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mercoledì 29 gennaio 2020

Recensione: L'isola di Arturo, di Elsa Morante

L’isola di Arturo, di Elsa Morante. Einaudi, € 13, pp. 398 |

Non sei mai stato sull’Isola di Arturo?  Hanno usato questo verbo, stare, anziché leggere. Come se fosse un luogo sull’atlante, non un romanzo. Come se a una determinata età rappresentasse semplicemente una tappa obbligata. Il capolavoro di Elsa Morante è saltato fuori così, per caso, durante una conversazione in cui si parlava dei mondi irrinunciabili di Elena Ferrante – sin dal nome in assonanza, un’allieva spirituale dell’autrice Premio Strega – e di una mia storia in corso d’opera, che parimenti vorrebbe raccontare i dolori del crescere e il brontolio del mare. Anche se in ritardo sulla tabella di marcia, allora, mi sono imbarcato al porto di Napoli. A venticinque anni, dunque lontano dal tempo dell’adolescenza, e fuori stagione. Il piroscafo è arrivato puntuale. E il magico diradarsi della foschia, presto, mi ha svelato lo spettacolo di Procida: un’isola che non c’è contraddistinta da un sapore di leggenda e arroccata come una fortezza medievale. In cima ecco svettare il penitenziario, dalle cui celle anguste si ammira a sfregio la libertà delle onde. Lì non arrivano né le notizie di cronaca nera né i bollettini di guerra. Senza tempo, l’isola ospita una reggia severamente vietata alle donne: ex convento già stravolto in passato dagli ammodernamenti dell’Amalfitano, la struttura è diventata una fortezza selvaggia di granelli di polvere, ragnatele e bestie. Manca il tocco femminile, ma Arturo non ne sente la mancanza.

Questa dunque è la tua casa, e tu ci tornerai sempre, perché, a casa, sempre ci si ritorna.
Quattordici anni, eternamente in vacanza, il giovane protagonista è un lettore raffinatissimo e un brillante autodidatta: innamorato dell’innamoramento, suo malgrado vive una feroce sindrome d’abbandono e i postumi della cosiddetta età ingrata. Come ogni quattordicenne, sta cambiando pelle – e voce, viso, carattere –, e allo specchio si percepisce brutto e sgraziato. Lo immagino con una lettera nascosta sotto la maglietta, un orecchino spaiato in tasca, le ginocchia sbucciate. Lo immagino sul molo, in attesa degli arrivi dal Continente. Ma non aspetta me – ospite dell’ultima ora –, bensì suo padre. Gli eroi di cui legge hanno lo stesso volto del genitore. Venerato al pari di una divinità bionda e onnipotente, Wilhelm Gerace è un uomo prevaricatore e strafottente, che semina tutt’intorno le vittime della sua disattenzione: l’ultima è Nunzia, neosposa di appena sedici anni, che sbarca senza essere stata prima annunciata. Bellissima e credulona, sottratta a un’esistenza in convento, pensa che Napoli sia il centro del mondo e patisce il buio, la solitudine, gli obblighi inevitabili della prima notte di nozze. L’arrivo della matrigna – le sue forme sinuose intuite sotto la vesticciola, i sorrisi candidi nel sonno – sconvolge il fragile mènage domestico e turba il protagonista, finora abituato alla sola presenza della cagnolina Immacolatella. Nunzia ascolta incantata i pensieri gloriosi del figliastro, ne ammira a bocca aperta i lazzi funambolici, asseconda teneramente le sue richieste d’attenzione. Pian piano tra i due nascerà una complicità destinata a sfociare spesso in scenate violente, per via del desiderio inespresso di baci e affetto; e la solitudine, anziché rifuggita, andrà difesa fianco a fianco. Ma Arturo si porta sempre addosso una zavorra pesante, la gelosia. Nel profondo la prova per Wilhelm, Nunzia, oppure per il futuro fratellastro?

Mi mettevo a baciare, per prova, magari la mia barca; o un’arancia che mangiavo, o il materasso su cui stavo disteso. Baciavo il tronco degli alberi, l’acqua che affiorava dal mare; baciavo i gatti che incontravo per la strada! E mi accorgevo di saper dare, senza che nessuno me lo avesse insegnato, baci dolcissimi, veramente belli. […] Mi dicevo: anch’io, un giorno o l’altro, bacerò qualche persona umana. Ma chi sarà? Quando? Chi sceglierò, la prima volta? E mi mettevo a pensare a diverse donne viste nell’isola, o a mio padre, o a qualche ideale, futuro amico mio.
Se fosse un film dei giorni nostri, sarebbe diretto da Luca Guadagnino: mossa da passioni tanto antiche quanto universali – tra le righe si parla anche d’incesto e omosessualità, tematiche scandalose negli anni Cinquanta –, è un storia di formazione dalle atmosfere teatrali e neorealiste.
La storia, essenziale, in quattrocento pagine sviscera le contraddizioni, le pulsioni e i segreti dei protagonisti quel tanto che basta a farceli scambiare per nostri. A metà tra l’incanto straordinario della parte introduttiva e la maturità di un epilogo perfetto, però, c’è stata una parentesi centrale che ho trovato piuttosto faticosa, dove il protagonista si trincera in fantasie suicide e voli pindarici per poi redimersi definitivamente nel momento del congedo. Insieme ai suoi stati d’animo, in parte, finisce per infittirsi anche lo stile dell’autrice: densissimo, a volte pieno e altre un po’ pesante, ha però tutta l’intensità di quello dell’epigona Ferrante. In particolare nelle lungaggini, infatti, ho trovato gli stessi narratori degni d’amore-odio, mossi da sentimenti a picco sugli abissi della coscienza, e le stesse immagini indelebili: chi potrà mai dimenticare l’orologio con la parola Amicus incisa sul cinturino; l’entrata in scena di Nunzia, liberata con prepotenza dalla crocchia; il codice Morse fischiato da Wilhelm alla base della torre carceraria?

