Il
sommo Stephen King ha potuto soffiare sulle sue settanta candeline
con la pace nel cuore. Quest'anno, l'autore horror storicamente
maltrattato nel passaggio dalla carta alla pellicola è stato infatti
fortunatissimo. Non soltanto un It all'altezza delle
aspettative, infatti, a scacciare i prevedibili flop di The Mist
e La Torre Nera. Complice Netflix, hanno gridato lunga vita al Re
prima Mike Flanagan, poi questo 1922 uscito
all'ombra del più pubblicizzato Pennywise. Ispirato a un
racconto non di mia conoscenza, il film del promettente Zak Hilditch
è la tragedia americana che forse non ci si aspetta. Un
irriconoscibile Thomas Jane, uomo avido e tutto d'un pezzo, sgozza
Molly Parker con la complicità del figlio adolescente. Se la moglie
sognava la di città, i negozi alla moda, i protagonisti –
strenuamente legati a una terra che neanche era la loro, a relazioni di
buon vicinato che purtroppo non passeranno l'inverno –
salvaguardano quella loro esistenza umile, dimessa, a costo
della vita altrui. Il cadavere della donna di casa è lì, che si
deteriora nel pozzo. Il tarlo dell'ossessione somiglia a un'orda di
ratti che si riversano dagli interstizi e dalle tubature. Rosicchiano
i nervi, tormentano le anime. Tutto precipita, e la violenza chiama violenza. Non se ne esce: mai. Il bene che fai porta fortuna, si dice. E il male? Dramma della coscienza lugubre e
marcescente, che di horror ha soltanto i picchi della
colonna sonora e le significative visioni di morte, 1922 è
il
King rètro che aspettavamo senza ansie. A tratti, eppure, sembra
John Steinbeck. Di
uomini e topi si parla, letteralmente. E della confessione senza
fondo di un uxoricida messo a dura prova dagli agenti atmosferici e dal
senso di colpa, in un quattro lunghe stagioni che, mentre sei
impegnato a contarle, ti rubano sotto gli occhi i membri della
famiglia – uno per uno – e l'illusione fantasma della prosperità.
(7)
Un
padre, una madre, un figlio. La minaccia del bosco e, quando il sole picchia, passeggiate con i
fucili puntati. Contro un misterioso contagio che ha condotto gli
Stati Uniti alla rovina, si resiste facendo affidamento alle leggi
della famiglia e alle maschere anti-gas. Finché non bussa un estraneo, sano come un pesce,
che propone una proficua collaborazione: si
trasferisce lì con bambino e consorte. La convivenza mette a
confronto due mondi, due coppie unite contro lo stesso pericolo
senza nome. Come in un film di Shyamalan, tra gli alberi fruscia un
male che non si svela mai. Il cane, intanto, latra. It Comes at
Night, realizzato con costi ridotti e un cast esiguo (segnalo la
presenza di Joel Edgerton, burbero patriarca, e Riley Keough, ospite
così bella da spingere a pensieri maliziosi l'adolescente di casa),
è un survival festivaliero girato in gran segreto. La critica
americana parlava di Trey Edward Shults con un senso
d'attesa parzialmente ingiustificato e paragoni esaltanti ma
ingannevoli. Per quanto solido e ben scritto, assolutamente
apprezzabile, il suo è un film senza grandi misteri, con la sintassi
consueta del cinema indie e le ambientazioni di Into the Forest e
Z for Zachariah – prodotti forse meno significativi, ma con
gli stessi ritmi lenti, spaccati psicologici di insindacabile
accuratezza e un'amarezza diffusa. Cosa succede se, in un cottage con le finestre sbarrate e
le assi alla porta, in realtà è notte anche in pieno giorno? Fanno
il loro ingresso il disagio, lo stare fissi sul chi va là, e non c'è
arma che possa proteggerti dal sospetto dell'altro e dagli equilibri
che, inevitabilmente, la novità della convivenza infrange. La paura
dell'esterno li confina in un ambiente teso, claustrofobico, in cui
il mostro è un loro simile. Riflessioni sparse, non troppo originali
ma mirate, di un horror psicologico (o meglio, sociologico) che
diventa prima campo di battaglia tra il dentro e il fuori; poi guerra
civile che, in pochi metri quadri, logora e divide. (7)
Ricevere
una motosega come regalo di compleanno. E, tra gli applausi e le
incitazioni dei parenti, metterla in moto e rivolgerla contro il primo malcapitato. Piccoli assassini
crescono, nell'ennesimo film ispirato ai mostri del
compianto Tobe Hooper. Ci si guadagna, così, una scontata adolescenza in un
ospedale psichiatrico, nonostante il gran scalpitare della matriarca
Lili Taylor. E da quell'istituto che non disprezza l'elettroshock e
le maniere forti, una notte, si scappa in tanti con un piccolo
