Fenoglio – in questi giorni, potreste incrociare il titolo su un
poster del vostro multisala di fiducia: è diventato un film dei
Fratelli Taviani, con Luca Marinelli per protagonista. Come il
paladino di Carlo Magno, anche Milton ha perso la testa. Vive una
doppia guerra, combattuta dentro e fuori se stesso. Vaga senza meta
da una parte all'altra di quelle Langhe cupe, sotto assedio, di una
storia breve e appassionata mossa da violente forze centripete.
Galeotti, ora come allora, una ragazza impossibile e un rivale
inatteso.
“E
cose allegre non ne traduci mai?” “Mai”. “E perchè?”
“Nemmeno mi vengono sott'occhio. Credo che scappino da me, le cose
allegre.”
Probabilmente
però, figlio di un macellaio di paese e accanito lettore di
letteratura americana, Fenoglio – come il suo protagonista,
partigiano nel 1943 – ai sospiri e alle rime del ciclo carolingio
non dovette pensare mai. Una questione privata,
incompiuto e parzialmente autobiografico, è il racconto di
un'ossessione che fa infangare le suole degli stivali e impazzire
l'ago della bussola. Si inizia e si finisce con i piedi in moto, un
ritmo marziale, e la nebbia. Quella che si posa come un drappo
pesante e confonde i percorsi, le intenzioni, i contorni. La guerra,
vissuta in prima persona, non è soltanto fuoco e rumore, ma
disorientamento. La violenza – dei sentimenti, dei gesti – ti fa
brancolare. Ti travia. C'è la nebbia, sì, quando Milton indugia
all'ingresso della villa di Fulvia. Lui di una bellezza spiacevole,
malinconica, con un talento per la scrittura e le lingue straniere,
due occhi assolutamente spiazzanti e troppo in comune con me. Lei,
irresistibile civetta con i vestiti leggeri, una sigaretta tra le
labbra e infiniti balli sulle note della Garland. Tra loro c'era
Giorgio, aitante figlio di papà contro cui Milton nulla ha mai
potuto: perché suo unico e migliore amico, perché sconfitto in
partenza.
Io
non sopporto più di non ballare mai con te.
Il
conflitto interrompe il loro triangolo. La resistenza e una domestica
con la lingua lunga portano poi dubbi su dubbi. Dov'è adesso Fulvia?
Lei e Giorgio, soprattutto, si sono amati per tutto il tempo alle sue
spalle? Ha inizio, così, una ricerca che minaccia di interrompersi
con la notizia che l'amico dal pigiama di seta – ora, ufficialmente
rivale – è caduto in mano ai fascisti. Milton non si arrende,
invece, e parte da qui. I suoi compagni non sanno che non è
questione di eroismo, bensì di cuore. Sempre in allerta, tra
calorosi gesti d'ospitalità e il cameratismo con commilitoni con cui
scambiarsi soprannomi e aneddoti, Fenoglio e il suo Milton
abbandonano il lirismo dei primi due capitoli per un prosieguo meno
godibile, secco e quasi spionistico, con il bellissimo contrappunto
della gelosia di lui tra le righe. Gli altri personaggi, mai presenti
in scena se non attraverso il ricordo, accompagnano l'affannarsi
solitario e disperato del partigiano.
Sono
sempre lo stesso, Fulvia. Ho fatto tanto, ho camminato tanto... Sono
scappato e ho inseguito. Mi sono sentito vivo come non mai e mi son
visto morto. Ho riso e ho pianto. Ho ucciso un uomo, a caldo. Ne ho
visti uccidere, a freddo, moltissimi. Ma io sono sempre lo stesso.
In
Una questione privata, per
fortuna, si parla più del cuore che del fucile, nonostante la
frenesia e la crudeltà prendano il sopravvento in un finale
misterioso che finale non è. Per me, eppure, è perfetto così.
L'anti-eroe dello scrittore piemontese cerca un ostaggio per fare a
cambio con Giorgio. Un senso all'amore suo e alla guerra degli altri.
