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sabato 10 aprile 2021

Sulla bocca di tutti: WandaVision | It's a Sin | Speravo de morì prima

Lei, sorridente e con una messa in piega inappuntabile, è la classica mogliettina pronta ad accogliere gli ospiti alla porta. Lui, impiegato sottopagato, si dedica a testa bassa al lavoro d'ufficio ma nasconde un'identità segreta. Lei strega potentissima, lui robot dal cuore d'oro, sono moglie e marito su uno sfondo saltato fuori dagli anni Cinquanta. Cosa hanno da spartire Wanda e Visione – due degli eroi più amati della squadra degli Avangers – con quelle sitcom senza tempo in stile Vita da strega? Cosa ho da spartire io, ancora, nemico giurato delle produzioni Marvel, con la serie più attesa e chiacchierata dei fumetti? Bene a conoscenza degli eventi del MCU grazie agli spoiler frequentissimi di amici e parenti, ho approcciato la serie in nove episodi senza confusione. Perché questo sacrificio? Gli stessi amici e parenti mi dicevano di vincere il pregiudizio e di gettarmi a capofitto in questo esperimento metatelevisivo senza precedenti. Man mano che la famiglia dei protagonisti si amplia – nascono due gemelli; la vicina di casa, Agnes, diventa una presenza fissa –, la serie cambia aspetto. Si avanza dagli anni Cinquanta ai Duemila, passando da Genitori in blue jeans a Malcolm in the Middle. Quale stregoneria è mai questa? Cosa succede nella cittadina di Eastview, protetta da una barriera impenetrabile e da leggi tutte sue? Inutile spendere parole di troppo, gli spoiler sarebbero dietro l'angolo. Tra omaggio luccicante e immancabile thriller a tinte action, WandaVision non è forse il capolavoro di cui si è letto qui e lì – sono troppi i buchi di sceneggiatura e l'epilogo, chiassoso, non mi è all'altezza della raffinatezza del resto –, ma resta in ogni caso una serie deliziosa. È l'anello di congiunzione tra il cinecomic e il film d'autore. È il ritratto sovrumano del più umano dei drammi, ossia l'elaborazione del lutto. È la consacrazione di Elizabeth Olsen, interprete splendida e versatile, accompagnata dal più dimenticabile Paul Bettany. È, sopratutto, uno spassionato atto d'amore verso l'amore e le serie TV: che, ora come non mai, ci salvano dai conflitti, dall'isolamento e, qualche volta, perfino dai noi stessi. (7,5)

Già profetico lo scorso anno, con il distopico Years and Years, Russell T. Davies si conferma la penna più adatta per catturare il meglio e il peggio dei nostri anni matti. Questa volta fa un passo indietro e si guarda alle spalle. Verso un passato che brucia ancora. Dichiaratamente omosessuale, Davies doveva avere la stessa età dei suoi protagonisti quando la paura ha cominciato a monopolizzare le conversazioni di un'intera generazione. Inizialmente sembrava una cosa destinata a sconvolgere soltanto i lontani Stati Uniti. In Inghilterra giovani, sfrenati, continuavano a darsi alla pazza gioia. Succede a Ritchie, aspirante attore che colleziona rapporti a rischio; a Roscoe, in fuga dalle restrizioni della famiglia; a Colin, discreto ma non per questo al sicuro. Unica donna della compagnia, la solerte Jill: un personaggio di una bontà mai vista, devota tanto ai propri coinquilini quanto alla causa gay. Inquadrati nella Londra dei primi anni Ottanta, i protagonisti sono un gruppo di ventenni che fronteggiano l'avvento spaventoso dell'Aids. L'ansia, le bugie, il negazionismo, gli ospedali affollati, i funerali in solitaria, la pulizia ossessiva e maniacale, il terrore viscerale del contatto fisico. Se tutto appare attualmente come non mai, in tempi di emergenza sanitaria, a risollevare gli animi ci pensa una dimensione corale degna di una sitcom bellissima. Qualche storia è a lieto fine, qualcun'altra purtroppo no. Scopriremo di famiglie accoglienti e di altre tenute all'oscuro. Vedremo le conseguenze della malattia – sarcomi, linfomi, perfino demenza – e i mezzi più ignoranti per scongiurarla – bere la propria urina, ingerire il liquido delle batterie. Quanta umanità e quanta follia nei protagonisti. Quanto bene gli ho voluto, nonostante avessero in molti casi il destino segnato. Che fosse una miniserie ironica, ben recitata e scritta benissimo, avrei potuto urlarlo al mondo anche soltanto dopo una manciata di episodi. Ma reduce dal quinto e ultimo, butto via i kleenex stropicciati e vi dico che la miniserie sulla morte ai tempi dell'amore resterà tra le più indimenticabili dell'anno corrente. (8,5)