pretesto, trascinandosi dietro un'infermiera costretta suo malgrado a
fidarsi del più docile tra loro. La struttura on the road e i
personaggi depravati, trucidi, ricordano il primissimo Rob Zombie o
Robert Rodriguez. Sulle loro tracce, gli agenti Stephen Dorff e Finn
Jones – senza troppe sorprese, più selvaggi e cattivi della gang di psicopatici in libertà. C'è un interessante cambio di rotta nel
momento in cui prima si invertono i ruoli di potere, poi cambiano
bruscamente le preferenze dello spettatore. Gli inseguitori diventano
inseguiti, o viceversa. I cattivi tenenti del profondo Texas degli
anni Sessanta ci tentano, quasi, con il crimine preferito alla legge. Leatherface, film a
sé sul primo amore e la cruenta adolescenza del membro più famigerato
della famiglia Hewitt, è un horror dalla parte dei cattivi. Reboot
trascurabile, sì, ma con la mano pesante dei registi del cult francese
A l'interieur. Più europeo che
americano: sporco, con sangue a fiumi, necrofilia e una trama che
abbozza perfino un colpo di scena, nel tirare le conclusioni. C'è del buono, insomma, nel
cattivo gusto di Alexandre Baustillo e Julien Maury. Adesso, prego,
apritegli porte che non somiglino più a questa qui. (5,5)
Il
prequel di uno spin-off: pessime premesse, e invece... Come il
dignitosissimo Ouija 2 – con
cui ha in comune, oltre alla cura degli interni e al fascino della
ricostruzione storica, anche la presenza della piccola Lulu Wilson –,
Annabelle: Creation
sceglie atmosfere vintage e gli
anni Cinquanta. Ci sono una casa di campagna, una famiglia
addolorata per la perdita dell'unica figlia, uno spettro che utilizza
il lutto e un'inquietante bambola di porcellana come canale. Ne viene fuori
un horror classico, derivativo, certamente perdibile, che ha il
pregio di saper cosa fare dei silenzi, dei coni d'ombra, del suo
assurdo senso di attesa. Cosa
si muove negli angoli bui? Perché i bambini, candidi e vulnerabili,
sanno risultare eppure tanto inquietanti? Fedele alla mitologia a cui ha
dato il via James Wan –
che qui si limita a produrre, ma presta il suo sguardo al Sandberg
dell'orribile Lights Out
–, il prequel gioca con lo spazio filmico e tutti i cliché del
caso. Ecco le luci ballerine, i montacarichi tremolanti, le storie di
fantasmi sotto le coperte, un pozzo nero in cui si rischia di essere
tirati giù; le rarissime concessioni allo splatter e, nonostante la
pochezza della trama, una cura che ipnotizza lo spettatore più
attento alla forma che alla sostanza. Creation si
prende il suo tempo. Troppo, forse, per approfondire le storie –
melense, a tratti – di un
gruppo di sfortunate orfane dickensiane. Troppo poco per chiudere il
cerchio o colmare le falle. Fa sobbalzare, ma non spaventa. Convince
ugualmente, se la paura è sopravvalutata e ci si accontenta di
altro. Qualcuno, infatti, ha confezionato per Annabelle – vedasi la
cura del comporto tecnico, l'eleganza degli interni, la studiata
suggestione che si annida nei segreti dei campi lunghi – un gran bel
pacco regalo. Scartatelo in fretta. Prima che Halloween e la voglia
di accontentarsi passi in fretta. Prima che l'orrida
bambola, impaziente, trovi da sé uno strappo attraverso cui
tormentarvi. (6,5)
Una
turista australiana con lo Reflex al collo incontra un ragazzo di
quelle parti, rispettabile professore di inglese. Siamo nella stessa Germania affascinante e sgranata di quel Victoria girato d'un fiato. Berlin
Syndrome, presentato in anteprima al Sundance e immancabilmente
al Festival di Berlino, sembrerebbe un boy meets girl di quelli che
tanto mi piacciono. Si passeggia chiacchierando, ci si conosce
ingannano il poco tempo a disposizione. Teresa Palmer e Max Riemelt
(sì, proprio il biondo del compianto Sense8)
sono belli, bravissimi, presi. Lei sta per tornare a casa e lui,
innamorato già al primo sguardo, vorrebbe che restasse. Nessuno ti
potrà sentire, le sussurra al culmine della passione. Un invito ad
abbandonarsi al piacere, o una minaccia? Berlin Syndrome sembrerebbe una
rilettura europea, indipendente, di un'Attrazione fatale a
rovescio. Riemelt la chiude in casa, la lega alla testiera del letto
e, dopo un tentativo di fuga, le spappola le dita. Sembrerebbe,
ancora, un rape and revange: ci sono le violenze fisiche e
psicologiche, infatti, e il desiderio costante di insorgere. Il thriller di
Cate Shortland è niente di tutto ciò, ma anche tutte e tre le cose insieme.