Cerca in lungo e in largo, bagnandosi nella pioggia e rotolando sui
fianchi delle colline, per il gusto di continuare a correre e cercare
ancora. Per la paura di morire fermandosi. Di scomparire al levarsi
di una foschia densa, imperitura, costante, in cui si trattiene il
respiro peggio che sotto il fuoco incrociato della trincea. E forse
trova tutto, Giorgio e Fulvia, un senso e il ristoro, il coraggio di
frenare finalmente la sua corsa, da qualche parte oltre la nebbia. Da
qualche parte, oltre l'arcobaleno.
Il
mio voto: ★★★½
Il
mio consiglio musicale: Fabrizio De Andrè - La canzone dell'amore
perduto
Ciao Michele. Questo libro non l'ho letto. Ma le parole che hai scritto mi hanno fatto capire che potrebbe essere una storia per me. Poi va beh, hai scelto De Andrè, io ci sono cresciuta, le canzoni le conosco quasi tutte a memoria (a parte quelle in dialetto). Un abbraccio
RispondiEliminaCiao, Baba! Lettura fuori porto, almeno per me, ma da fare. Di De Andrè confesso amaramente di amare i testi, ma di non essere invece un fan del suo timbro, di questo vocione cavernoso.
EliminaDella canzone in questione, ad esempio, di solito ascolto la versione di Battiato: delicatissima, anche di più.
Allora, tu immagina che io da bambina e ragazzina ascolavo solo De Andrè perchè mio padre era monotematico. Quindi, che mi piacesse o meno...ho imparato tutte le canzoni a memoria. Per un periodo ero satura, così l'ho preso in antipatia, ma passata la crisi...continuo ad ascoltarlo spesso e a dire la verità mi piace tanto la sua voce. La versione di Battiato non la conoscevo, andrò ad ascoltarla con piacere!
EliminaComprendo il periodo di "intolleranza", e anche che il suo timbro piaccia molto. Decisamente.
EliminaUna curiosità, ora che ci penso: Luca Marinelli, l'attore che nella trasposizione di Fenoglio interpreta Milton, sarà De Andrè in una fiction Rai. Segni? :)
Uh, che nostalgia. Ricordo che al liceo avevo fatto una bella indigestione di Fenoglio ed ero tra le poche ad avere apprezzato sinceramente le letture imposte. Anzi, avessi tempo, dopo averlo ricordato lo rileggerei :)
RispondiEliminaAl liceo, purtroppo, al Novecento non siamo arrivati, se non di sfuggita. All'università, invece, non ho messo nel piano di studi Letteratura italiana moderna e contemporanea, e me ne pento. A Fenoglio mi ci ha portato un amico che scriverà la tesi sui suoi racconti. Magari, mi invoglierà a leggere anche quelli. Per solidarietà, e perché ci si fida dei suoi gusti. ;)
EliminaSu grande schermo come su carta il tutto mi pesa troppo. Non me ne vogliano il bel Marinelli o Fenoglio, ché poi in programma mai l'ho avuto. Va a capire perchè.
RispondiEliminaIl romanzo, per fortuna, non pesa.
EliminaL'azione dell'ultima parte ha impedito che fosse amore, però a tratti che poesia. Nei sentimenti, nel triangolo, è accuratissimo. Milton ti piacerebbe molto.
Ma daiiiii wow non lo sapevo. Segno, segno :-) grazie
RispondiEliminaPer così poco! A te. ;)
EliminaUltimamente penso spesso a leggere Fenoglio, ho già varie opere sul mio kindle (con cui sto facendo conoscenza pian piano, ma è comodissimo!)
RispondiEliminaIo ne ho una versione davvero basica, vecchissima, però è comodo, sì. Fammi sapere, poi, da cosa parti. :)
EliminaAdoro la scrittura di Fenoglio e questo, che probabilmente è il suo libro più famoso, ancora mi manca. Bellissima recensione, e non sapevo nulla del film... Dal canto mio, ti consiglio vivamente "La paga del sabato" :)
RispondiEliminaGrazie, Julia! Segno!
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