Là disteso, nero e pieno di lusinghe, esso mi ripeteva che anche lui, non meno dello stellato, era grande e fantastico, e possedeva territori che non si poteva contare, diversi uno dall’altro, come centomila pianeti! Presto, ormai, per me, incomincerebbe finalmente l’età desiderata in cui non sarei più un ragazzino, ma un uomo; e lui, il mare, simile a un compagno che finora aveva sempre giocato assieme a me e s’era fatto grande assieme a me, mi porterebbe via con lui a conoscere gli oceani, e tutte le altre terre, e tutta la vita!
L’isola di Arturo, per il resto, descrive magistralmente la fine dell’estate della vita – ossia l’infanzia – e dei falsi miti. È il risveglio agrodolce da un’illusione lunga una fiaba, che ci mette faccia a faccia con il crepacuore delle promesse infrante, il piacere fugace del sesso, la fallibilità dei genitori. Ho capito, sì, perché è tra i preferiti di molti lettori. Ma no, non sembra scritto ieri come affermano i più. E per fortuna. È un romanzo di formazione di come non ne esistono più, che ha guadagnato a pieno diritto il titolo di classico. 
Il protagonista ha il nome di una costellazione e punta alle stelle. Sogna di spingersi oltre le Colonne d’Ercole e ritiene di sondare l’insondabile o con la morte, o con l’odissea della navigazione. Ma carissimo Arturo, sbagliavi di grosso: per conquistare il cielo e il mare, al pari di un novello Alessandro Magno, bastava condividere la tua storia. A distanza di sessant’anni non riesco a smettere di pensarti, sai? Sei talmente vero che ti cerco in ogni sconosciuto sul bagnasciuga, negli scintillii notturni e nella spuma delle onde, tra i nuovi arrivi dei piroscafi. Ti ho letto camminando sulla riviera e ogni tanto ho corso apposta il rischio d’inciampare, sapendo che tu mi avresti strattonato per il braccio e salvato. Con la tua ombra accanto, nelle mie passeggiate giornaliere – diecimila passi, sette chilometri, e poi torno a casa –, non ho avuto bisogno neanche della distrazione della musica; non mi sono mai sentito solo.
Il mio voto: ★★★★★
Il mio consiglio musicale: Levante – Lo stretto necessario

16 commenti:

  1. Lacuna letteraria che prima o poi dovrò colmare ☺️☺️ spero il prima possibile 😊😊

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  2. Non ho mai letto questo classico così famoso, ma penso che prima o poi lo farò ;-)

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    1. Felicissimo di averlo recuperato: il 2020 inizia alla grande.

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  3. Molto interessante, non lo conoscevo ma mi hai incuriosita. Non so se riuscirò a leggerlo, intanto lo metto in lista ;)

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  4. Mi piacque moltissimo, ma ad un certo punto iniziai a trovarlo ammorbante e lo finii a fatica, ma è una lettura che ricordo con affetto.
    Lo metto in parallelo con Il Giardino di Cemento di McEvan con cui ha degli elementi in comune, anche se il secondo è molto più ermetico.

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  5. Della Morante ho letto lo splendido La Storia, che mi ha lasciato l'amore per la sua scrittura e il terrore per come il mio cuore possa essere fatto a pezzi dalle sue storie. L'isola di Arturo, però, è una lacuna nel mio bagaglio di lettrice che ho intenzione di colmare 💪🏻

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    1. @Pirkaf,per fortuna nell'ammorbante ci sguazzo discretamente. Infatti quel McEwan è in lista. ;)

      @Kate,La storia mi ispira e mi spaventa insieme.

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  6. Vorrei rileggerlo, perchè quando "sono stata" sull'isola di arturo, l'ho fatto un po' di fretta, in quanto era un testo da portare in vista di un esame universitario.
    Temo di averlo apprezzato sì ma non fino in fondo.
    Comunque ne ho un ottimo ricordo.

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  7. Non sono mai stato sull'isola di Arturo.
    Shame on me!
    Soprattutto considerando che potrebbe piacermi starci....

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    1. Ah, be', tu adoreresti il soggiorno. Un romanzo di crescita splendido e modernissimo. ;)

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  8. Ho fatto una scommessa impegnativa, proponendo questo libro ai miei alunni del primo anno liceale (scelgo sempre un romanzo recente e un classico). La distanza fra il loro mondo e quello di Arturo è notevole, ma spero proprio che la lettura li aiuti a colmare gli spazi vuoti. Del resto molti ragazzi e ragazze potranno riconoscersi in Arturo, nelle sue paure, nel suo tentativo di mascherarle con un carattere schivo e rabbioso, nel suo difficile rapporto con il padre. Se non avessi già deciso di rileggerlo, lo avrei fatto dopo averne rinfrescato il ricordo attraverso questo tuo post. :)

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    1. Ti ringrazio, Cristina!
      Spero che ai tuoi ragazzi piaccia, nonostante una prosa decisamente d'altri tempi :)

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