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venerdì 22 giugno 2018

Recensione: Guasti, di Giorgia Tribuiani

Guasti, di Giorgia Tribuiani. Voland, € 14, pp. 128 |

Plastinazione. È così che si chiama il processo che permette ai corpi umani di essere conservati. Senza liquidi, sostituiti con polimeri di silicone. Senza il cattivo odore della morte. I cadaveri – imbalsamati, levigati, sezionati – sono esposti come bronzi greci nei templi della dea scienza. Gli organi all'aria, preziosi camei. Le cavità interne, i genitali e i difetti, sotto gli occhi di tutti, a portata di flash. Se non fanno troppa impressione è perché sembrano statue di cera. Se non ispirano grandi interrogativi etici, un po' di empatia, è perché delle statue non inventi mica le carriere, gli affetti, un cuore congelato. Immaginate, adesso, un museo imprecisato.
Le pareti candide, l'illuminazione dei faretti strategici, il vociare di un pubblico eterogeneo tra lo stupito e l'inquieto: queste sculture di carne, fisse al centro della sala nelle loro pose plastiche, saranno per un mese l'attrazione principale. Il dottor Frankenstein che le ha plasmate e radunate si chiama Tulp. Il compagno di Giada, che di arte è vissuto ed è morto, ha promesso al luminare della plastinazione la sua salma: diventato uomo da piedistallo, dunque, per una tanto precisa quanto imperscrutabile volontà testamentaria.

Ogni uomo uccide la cosa che ama.

Nel museo di cui vi parlavo, a questo punto, aggiungete una presenza ricorrente. Una donna che tra me e me mi sono figurato di mezza età, con un vestito fuori contesto, il rossetto ripassato di fresco sul sorriso tristissimo, un bicchiere di spumante fra le dita guantate. Si intromette nelle chiacchiere dei critici, dei laureandi in Medicina, delle coppie innamorate. Stringe mani, rifiuta dichiarazioni, timbra biglietti d'ingresso per trenta giorni complessivi. Lì festeggia i compleanni in solitaria, sollevando il calice verso una mummia con la Nikon al collo. Lì pianifica i potenziali flirt e le interviste. Ogni tanto qualcuno la riconosce e le chiede con sincera afflizione come sia essere lei, strana vedova incapace di andare altrove. È proprio la ragazza dell'altalena, immortalata di spalle in uno scatto apprezzatissimo? È lei la moglie – si correggono, poi: la donna – del fotografo di risonanza mondiale famoso per i capelli lunghi, le bandane e la scarsa voglia di accasarsi? Rare, invece, le occasioni in cui la visitatrice infastidisce il prossimo: vaneggiando, alzando la voce contro i vivi o i defunti, cercando di coprire le vergogne del compagno con un berretto di lana. Sì, è lei in persona: Giada. Nessun cognome, nessun dato anagrafico e nessun hobby che non sia orbitare notte e giorno attorno a un sole da tutti compianto. Con quale cuore, infatti, non custodirlo?

No, non lo abbandono. Voglio continuare a pronunciare il suo nome perché resti vivo.

Voltargli le spalle, finché è in esposizione, sembra un tradimento. E rassegnarsi all'idea che lo spirito di onnipotenza di un misterioso acquirente possa portarlo via, in una casa in cui lei non è invitata a entrare? Il grande amore della protagonista, fatto sta, è morto: non sappiamo né quando né perché, come sia nata e come finita la loro relazione da rotocalco. Su un piedistallo, nudo, non può temere più l'imbarazzo o crucciarsi per il bozzo sulla testa che i maligni additano. Il dottor Tulp ne ha scolpito lo scheletro in modo che reggesse l'inseparabile macchina fotografia e ha trasformato un cimitero in una galleria; un raffinato vernissage in una camera ardente. Giorgia Tribuiani, classe 1985, racconta la veglia eterna sotto i riflettori di una Antigone che perde sé stessa per non perdere l'amore; di cadaveri che respirano e si truccano sul pianto versato. L'ordine asettico del museo collide allora con la ferocia di una prosa vandalica, che i personaggi vorrebbe ora custodirli, ora farli a pezzi. Nudi e crudi, esposti, non hanno connotati o un passato. Fasci di nervi insanguinati, mucchi d'ossa, mazzi di vertebre. Sono stati forse uomini? Sono state forse donne? Quanto si sono amati, e quando? Cosa facevano prima di essere lì?

Guasto era il suo amore, guasta la ballerina, guasto era in fondo il destino di tutte le persone, immobili nelle loro esistenze come lei era stata immobile sull’altalena, che visitavano le sale e non capivano che in fondo stavano guardando il futuro, che prima o poi sarebbe toccato a loro, che la carica sarebbe finita e con quella ogni possibilità di muoversi o dondolare, e che forse non sarebbero mai stati dei plastinati, ma guasti senza alcun dubbio: senza alcun dubbio guasti.

Giada, come il compagno e gli altri plastinati del dottore, è ferma nell'attimo; il soggetto più interessante dell'esposizione, forse, ma non necessariamente il più vivo. Dopo una vita nell'ombra, si scopre suo malgrado la protagonista assoluta di un'altra esibizione: struggersi. E di un romanzo d'esordio assurdo, intenso, scritto a confine fra la terza persona, il soliloquio e l'apostrofe a un tu di cui non pretendere risposte in cambio; ambientato fra le sale da esposizione e le toilette, dove si affastellano i collezionisti becchini e i giornalisti avvoltoi; gli specchi per aggiustarsi l'identità e il mascara sbavati; i servizi inagibili con un foglio che dichiara d'un tratto guasto. Luoghi insoliti per l'elaborazione di un lutto sbattutoci sempre in faccia, e insolite le voci che suggeriscono a un'avventrice inconsolabile di ricominciare da capo: quella angelica del vigilante del piano di sotto, ad esempio, che al mattino le porta in dono cornetti alla marmellata e mp3 pieni di bella musica. L'addio, un show alla Marina Abramovic che scalza l'intimità del dolore. L'amore e la morte, neoavanguardia.
Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: Radiohead – Fake Plastic Trees 

5 commenti:

  1. Inizio di post decisamente macabro, per un libro che si preannuncia parecchio macabro. Quindi potrebbe fare per me...
    E la canzone di chiusura radioheadiana ne è la conferma. :)

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    1. Canzone, non a caso amatissima dall'autrice, ho scoperto, che sembra stata scritta proprio per questo romanzo. Oppure viceversa. :)

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  2. Molto più cupo, tetro e introspettivo rispetto alla mia ultima lettura. Solitamente non amo i libri che ruotano intorno all'arte ma questo sembra andare decisamente oltre.

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    1. E' tutto introspezione, praticamente, e l'arte è solo la scusa, lo sfondo. In realtà, si parla di tutt'altro, e il tema tocca un po' tutti. Cosa strana, trattandosi di un romanzo forte e surreale; universale, eppure, nel parlarci dell'elaborazione del lutto.

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  3. Corro ad aggiungerlo subito alla mia wishlist. I libri di questo "stampo" mi piacciono moltissimo e la storia sembra proprio fatta per me.

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