All'inizio
l'avevo sottovalutata, scambiandola per una specie di American Pie. Ma capace com'è di alternare i momenti
goderecci alle riflessioni, a sorpresa, Sex
Education è una serie che cresce di stagione in stagione. E la
terza, per me, è la più bella finora prodotta. Matura e inclusiva
come non mai, oltre a seguire l'evoluzione di personaggi ormai
amatissimi, ha un occhio di riguardo verso il mondo
queer. E l'amore platonico tra l'atleta popolare e il nuovo
personaggio non binario, insieme a una scena che affronta la tematica tabù di sesso e disabilità, è di una delicatezza commovente.
Di mezzo ci si mette anche la preside Jemina Kirke, cattiva ma non
troppo, che per riportare ordine impone divise inamidate e etichette. Nell'impossibilità di
esprimere sé stessi, i personaggi sentiranno nostalgia delle lezioni
impartite da Otis e Maeve: ormai ai ferri corti – lui in una
relazione segreta con Ruby, lei presissima da Isaac –, per un po' si sfiorano a malapena ma faranno scintille in gita. Come può Aimee superare il trauma delle molestie?
Con chi possono confessare Eric e Adam, dopo un clamoroso coming out, le prime titubanze? C'è qualcosa di sbagliato nelle
fantasie di Lily, che si eccita soltanto con racconti sugli alieni?
Mentre gli adulti spiazzano tutti con una gravidanza imprevista – è
fiocco roso per Gillian Anderson –, gli sceneggiatori non dimenticano di
approfondire i comprimari né di stare al passo. La serie elogia il sesso, in qualunque sua
forma, ma condanna il sessismo. Dà voce a ogni identità di genere,
mette in mostra ogni corpo. È empatica e formativa, senza mai
scadere nel didascalismo: la farei vedere a scuola, vorrei viverci
dentro. Perché insegna stare meglio al mondo, e con più leggerezza. (8)
Era
la coccola di cui avevo bisogno, soprattutto per riprendermi dai
postumi dell'estate appena passata. Ma dopo quel debutto dolce e
brillante, finito nel meglio della sua annata, questa volta Modern
Love non propone né sensazionali parate di stelle (gli attori
più famosi sono Minnie Driver, Anna Paquin e Kit Harrington: pochi e
televisivi) né lacrime durature. Di otto episodi ne ho apprezzato fino in fondo soltanto tre. Il primo (la macchina del defunto marito Tom Burke da dare via: preparate i fazzoletti), il sesto (due anime
tradite si incontrano e fraternizzano in fila da un terapista: dirige
il regista del bellissimo Brooklyn), il settimo (dopo un'isolata
notte di passione, due ragazzi gay si incrociano lungo le strade di
New York con un espediente narrativo a metà tra Closer e The
Affair). Godibili il secondo e il terzo (piccole commedie indie
che azzeccano i ritmi e le tematiche, ma sbagliano purtroppo il cast:
peccato), di una noia inenarrabile il quarto e il quinto (il primo
amore di una stand-up comedian e la scoperta di sé di
un'adolescente, forse lesbica, forse asessuale), stucchevole ma
guardabile il conclusivo (troppa carne al fuoco, tra ritorni di
fiamma e malattia, per non scontentare gli inguaribili sentimentali).
Tutt'altro che moderna, romantica a tratti, a questo giro non vi farà innamorare. (6)
D'un
fiato, anche se in ritardo sulla tabella di marcia, ho recuperato anche la quinta stagione di This is us.
Nonostante i momenti di commozione non si siano negati, complice i ritmi del binge watching, per me è forse la stagione più discontinua e
frammentaria del ciclo: soprattutto dopo i fasti impensati della
precedente, di una magia pari a quella dell'esordio. Trovo saggia perciò,
come annunciato da cast e produttori, la scelta di salutare per sempre la famiglia Pearson il prossimo anno: la sesta stagione sarà l'ultima. I flashback e i flashforward sono introdotti disordinatamente,
con flebili fili conduttori a unirli. La costante presenza del Jack
di Milo Ventimiglia, a malincuore, appare sempre più forzata. Ma se
un Kevin neopapà si conferma il mio preferito dei tre fratelli e
Kate, invece, la più insopportabile, sorprende constatare quanto a
tenere banco siano quei comprimari un tempo in secondo piano:
l'adorabile zio Nicky, la madre biologica di Randall, Beth, Toby,
Miguel e soprattutto Madison, futura sposa di Kevin. L'emergenza sanitaria ancora in atto avrà fatto
sicuramente la sua parte, guastando i piani di gloria degli
sceneggiatori. E per la prima volta, così, viene messo in scena in
TV il dramma delle mascherine antisettiche, degli abbracci
centellinati, della degenza. Il pregio? Benché dimenticabili, questi
quindici episodi sono la campagna vaccinale più efficace su piazza. Per questo e per l'affetto che ormai ci lega, gli perdoniamo
qualche sbadiglio qui e lì. (7)
Comedy su un adolescente autistico alle prese con le gioie e i dolori della
crescita, è la serie che più mi ha tenuto compagnia negli anni. Giunta alla quarta stagione, non senza qualche tempo
morto nel mezzo, Atypical ci dice addio senza grandi sensi di
colpa. Il protagonista, Sam, è cresciuto: ha ormai una fidanzata di lunga
data, convive con il migliore amico e, a dispetto della sua diagnosi,
punta con energia a ottenere l'indipendenza economica e affettiva.
