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mercoledì 28 febbraio 2018

Recensione: Il tatuatore di Auschwitz, di Heather Morris

| Il tatuatore di Auschwitz, di Heather Morris. Garzanti, € 17,90, pp. 208 |

Preferisco ricordare a modo mio e, in previsione della Giornata della Memoria, mi tengo lontano anno dopo anno da letture e film sull'argomento. Soprattutto se si parla di ultime uscite: quelle sempre e da sempre guardate con fondato sospetto. Diffido per natura da chi ricorda, e scrive, a tavolino. Salto a pie' pari quei titoli tutti uguali su stelle a cinque punte, treni della disperazione, pigiami a righe, e per ovvie ragioni, ragioni umane, non si tratta da parte mia di disinteresse o insensibilità verso l'importanza del tema. Il mio problema sono gli appuntamenti editoriali da spuntare come voci della lista della spesa. Storia rispolverate e riproposte, a fine gennaio, più per amor di puntualità che di verità. Quando le ricorrenze diventano best-seller, apprezzabili più per il contenuto che per la forma, e ricordare assume un altro significato – promemoria sui taccuini, scadenze in redazione, in cerca a cadenza fissa di un altro La vita è bella. Il perché non lo so, ora non lo ricordo più, ma qualcosa – forse i pareri positivi all'unisono, un film in produzione, una storia d'amore memorabile perché difficile – mi diceva che Il tatuatore di Auschwitz, uscito immancabilmente il primo mese dell'anno ma recuperato in seguito per precisa volontà, potesse fare eccezione. Si parla di campi di concentramento inediti, ancora in costruzione. Si parla di un uomo che per sopravvivere fu costretto a lavorare per il nemico tedesco, con il rischio di essere accusato di collaborazionismo.

Salvare un essere umano è salvare il mondo.

Lale, prigioniero per tre anni, lascia la Slovacchia su un treno che lo porta volontariamente all'inferno, per risparmiare la stessa sorte a qualcuno della sua famiglia. Così fuori posto in giacca e cravatta, vestito come per un colloquio di lavoro, il ventiduenne – in un'altra vita, elegante commesso presso un grande magazzino – porta suoi luoghi dello sterminio l'incorruttibile sfrontatezza da viveur, la forza di chi è giovane e speranzoso, una fiduciosa ottusa che si scontra presto con la crudeltà della prigionia. I soldati delle SS, si promette fermamente, non vinceranno. Lale non piange, dà vita con scaltrezza a un piccolo giro di contrabbandono – introdurre dall'esterno cibo e medicinali, grazie al furto di gemme e monete dalle tasche dei giustiziati – e lavora fianco a fianco a chi perseguita la sua gente, sperando di fargliela sotto il naso. Scampato ai lavori più pesanti, il giovane ha infatti l'ingrato compito di marchiare gli ultimi arrivati. La mano delicata ma che trema, numeri d'ago e inchiostro per cancellare con gesti implacabili l'identità di zingari ed ebrei. Impossibile cancellare quella di Gita però: la bellezza della prigioniera, semplicemente il suo esistere, gli insegnano che l'amore è via di fuga, anche quando le ronde fra Auschwitz e Birkenau ti strappano la fede e i capelli dalla testa. Vissuta fugacemente in prima persona, nelle domeniche in cui alla luce del sole è possibile incontrarsi o sfidare a calcetto i tedeschi, la loro relazione inganna la tristezza e rallegra compagni di sventura che riescono a sorridere e scherzare anche sotto la cenere. Si descrivono con dovizia di particolari le mansioni e la quotidianità, in una catena di montaggio in combutta con la morte – gli esperimenti di medici sadici, i corpi sfruttati delle donne avvenenti, la costruzione dei rovi di filo spianto e dei forni crematori, l'ingresso all'inferno perfino di anziani e bambini.

Sono soltanto un numero, dovresti saperlo. Me l'hai dato tu.

Il tatuatore di Auschwitz ti fa tuttavia l'imperdonabile affronto di non emozionare nemmeno un po'. Mancano la passione di Lale e Gita; la disperazione di due amanti che ogni volta non sanno se e quando si rivedranno. Manca l'angoscia dei soprusi, dei tormenti della carne e dello spirito: manca il romanzo, se Heather Morris – che eppure lavora come sceneggiatrice, che eppure nella nota finale racconta di aver ascoltato per anni le testimonianze di un Lale realmente esistito – ha una storia potenzialmente vincente ma uno stile piuttosto mediocre. Al dolore, a ciò che davvero è stato, non sa dare peso. Alle articolate vicessitudini di Lale, fortunato e longevo come un gatto, non sa dare fondamento alcuno. Si fa semplicemente fatica, a tratti, a credere che sia andata così. Potreste dirmi che sono certe esistenze, certe epoche buie, ad essere incredibili nel bene o nel male. Fra le pagine del Tatuatore di Auschwitz però c'è sin dall'inizio qualcosa che non va: snodi frettolosi, comprimari appena abbozzati che all'improvviso salvano una situazione catastrofica, un protagonista – doppiogiochista per salvare sé e gli altri, sì, e chi oserebbe condannarlo – che non prendiamo mai a cuore. Colpa di una scrittura consequenziale, piatta e quasi sprovvista di dialoghi, con fatti nudi e crudi che non si curano minimamente della forma. Quella di chi vorrebbe parlare della verità non sapendo darle voce.
Il mio voto: ★★½
Il mio consiglio musicale: Adele - Love in the Dark

17 commenti:

  1. io l'ho iniziato e mollato dopo 70 pagine...

