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sabato 22 ottobre 2016

Recensione: Quello che non sai di me, di Meg Wolitzer

Scoprire i sentimenti di un altro essere umano, di una persona che non sei tu. Andare oltre la maschera. Cercare uno sguardo più profondo. 
Scrivere dovrebbe servire a questo.

Titolo: Quello che non sai di me
Autrice: Meg Wolitzer
Editore: Il Castoro – HotSpot
Numero di pagine: 270
Prezzo: 15,50
Sinossi: Jam ha sedici anni, è distrutta dalla scomparsa del suo fidanzato e fatica ad andare avanti con la sua vita. Dopo più di un anno i genitori decidono di mandarla alla Wooden Barn School, un college in campagna specializzato in ragazzi “fragili”, incapaci di superare eventi tragici che hanno segnato le loro vite. All’inizio niente sembra aiutarla, poi Jam viene assegnata, insieme a pochi altri alunni, al misterioso e ambitissimo Corso Speciale d’Inglese della signora Quenell. Un unico libro da leggere e condividere, La campana di vetro di Sylvia Plath, e un diario da scrivere, in cui raccontare le proprie esperienze. La scrittura dei diari apre l’accesso a un mondo apparentemente idilliaco, un luogo in cui tutti possono continuare a vivere come se la tragedia che ha cambiato le loro vite non fosse mai avvenuta. E Jam può sentire di nuovo le parole di Reeve, la sua pelle, il tocco delle sue mani. Ma non ci vuole molto perché quel luogo incantato riveli che tutti i compagni nascondono un segreto nel loro passato. Quale sarà il segreto di Jam? Attraverso un’avvincente esplorazione della psiche umana, Meg Wolitzer racconta che cosa significa perdere qualcuno, o qualcosa, che ami. E poi perderlo un’altra volta.

                                             La recensione
A sedici anni ci si può ammalare di depressione? Dopo trentuno giorni di conoscenza, si può giurare che è grande amore e piangerlo notte e giorno, se poi malauguratamente lo si perde?
Jam hai i capelli lisci e scuri, una famiglia tranquilla, un dolore incondivisibile. A scuola ha conosciuto Reeve, studente inglese protagonista di uno scambio culturale: è stato autentico colpo di fulmine, con i suoi maglioni sfilacciati, il suo umorismo british, un accento irresistibile con cui compensare a un fisico da spilungone. Si sono innamorati presto, loro due, e altrettanto presto si sono separati: un incidente misterioso, e ora Jam è sola e inconsolabile. Tutti le dicono che, in fondo, non si conoscevano neanche molto. Tutti le dicono che, un giorno, le lacrime finiranno e il dolore, così com'è affiorato, svanirà. Invece, quella voglia di dormire e non svegliarsi mai più, il groppo in gola, non passa: spaventati al pensiero che possa farsi del male, i genitori la iscrivono alla Wooden Barn School. Un istituto tagliato fuori dal mondo – non c'è una connessione internet, né campo per i cellulari -, in cui riunire persone tali e quali a lei. Giovanissime, eppure già stanche di vivere; povere anime messe a dura provate dal mondo. Quello che non sai di me, nuovo titolo della pregevole collana per adolescenti HotSpot, ha inizio con l'ingresso della protagonista in queste scuola popolata da ragazzi fragili e cure che non prevedono ansiolitici, bensì pagine di diario da stilare due volte a settimana. Ammessa nel Corso Speciale di inglese della misteriosa signora Quennell, insegnante a un passo dal pensionamento, Jam divide l'aula con altri quattro studenti: impareranno a conoscersi, e a capirsi, sulla scia degli scritti di Sylvia Plath, poetessa statunitense morta suicida all'età di trent'anni. Una buona idea, se già di tuo tendi a essere in preda allo sconforto, studiare vita, morte e miracoli di un'autrice che la fece finita infilando la testa nel forno a gas? Costruttivo respirare la stessa aria, dividere i pasti e i compiti per casa, con coetanei che forse se la stanno passando addirittura peggio di te? Il romanzo di Meg Wolitzer, debutto dell'apprezzata autrice di Quando tutto era possibile nella narrativa per ragazzi, è un young adult rarissimo: colto nelle citazioni, raffinato, scritto con leggerezza e giudizio. 
A metà strada tra le atmosfere di Breakfast Club e quelle di Ragazze interrotte, ha inizio in maniera consueta: una protagonista chiusa a riccio, un nuovo inizio altrove, compagni di corso da mettere a fuoco – tra questi, l'immancabile bel ragazzo che tutto sembra domandarle, tranne una storia d'amore. La sua grande particolarità: i riferimenti a The Bell Jar, capolavoro dagli spunti autobiografici della Plath, che il titolo originale omaggia apertamente. I protagonisti, infatti, si trovano sotto una “campana di vetro”, che tende a isolarli da tutto e da tutti, con la sola compagnia del loro violento senso di colpa. Nei piani dell'illuminata professoressa Q., allora, il desiderio che i suoi allievi sull'orlo di una crisi di nervi mettano nero su bianco le loro storie, affidandosi a diari da restituire alla fine delle lezioni. A questo punto, Quello che non sai di me si tinge di fantastico: la scrittura getta i protagonisti come in uno stato di trance e, con la penna in pugno e un foglio bianco davanti, i cinque rivivono il giorno in cui tutto è andato per il verso storto.
Con la variante, però, di poterlo rivivere senza drammi: Jam ha ancora il suo fidanzatino inglese, Sierra un fratello vivo e vegeto, Marc un padre traditore ma presente, Casey l'uso degli arti inferiori, lo scontroso Griffin un granaio poi raso al suolo da una scintilla vagante. Una pagina bianca: infiniti mondi. Possono rifugiarsi lì, nell'illusione, e non tornare più indietro? Cosa succederà quando, inevitabilmente, le pagine del diario si esauriranno? Nome in codice per parlare senza dare troppo nell'occhio di quello splendido non-luogo, di un mondo dell'inconscio in cui tutto è possibile: Beljhar. Onesto e ironico dramma corale, per nulla stucchevole e sospiroso, Quello che non sai di me è un romanzo semplice, immediato, ma dal bagaglio pesante. Tra le righe, un colpo di scena ad effetto sul passato di Jam – ognuno usa mezzi diversi per proteggersi, lo spiegava anche Alejandro Palomas nel recentissimo Un figlio; ognuno ha i propri sassi nelle scarpe –, insieme al vago senso di déjà vu legato a un messaggio scontato, ma necessario. A proposito di lenzuola da scalciare via e letti da abbandonare con il piede giusto, di miraggi da non assecondare, di vestiti a lutto da riporre nell'armadio. 
Soprattutto se hai sedici anni. Soprattutto se niente è come appare. 
Dietro una vicenda come tante, un'ispirata metafora sul potere della scrittura: sgrammaticata o rigorosa che sia, non importa. Perché scrivere – scriversi libera, consola, porta alla luce i fantasmi. E così, smascherati, non fanno più paura. Io lo so.
Il mio voto: ★★★½
Il mio consiglio musicale: Gnash – I hate U, I love U (ft. Olivia O'Brien)