Punta a un viaggio in Antartide, soprattutto, per andare a vedere
finalmente di persona i suoi animali preferiti: i pinguini, che
guarda incantato allo zoo e di cui conosce le caratteristiche a
menadito. Ma questa non è più soltanto la sua storia.
Nel corso del tempo Atypical ha riservato sempre più
attenzione ai personaggi secondari, al punto da seguire nel dettaglio
tutti gli altri membri della famiglia Gardner. Mentre i genitori si
riavvicinano, dopo il tetro pensiero di divorziare, la
sorella maggiore – Casey, il personaggio più in divenire –
esplora con consapevolezza i propri limiti e la propria sessualità.
Non tutto fila come dovrebbe. Anzi, questa volta dieci episodi
sembrano troppi e troppo tirati per le lunghe: trascinandoci, lasciano
percepire la pochezza di una trama ormai giunta alle battute
conclusive. Al pari di The Kominsky Method (vista,
ma senza Alan Arkin nel cast perché scriverne?), Atypical si
conclude a malincuore con la stagione più debole e dimenticabile. Ma il finale,
dolce e conciliante, compiuto, ripaga comunque le attese. (6,5)
La
poetessa americana Emily Dickinson raccontata in versione
post-moderna. Non soltanto una trascinante colonna sonora
contemporanea e un linguaggio colorito, ma anche: la scrittura
febbrile, la speranza e il terrore di essere pubblicata, il
sempiterno flirtare con i mostri e i fantasmi della mente umana, la bisessualità.
Dopo un esordio folgorante, finito a pieno diritto nel meglio della sua annata, la
serie Apple non rinnova il colpo di fulmine ma nemmeno delude. Fresca e
godibile, benché sottotono rispetto ai fasti del debutto, non può
contare più sul precedente effetto sorpresa e patisce la concorrenza
della recente The Great –
altro period drama maleducato e dissacrante, ma dalla sceneggiatura
più graffiante: recuperatelo! Gli episodi belli per fortuna non
mancano – vedasi l'ottavo –, insieme ai comprimari adorabili.
Qualcuno ha citato Austin e Lavinia, il fratello e la sorella di
Emily? La definizione, invece, mal si addice ahimè a Sue: l'interesse
amoroso della protagonista, al centro di un inossidabile triangolo
sentimentale, è uno dei personaggi più insopportabili del piccolo
schermo. L'ex bambina prodigio Hailee Steinfeld, ribelle e appassionata, sin troppo in un
epilogo che non convince per via del suo telefonato ritorno di fiamma, si
conferma una magnetica padrona di casa. La sua storia troverà
conclusione a novembre, sempre su questi schermi: la terza stagione, per la giovane Emily, sarà
l'ultima poesia. Il prossimo mese lecito confidare nel proverbiale canto del cigno? (7)
Abbiamo idee diverse su Sex Education 3, purtroppo ho trovato poca crescita dei personaggi, poche riflessioni, e tematiche sì importanti, ma poco approfondite. Concordo con te su Modern Love, purtroppo indietro rispetto alla prima.
RispondiEliminaHo lasciato la famiglia Pearson alla terza stagione, purtroppo non mi ha più dato stimoli come una volta nel proseguire, però prima o poi ci torno.
Dickinson mi piace, ma non mi colpisce, anche questa seconda stagione, a distanza di tempo, mi ha lasciato un ricordo neutro, né positivo né negativo, che forse è peggio di una completa bocciatura. Devo recuperare The Great
The Great, credo, ti piacerebbe un sacco.
EliminaAspetto il tuo parere, a breve arriva anche la seconda stagione. ;)
d'accordissimo con te su sex education, la farei vedere a scuola anche io. le altre non le ho viste ma quelle che mi ispiravano inzialmente sono atypical e this is us ma c'è qualcosa che mi blocca, forse eccessivamente sentimentali? non so..
RispondiEliminaTi consiglio di provare entrambe. Atypical è una comedy molto classica, con momenti toccanti ma senza grandi melodrammi. This is us vuole farti sprimacciare tutti i kleenex del mondo, invece, e ci riesce!
EliminaCiao Ink, tra queste serie ho visto solo Dickinson: non mi fa impazzire, ma l'ho trovata una serie gradevole :-)
RispondiEliminaSicuramente gradevole, e con una marcia in più grazie al suo spirito punk. :)
EliminaDi questi ho visto solo Modern Love e sono d'accordissimo sugli episodi migliori e su quelli peggiori; e This is Us che, sì, inizia a zoppicare, ma finalmente regala una dignità maggiore a un personaggio fin troppo bistrattato come Kevin.
RispondiEliminaKevin, a questo giro, conquista. Mentre, purtroppo, Jack comincia a venire a noia...
EliminaL'idea di far vedere Sex Education nelle scuole è ottima. Non so in quanti la seguiranno, ma visto che tu sei un insegnante potresti dare il buon esempio. ;)
RispondiEliminaSenza troppo sforoz, This Is Us sempre garanzia di ottime sceneggiature. E pure di lacrime. :)
L'ultima stagione di Atypical forse un po' deboluccia a tratti, ma Casey da sola è bastata per renderla comunque imperdibile. A questo punto vorrei uno spin-off su di lei.
La seconda stagione di Dickinson mi ha abbastanza deluso, con troppi episodi inutili, però resto fiducioso nella terza.
Aspettiamo la terza, allora, e l'addio dei Pearson. Nel dubbio, uno già fa scorta di fazzolettini!
Elimina