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lunedì 20 marzo 2017

Recensione [Bancarella 2017]: La locanda dell'Ultima Solitudine, di Alessandro Barbaglia

Ci sono tre motivi per cui vale la pena andare. Il primo è perché si mangia bene. Il secondo è perché ci si può andare solo in due. Il terzo è perché laggiù ci impari a vivere. E quindi, anche, a morire. 

Titolo: La locanda dell'Ultima Solitudine
Autore: Alessandro Barbaglia
Editore: Mondadori
Numero di pagine: 163
Prezzo: € 17,00
Sinossi: Libero e Viola si stanno cercando. Ancora non si conoscono, ma questo è solo un dettaglio. Nel 2007 Libero ha prenotato un tavolo alla Locanda dell'Ultima Solitudine, per dieci anni dopo. Ed è certo che lì e solo lì, in quella locanda arroccata sul mare costruita col legno di una nave mancata, la sua vita cambierà. L'importante è saper aspettare, ed essere certi che "se qualcosa nella vita non arriva è perché non l'hai aspettato abbastanza, non perché sia sbagliato aspettarlo". Anche Viola aspetta: la forza di andarsene. Da anni scrive lettere al padre, che lui non legge perché tempo prima, senza che nessuno ne conosca la ragione, è scomparso, lasciandola sola con la madre a Bisogno, il loro paese. Ed è a Bisogno, dove i fiori si scordano e da generazioni le donne della famiglia di Viola, che portano tutte un nome floreale, si tramandano il compito di accordarli, che lei comincia a sentire il peso di quell'assenza e la voglia di un nuovo orizzonte. Con ironia leggera, tra giochi linguistici, pennellate surreali e grande tenerezza, Alessandro Barbaglia ci racconta una splendida storia d'amore.
                                            La recensione
In equilibrio su uno scoglio sperduto tra cielo e mare sorge una locanda che più esclusiva non si può: il posto più bello del mondo. Da quel legname un manipolo di soldati avrebbe dovuto intagliare una nave per scappare in America. Un bambino assennato, però, aveva preferito la terra ferma al rischio dell'alta marea. Adesso ci lavorano il fondatore, Enrico, e un ometto baffuto. Ci si può soggiornare in pochissimi per una cena romantica. Il locale non ha che un tavolino con due sedie. Possono prenotare solo due persone. O due persone sole. Il telefono squilla e sì, si accettano prenotazioni. Ma la voce dall'altro capo del filo è di un giovane uomo, Libero, che riserva un posto con dieci anni d'anticipo. E' il 2007 e lui, inghiottito da un'anonima e tentacolare metropoli, non ha ancora nessuno con cui andare. Confida nel tempo e nella venuta dell'anima gemella. Libero di nome ma, nei fatti, prigioniero del suo stesso senso di attesa. Nel mentre divide un appartamento vuoto e dipinto di blu con un cane, Vieniquì, e un baule con un singolo biglietto sul fondo. 
Al di là delle colline, in un posto incantato che si chiama Bisogno, c'è l'irrequieta Viola. Vive in una casa preclusa al sesso maschile ed è l'ultima di un albero genealogico in cui, oltre ai nomi floreali, ci si tramanda l'arte di accordare i fiori scordati. Nel caminetto imbuca lettere a un padre che si è allontanato per non mostrarsi sofferente e l'arrivo del nuovo parroco, Piter, accresce in lei il connaturato desiderio di altrove. Libero e Viola sono i protagonisti principali di un esordio italiano subito candidato al Premio Bancarella. Sappiamo che la storia parla di loro, ed è una storia d'amore. Però, a lungo, vivono lontanissimi e in capitoli alterni. Quanti chilometri li separano, quali scelte, se lui va a convivere con un'altra donna e lei rischia di abbracciare passivamente un destino prestabilito? Come ci cambiano dieci anni? Soprattutto, si può avere nostalgia delle cose che non sono mai accadute? In un attimo lungo una vita ci si trova protagonisti di una relazione sbagliata, della routine, di un rapporto affettivo che non sa emozionare. Della pianificazione di una fuga perfetta che, dopo mille tentativi vani, diventa frustrante. 
Sono un lettore impaziente, facilmente annoiabile, d'indole poco poetica. Non ho mai apprezzato fino in fondo, per dirvi, le rose e le volpi del Piccolo principe: letto forse quando era troppo presto o forse no. Precisazione doverosa se si parla di un romanzo leggero, onirico e delicatissimo come questo. Se, come ho fatto io, si entra nel favoloso mondo di Alessandro Barbaglia con un vago scetticismo di fondo. La locanda dell'Ultima Solitudine non era la mia tazza di tè. Lo prendo nero, meno zuccherato possibile. Centocinquanta pagine dopo i miei gusti non sono cambiati. Però Alessandro e i suoi innamorati sui generis, che si cercano ma non lo sanno, sono davvero dei bei tipi. Surreali ma belli, come diceva qualcuno nella commedia in cui il libraio s'innamorava della principessa di Hollywood. Anche se alle perle di patate preferisco una saporitissima carbonara. Anche se alle fiabe e alle prose così mi abbandono in ritardo, ma de gustibus. Nella Locanda dell'Ultima Solitudine, fatto sta, c'è una serenità straordinaria: ti disturbano solo le onde e il vento. Servito e riverito, attorniato da un interessante cicaleggio, ne guadagni in ottimismo e buonumore. Ti godi le sensazioni lievi, le suggestioni sparse, gli spunti. La tintarella di luna di un gioco immaginifico ed esistenzialista. Il menu è semplice, la compagnia è buona, lo scenario affascinante. Il pernottamento confortevole e, al mattino, il tremolar della marina invoglia a fare il bagno nudi. Lasci una mancia abbondante alla cassa. Arrivi solo e riparti in coppia. Magari, ti dici, prima o poi ci torno.
Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale: Ermal Meta – Ragazza Paradiso 

10 commenti:

  1. Anche a me le favole e le "prose così" non prendono subito, infatti il romanzo l'ho iniziato e messo in stand bye. In quel momento avevo bisogno di qualcosa di più reale, ma probabilmente ci riproverò!

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    1. Ti dico la verità, l'ho letto solo per via del Bancarella. Non mi ha mai ispirato, non faceva per me sin dalle premesse, però non l'ho patito. Anzi. Rispolveralo quando sei in vena di un po' di magia. :)

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  2. Mi sa che questo libro potrebbe non essere nemmeno la mia tazza di tè.
    Però non sembra neanche troppo malvagio...

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    1. Come film, uno di quelli parigini e super radical chic, lo vedrei molto bene. Il romanzo è carinissimo, poco da dire, ma preferisco altro.

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  3. Mi piace la tua recensione, delicata così come lo è il libro, nonostante non sia il tuo genere. A me è piaciuto molto, ho apprezzato soprattutto il trattare certi temi profondi con lievità ma non con leggerezza.
    Un abbraccio, Stefi

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    1. Concordo con Stefi. Bravo Michele...ho capito perfettamente quello che intendevi.
      Ciao da Lea

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  4. In ritardo, ma eccomi qui!
    Mi è piaciuta molto la tua recensione che mi ha permesso di completare ulteriormente il quadro di quello che mi attende. Leggerò il romanzo il prossimo mese e saprò dirti se la mia idea si accosterà più alla tua o a quella di Stefi. Buone letture :)

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    1. Ti ringrazio! Buone letture (intanto ho quasi finito Gocce di veleno: sto scombussolando tutta la scaletta, oh). :)

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