22 commenti:

  1. Non conosco questo romanzo, ma amo molto l'autrice. Mi piace il suo stile, anche il suo modo di accarezzare il mondo onirico, di mescolarlo alla realtà (normalmente rifuggo dal mix), come ne La città delle ribelli. Anche se per me il suo miglior romanzo rimane Quando tutto era possibile. Proverò questo YA, genere nel quale non sono a mio agio, ma mi hai messo la pulce nell'orecchio! :)

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    1. Secondo me, è uno YA non solo per giovanissimi.
      Certo, la morale è sempre la stessa, come dicevo.
      Certo, la Wolitzer - brava, non c'è dubbio - fa la differenza sostanziale, insieme ai riferimenti alla Plath, che ora voglio leggere. :)

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  2. Mmmm non so, da una parte mi incuriosisce, dall'altra non credo sia il libro per me... Ci penso! Bella recensione come sempre!

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    1. Eh, ma ultimamente ti colgo in flagranza di reato con certi romance della Newton Compton... :-P
      Ti ringrazio, Dani!

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    2. Ahahahaha hai ragione! Il potere delle challenge! ;)

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    3. Le challenge sono peggio dei regimi nelle distopie, lo so! :-D

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  3. Di Meg W. ho letto "quando tutto era possibile", un bel mattone che mi ha da un lato affascinata, per la prosa elegante e impeccabile, dall'altro annoiata, perchè la storia sembra lasciar spazio a molte scene obsolete. Tuttavia te lo consiglio :)

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    1. Devo recuperare, ti ringrazio!
      Onestamente, non conosco neanche la trama. :)

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  4. Sembra adolescenziale e deprimente abbastanza da potermi piacere. :)

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  5. Mmmmmmm...un po' mi intriga per il potere salvifico della scrittura e per lo stile, un po' mi respinge per le atmosfere "depressive"...segno e ci penso.
    Ciao Mick!

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    1. In realtà, Stefania, me lo figuravo molto più depresso.
      Si mantiene spedito e discorsivo, nonostante tutto.
      E, senza dirti troppo, nulla - per i protagonisti - è del tutto irrisolvibile. Anche nell'ambito dei YA, vedi Raccontami di un giorno perfetto, ce ne sono di più disperati. :)

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  6. I romanzi che vogliono un po' ''deprimere'' il lettore per poi tirarlo su con delle riflessioni contenute in bellissime frasi io li adoro ♥ E dalla tua recensione Quello che non sai di me sembra proprio uno di questi...

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  7. Le storie sul potere della scrittura le adoro. L'avevo già inserito in wishlist e la tua recensione mi ha ulteriormente convinta. Poi c'è qual colpo di scena finale che vorrei tanto scoprire ^^ Spero di riusire a beccarlo all'usato prestissimo!
    Un salutone :)

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  8. Ciao Mr Ink, io sto finendo proprio Raccontami di un giorno perfetto e per due/tre mesi mi basta così. Ho intenzione di rifugiarmi tra le pagine di un libro ironico.
    un saluto da Lea

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    1. Qui, però, siamo in altri territori, nonostante l'aria apparentemente tragica. Però hai ragione: con gli adolescenti tristi, per un po', hai dato. :)

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  9. carino...
    cioè a questo tipo di ibro che ci vuoi dire?
    è carino, sicuramente, ma di più non direi

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    1. Be', romanzo per adolescenti ispirato a Sylvia Plath, su depressione cronica, elaborazione e scrittura...
      "Carino" mi sembra limitante, nonostante non sia perfetto. ;)

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  10. quando c'è un dramma di mezzo, io mi sento a casa.
    Un altro titolo da segnarmi :-D

    ciao, buona giornata! ;)

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