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  2. La frase finale - bellissima - è ciò che mi ha convinta a non dare una possibilità a questo libro: ci sono temi in cui la mia soglia di tolleranza verso l'inadeguatezza è molto bassa, e questo ne fa parte.

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    1. Ti ringrazio, Kate.
      Dispiace sempre dirlo, ma è evitabilissimo.

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  3. Da un po' di tempo sto lontana dai libri che parlano di Olocausto proprio perchè spesso mi trovavo per le mani libri come questo, capaci di snocciolare fatti che ormai conoscono tutti ma incapaci di dare emozioni e di andare oltre. Visto il tuo pensiero da questo starò lontana ancora di più!!! ;)

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    1. Pensavo di essero il solo, sai?, a essere allergico a questi libri a tema.

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  4. No no, in passato ne ho letti tantissimi poi sono diventati moda per vendere qualche copia in più all'inizio dell'anno ed ho smesso di leggerli. Ho a casa Intenso come un ricordo di Jodi Picoult che mi avevano regalato appena uscito e non mi sono ancora decisa a leggerlo proprio per questo. Ma devo provare a superare la reticenza e almeno a quello dare una possibilità!

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  5. Infatti vorrei leggerlo proprio perché lei la adoro ma il tema mi spaventa!

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    1. Aspetta il momento giusto, ché io aspetto il tuo parere. :)

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  6. Una Giornata della Memoria in ritardo, giusto per fare l'originale? :)

    Già il titolo sa abbastanza di pesantezza...
    Il nome dell'autrice invece mi incuriosisce. Si tratta mica della cheerleader bionda di Glee?
    Sarebbe una vera sorpresa! :D

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    1. Ci ho pensato anch'io, sai?
      Almeno avrei potuto dirmi sorpreso in minima parte, e invece no. :-/

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  7. Nemmeno io amo questo genere di letture per il tuo stesso motivo... è un lucrare sui ricordi di una tragedia, più che un ricordare perché non si commettano gli stessi errori. Peccato per il libro, la trama pareva avvincente, ma capisco cosa intendi quando parli di mancanza totale di empatia ed emozioni. Ho provato le stesse cose leggendo La Solitudine dei Numeri Primi, so che è piaciuto moltissimo a tante persone ma ai miei occhi è risultato quasi del tutto sterile.

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    1. Ciao, Rose. La freddezza della Solitudine dei Numeri Primi, che neanch'io in verità ho apprezzato particolarmente, per me è però la precisa scelta stilistica (condivisibile o meno) di un fisico prestatosi alla narrativa. Quella della Morris, qui, è quella di chi vorrebbe ma non può. E se si parla di dolore, se si parla soprattutto d'amore, che occasione persa.

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  8. Ciao.
    Consigliami tu qualche libro da leggere sull'argomento allora!
    Ho già letto Anna Frank e so che non devo assolutamente perdermi
    Se questo è un uomo di Primo Levi.
    Son molto "sensibile" all'argomento.
    E' iniziato diversi anni fa , non chiedermi perchè ..è capitato!
    Si ricordava l'olocausto e sicuramente il periodo era quello della giornata della memoria.
    E' scattato un qualcosa dentro di me, ho voluto recuperare quello che avevo perso negli anni per disinteresse sull'argomento.
    Son arrivati allora diversi film ,In the darkness , Jona che visse nella balena, il per troppo tempo snobbato Bambino con il pigiama a righe fino al più recente Figlio di Saul..
    Documentari ( La fabbrica della morte , I nani di Auschwitz).
    Ho ancora il dvd della serie televisiva Olocausto la nel cassetto da guardarmi , prima o poi lo farò.
    Quindi con me la giornata della memoria è servita.
    E spero sinceramente di non essere il solo, non bisogna dimenticare mai .
    Ben venga quindi al giorno della memoria i libri e i film ...io non ci vedo niente di male.
    Poi se vuoi trovarci per forza del bieco consumismo...è un problema tuo, ma non generalizziamo dai.
    Massimiliano

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    1. Caro Max, l'ho scritto all'inizio del post. Non stare al passo con questi romanzi che puntualmente saltano fuori, come il Pandoro a dicembre, per me non significa di certo dimenticare. E' un'opinione mia sì, come del resto tutte quelle che troverai sul blog (liberissimi voi di dirmi la vostra, anzi, ti ringrazio), e ben venga il tuo interesse verso il tema. Purtroppo, questa volta non so aiutarti, se hai visto o letto il possibile. Posso dirti solo di passare oltre il romanzo della Morris, perché indipendentemente da tutto l'ho trovato mal scritto.

      Da' un'occhiata al catalogo Einaudi, nella sezione ragazzi. Belli i romanzi della Bortolotti, di cui ho letto qualche anno fa In piedi nella neve.

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    2. Max, Blogger e le sue bizze hanno considerato la tua risposta spam. Misteri. L'ho salvata grazie alle notifiche su Libero, la copio-incollo per correttezza. Ti ringrazio e tranquillo con la Bortolotti, neanch'io sono un patito di calcio, per nulla.

      Lo farò anche se non son poi un grande amante del calcio :)
      Grazie per il consiglio.
      E complimenti per il blog , sei così giovane e hai letto così tanto...dovrei ritrovare il tempo di farlo anch'io.
      Leggere libera la mente...ti fa volare con la fantasia.
      Magari ripartiro' proprio dal romazo che te mi consigli..quest'estate sotto l'ombrellone.
      Ciao

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