Lui
è un rabbino da poco uscito da una lunga relazione e in attesa della
promozione della vita. Lei, invece, è l’autrice eternamente single di un popolare podcast sul
sesso. Come nel più classico dei boy meets girl
degni di questo titolo, i due – per quanto siano agli antipodi – si incontrano e
fanno le scintille promesse. Le famiglie e gli amici, intanto, borbottano.
Facendo leva sull’ormai abusato effetto nostalgia, Nobody Wants
This è giù un successo rinnovato in tempi record per una seconda
stagione. La formula, semplice ed efficace, si limita a far
innamorare due degli attori più iconici di una generazione fa – e
a farci innamorare nuovamente di loro, ormai bellissimi e spiegazzati quarantenni.
Peccato che, a dispetto del talento del redivivo Adam Brody e della
prezzemolina Kristen Bell, la loro serie sia una comedy innocua,
antiquata, alquanto noiosetta (userei gli stessi aggettivi per il
film Tutti tranne te, similmente accolto alla stregua di
classico istantaneo), che fa parlare di sé soltanto perché i
leggendari Seth Cohen e Veronica Mars si scambiano per la prima volta
tenerezze. Più che a una serie Netflix di ultima generazione,
somiglia a uno di quegli show dei primi anni Duemila rubati agli
oziosi pomeriggi adolescenziali di Italia Uno. Che il titolo avesse
ragione? (5,5)
Nick e Charlie stanno crescendo. Ormai sedicenni, iniziano a
porsi i primi problemi dei grandi: disturbi alimentari, sesso e università tra cui scegliere. Dolcissimi come sempre, anche se più
provati che in passato, continuano a essere l’anima di una commedia
romantica surreale ma bella, che poco somiglia, purtroppo o per fortuna,
all’adolescenza odierna. In un mondo senza bullismo né
discriminazioni, questa volta appare eccessivamente forzata la
dimensione corale: pur di includere in ogni puntata quei comprimari
variopinti, amichevoli, queer, salta puntualmente fuori una festa, un
campeggio, un concerto. Non c’erano modi meno macchinosi, mi domando, per
riunirli? Nella stagione più ripetitiva e monotona, però, si
nasconde a sorpresa anche l’episodio più prezioso delle tre: un
gioiello di scrittura e sensibilità – due punti di vista
complementari, lo struggimento della lontananza, un corto
sperimentale girato la notte di Halloween – che si termina con gli occhi lucidi e il sincero bisogno di averne altrettanti di così ispirati. Sarebbe
stato un finale di stagione ben più memorabile da quello scelto
dagli sceneggiatori. Per Kit Connor e Joe Locke, nel frattempo, si
prospettano carriere in crescita. Quanto toccherà aspettare per
ritrovarli? (7)
Li
ho conosciuti all'età di quindici anni. Li ho incontrati
nuovamente dopo aver spento trenta candeline. Emma e Dexter – una delle mie
coppie preferite di sempre – tornano a un
decennio di distanza dall'omonimo film. Ci
pensa Netflix, che promette maggiore aderenza al romanzo e offre un ottimo trampolino di lancio a due interpreti che
faranno strada: Leo Woodal e Amika Mod. Fedelissima al
materiale di partenza – a tratti anche
troppo –, questa seconda trasposizione ripropone tutti gli elementi
del libro cult: meno, purtroppo, la magia tra i protagonisti.
Bravi ma troppo acerbi, gli attori mancano di chimica e fanno
rimpiangere Jim Sturgess e Anne Hathaway. Non aiuta il pressappochismo della messa in scena.
Nonostante una storia d'amore lunga vent'anni, Emma e Dexter non sembrano invecchiare mai: Woodal, ad esempio, conserverà il ciuffo biondo del
primo episodio per tutto il tempo. Nonostante
l'iconicità degli anni Ottanta-Novanta, inoltre, non sono riuscito a
respirarli: l'algoritmo appiattisce tutto
sotto un'aria patinata e, in nome dell'inclusività, regala al
personaggio femminile origini indiane. Ho preferito il romanzo?
Assolutamente. E il film – sì sintetico, ma capitanato da un
eccezionale duo attoriale? Sì. Ho pianto comunque,
arrivando a un epilogo arcinoto? Inutile chiedermelo. Non mi
riprenderò mai da questa cotta, né dal crepacuore che ne consegue.
(6,5)
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