Il lungo addio di Francesco Totti: l'ottavo re di Roma. Sei episodi dai toni indovinati, a metà strada tra la verve grottesca di Boris e il piglio esistenzialista di Paolo Sorrentino, per il biopic calcistico che non sapevi di stare aspettando. Lontano dal diventare un'agiografia stucchevole di matrice Rai, la serie diretta da Luca Ribuoli si conferma una fiera commedia nazional popolare: leggerissima, ma dotata altresì di una malinconia contagiosa, racconta cosa succede quando le luci dei riflettori stanno per spegnersi e cita con gusto Rocky, L'attimo fuggente e il cinema western di Sergio Leone. Nel mezzo del cammin della sua vita, dopo venticinque anni di onorato servizio, un “Pupone” sulla soglia dei quaranta si prepara a malincuore a riporre gli scarpini al chiodo. E a diventare finalmente uomo. Ma come non assecondare d'altra parte la tentazione tutta umana di inseguire un ultimo derby; un secondo tempo della giovinezza? Al congedo solenne partecipano figuranti d'eccezione – Del Piero, Pirlo, Calabresi, Memphis, Guzzanti –, quei genitori onnipresenti, dolcissimi e un po' cafoni – Guerritore e Colangeli –, i compagni di squadra – l'esilarante Antonio Cassano su tutti, dipinto come una sorta di delirante Lucignolo –, il nemico giurato Spalletti, la Blasi di una preziosissima Greta Scarano. Ma se la serie andata in onda su Sky si rivela essere la sorpresa televisiva di questo 2021 è soprattutto grazie al figlio d'arte Pietro Castellitto: una scommessa vinta. Che ci importa che sia più giovane e meno prestante del Francesco in carne e ossa, se becca a colpo sicuro la parlata strascicata, le smorfie e la capacità di far battute restando serio come Buster Keaton? Re e prigioniero all'interno di una Roma piena di contraddizioni, il capitano giallorosso si lascia raccontare tra pubblico e privato. E in una narrazione fluida, dove i ricordi d'infanzia si mescolano ad autentiche visioni a occhi aperti, segna il goal decisivo conquistando anche l'ammirazione di un profano mai stato all'Olimpico. (7,5)

12 commenti:

  1. I'ts a sin è l'unico che mi ispira... ma non è tra le mie prime scelte, il tuo voto però mi incoraggia.

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    1. Secondo me anche WandaVision fa al caso tuo, sai?

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  2. Wanda è riuscito a convincere pure me, finché non è arrivato alla parte finale in cui si ritrasforma in un film Marvel e in tutto quello che non mi piace. Un buon intrattenimento, ma di certo non mi ha spinto o spingerà a recuperare tutto il MCU.

    Quante lacrime con It's a Sin, me le aspettavo ma giocano davvero bene tutte le carte. Di Davies, capace di gestire benissimo anche Doctor Who, vorrei riscoprire le altre serie di inizi 2000 (Cucumber, Tofu, Banana), in questi tempi di magra potrebbero risollevare l'umore ;)

    Totti, a sorpresa visto il tanto parlarne, è in visione con il commento tecnico del giovine che illustra personaggi e partite.

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    1. Il giovine sarà un degno Cicerone! Io, a digiuno di sport, ho comunque apprezzato parecchio. C'è tanta umanità in questo ritratto, oltre che diffusi lampi di genio. ;)

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  3. Wandavision ha subito un finale affrettato e raffazzonato a causa del covid, per quanto ne so, rovinando quanto di buono c'era nella prima parte. Infatti sono rimasto molto deluso dalla conclusione.

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    1. Ah, non sapevo che il Covid ci avesse messo lo zampino...

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  4. Bellissimo WandaVison, e la Olsen è davvero eccellente nel ruolo :)

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    1. Io cotto di lei. Ti consiglio anche la serie Sorry for your loss, lì è straordinaria.

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  5. Ho amato anche io Wandavision, e devo dire che non me lo aspettavo ☺️☺️☺️ gli altri non li conoscevo ☺️☺️

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  6. WandaVision aveva quasi del miracoloso. Almeno fino all'ultimo episodio, quando la Marvel si è ricordata di essere la Marvel e ha ridimensionato un po' il tutto. Nel complesso comunque una bella sorpresa.

    It's a Sin all'inizio non mi aveva convinto tantissimo, poi ha un crescendo notevole e diventa quasi devastante. Un po' il contrario di WandaVision, in pratica.

    Speravo de morì prima è uno spasso, e a tratti sa essere pure profonda, senza esagerare. Daje così!

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    1. Tre belle serie, insomma!
      Ora ossessionato da Anna, splendida.

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