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S., Gipi. Coconino Press, €
10, pp. 110 |
Dopo
La terra dei figli si comincia con le immagini di un'altra
guerra. Questa volta non di fantasia. Su Pisa piovevano le bombe
degli americani e i feriti, con i morti che si aggiravano attorno ai
cinquemila, brancolavano fra le macerie come i mostri deformi di una
distopia post-apocalittica. Ci sono ancora uno scenario desolante,
ancora un figlio maschio con un'eredità di sofferenze e memorie per
le mani. Questa volta non è invenzione, non completamente. Il mio
secondo Gipi, sempre in edicola, sempre con un graffio da poeta
contemporaneo, racconta infatti se stesso e i ricordi del padre
scomparso.
La
fidanzata di S. è coperta di polvere. Non è ferita. Non ha niente.
Solo la punta di un gomito sbucciata ed un principio di odio verso il
mondo che potrebbe non guarire mai.
Il
fumettista toscano si disegna, si svela, con nel titolo un'iniziale
puntata che si addice alla figura di un genitore al tempo stesso
assente e presente fra le pagine: Sergio, che nei tamponamenti in
autostrada evitava saggiamente conflitti con gli automobilisti
battaglieri; che faceva ridere tutti citando i versi più pruriginosi
della Divina Commedia – si teneva invece per sé quelli romantici,
sull'amore di Paolo e Francesca – e usando culo come
imprecazione; che amava rivangare il passato anche a costo di aprire
vecchie ferite, anche a costo di ripetersi come un disco rotto. È
morto quando l'autore era già adulto, ma non si è mai abbastanza
grandi per scoprirsi orfani. Non è accaduto all'improvviso: una
diminuzione progressiva della vista e la stanchezza di chi è stanco
di combattere i mulini a vento della terza età. La notizia raggiunge
Gipi mentre giocava a uno sparatutto online. E si sente in colpa, e
si sente dalla parte del torto: un padre con una vita consacrata alla
sensibilizzione – epocale la lite per quegli anfibi tedeschi
acquistati da un robivecchi con simpatie naziste, con tanto di fuga
lontano da casa –, ed ecco il figlio che ammazzava. Anche se per
finta. La consapevolezza comporta un'elaborazione particolarissima:
l'autore porta il lutto nel cuore, e sulle sue tavole racconta la
Seconda guerra mondiale, un'inquietante avventura su un'isoletta
chiusa al pubblico, un funerale all'insegna dell'ultima volontà del
morto. Il pretesto: una gita a quattro in barca – con Gipi anche
lo zio Piero e il cugino Luca –, in cui un aneddoto tira l'altro e
un piccolo pericolo è in agguato.
In
mare, con le lenzuola e il materasso, cominciamo a ridere tanto da
rischiare di affogare. E continueremo a ridere per anni, tutte le
volte che questa scena ci tornerà alla mente. Rideremo come gli
scemi che siamo. Rischiando di affogare più volte, pure sulla
terraferma.
Manca
un filo conduttore. Manca un senso. Manca un ordine prestabilito. Si
salta di palo in frasca, si passa da abbozzati schizzi a matita alla
bellezza degli acquerelli degli impressionisti francesi, si seguono
le sequenze di un flusso di coscienza che porta alla deriva.
Lasciarsi andare per fortuna ha del poetico, ha del liberatorio. In
una lettura che insegna a pescare, a diffidare da chi ti dice che
commuovere è far bene, a perdonare gli sbagli delle famiglie
imperfette. La sapevi quella volta in cui Sergio e Piero trattennero
il fiato sotto le assi del pavimento per sfuggire ai soldati, o
quella in cui fu proprio un crucco a salvare la madre dell'autore dal
crollo della conigliera in cui si era riparata? Le pernacchie ad
Andreotti in tivù, un matrimonio salvifico forse difficile da
capire, il desiderio di tornare morendo polvere alla polvere?
Ricordi la storia dei due disertori tedeschi, che volevano guadare un
corso d'acqua nonostante non sapessero nuotare?
Dovevano
apparirgli come puntini nell'acqua. Puntini biondi che cercavano di
attraversare il fiume. E tanto bastava. C'era la guerra.
Resta
il fatto che Sergio si facesse pestare dagli americani, suo figlio
dagli spacciatori del quartiere. Resta, ancora, un'urna da trafugare
come in un film per liberarne i resti in mare: le ceneri sono brace
viva, emanano calore. I bravi padri scaldano sempre, come quanto ti
sfregavano i piedi intirizziti in settimana bianca. Ce ne accorgiamo
in un volume scritto in brutta grafia, con tanto di cancellature a
penna, che commuove per onestà e asciuttezza: S. non
vive semplicemente in memoria di. È la confessione piuttosto di
uomo colto in contropiede da una perdita da cui non c'è scampo. E
nello spoglio di questo testamento morale – in presenza del notaio
di fiducia, e di lettori sempre più affezionati – scopre che in
eredità gli son toccate la stempiatura e l'abilità di raccontare
ad arte, a volte calcando la mano e a volte preferendo
l'insostenibile leggerezza dell'essere (affranti), storie e bugie.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Johnny Cash feat. Fiona Apple - Father And Son
Mi ha colpita il trafugare l’urna, una tentazione avuta anche dalla mia famiglia dopo la morte del nonno, causa una burocrazia tutta italiana schizofrenica per le cose serie ma rigidissima nel separe nella morte due vecchietti che si sono amati tutta la vita. Questo volume mi interessa, ma un po’ lo temo. Da un lato la paura che colpisca troppo vicino a casa, dall’altra il pensiero che forse si è guariti abbastanza.
RispondiEliminaCosa rispondere al tuo commento, sincero e bello quanto o più di questo ricordo del buon Gipi? Ti consiglio di leggerlo. Potrebbe essere una lettura assolutamente conciliante.
EliminaIl mio approccio cinematografico con Gipi e il suo L'ultimo terrestre era stato particolarmente positivo. Dovrei approfondire di più la sua opera, anche se questo mi sa più di un lavoro adatto a chi lo conosce già un pochino meglio...
RispondiEliminaTi era piaciuto il film? Bene così, me lo sono procurato da pochissimo. Come fumettista è molto personale, molto particolare. S. è stato il secondo volume dei suoi che ho letto e, nonostante la poca conoscenza, l'emozione si è fatta sentire ugualmente. 😁
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