Ha un occhio interessante, due ottime performance, un sociopatico dal
profilo insolito – rispettato dai suoi studenti, popolare tra i
colleghi, premuroso con il padre morente. Fa sì che lei abbia
bisogno di lui, che diventi il suo mondo: usando ora la carota e
ora il bastone, ammaestrandola. Il sesso non sembra più stupro. La
cattività appare una scelta di vita. Accurato e sottile, Berlin Syndrome è
però di una lentezza e una ripetitività snervanti. Una prigionia
resa nel dettaglio, troppo? Difetti grandi e piccoli di una regia a lungo indecisa
tra il dramma e la vendetta? (6)
Il Berlin Syndrome per i motivi che sai tu è lì che mi aspetta, non sono riuscita ad inserirlo nel filone horror di quest'estate ma più avanti chissà...
RispondiEliminaPotrei affrontare un nuovo King visto come tutti ne parlate bene, anche se le atmosfere campagnole mi allontanano un po'. Il regista di It comes at night è lo stesso di Krisha, che non mi aveva certo convinto. Mah, mi fa un po' antipatia, se non c'è di meglio da qua ad agosto, me lo vedrò con il caldo.
Prequel e sequel invece neanche li prendo in considerazione.
Berlin Syndrome ha quell'aria indie che ci piace, nonostante la lentezza. Comunque il duo di belli e bravi, qui come non mai, merita.
EliminaKing affrontalo, è il suo anno e il dramma del protagonista brutto sporco e cattivo coinvolge dall'inizio alla fine.
It Comes at Night non è il capolavoro di cui si parlava, ma la A24 (lo dicevamo in chat) merita sempre un'occhiata.
Leatherface mi ha lasciato freddino.
RispondiElimina1922 bellissimo.
Di Leatherface salvo giusto la regia. Un piacere ritrovare questa coppia di registi francesi, anche se con il solito, evitabile reboot.
EliminaSorprendentemente intenso 1922. Quella raccolta del Re va recuperata, anche da un non amante dei racconti come me...
Arrivo a questo Halloween del tutto impreparato. Non ho visto nessuno di questi titoli. Sorry, ma per me quest'anno c'è solo Stranger Things 2. :)
RispondiEliminaSu 1922 non so se fidarmi del tuo giudizio, sei troppo kinghiano per essere obiettivo. ;)
Lo shyamalaniano It Comes at Night mi sa che prima o poi cercherò di vederlo.
Gli altri tre mi sa proprio che me li risparmio.
Stranger Things mi aspetta...
Di It Comes hanno parlato molto. Vedi se capisci tu il perché.
EliminaSono kinghiano, sì, ma 1922 non lo conoscevo. Bella sorpresa, curatissimo e ben recitato.
Gli altri, sì, evitabili tutto sommato. Di Stranger Things sto divorando e amando le prime puntate. ;)
Dovrò sicuramente vedere 1922, in questi giorni mi sa che me lo sparo.
RispondiEliminaConcordo sul fatto che Annabelle 2 sia migliore del primo, non che ci volesse molto, mi ha fatto anche un po' paura ad essere sincero.
It comes at Night mi ispira parecchio, è la prima volta che ne sento parlare e potrebbe fare al caso mio.
Leatherface a dir la verità non mi è mai piaciuta particolarmente nemmeno la saga storica originale, nemmeno il primissimo fil di Hooper, quindi mi sa che me lo posso risparmiare.
Metti in lista King, sì. Questo è il suo anno.
RispondiEliminaDi Annabelle ho rispolverato un po' commento vecchio di due mesi. L'ho visto al cinema e mi ha dato più brividi di It. Grandi atmosfere, un Wan presentissimo anche quando assente.
Meglio, se It comes at Night non l'hai mai sentito. Tanti siti (su tutti, IndieWire) mi avevano caricato un po' troppo di aspettative. Non che sia brutto, solo consueto.
tutti da vedere, a parte 1922 che ho visto è non mi è piaiuto più o meno per il ritmo e la gestione un po' televisiva. Cmq King ha sbancato nel piazzare le sue storie quest'anno :-)
RispondiEliminaTu e Netflix, intuisco anche dopo Il gioco di Gerald, non vi pigliate...
Elimina1922 lo recupererò presto, Leatherface mi ha fatto cagare, mentre mi incuriosisce It comes at night.
RispondiEliminaDi Annabelle avevo letto malissimo, dici che devo tentare il recupero?
Secondo me sì, Ford. Ha una bella regia, quella che secondo me è un po' mancata all'ultimo It, e medie più che discrete (se ti fidi, 6.7 su Imdb).
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