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martedì 20 dicembre 2016

I ♥ Telefilm: The Exorcist, Mozart in the Jungle III, Red Oaks II

Nella famiglia Rance c'è qualcosa che non va. La figlia minore è protagonista di preoccupanti episodi di violenza. Reagisce alle preghiere e all'acqua santa con rabbia inaudita. Posseduta: i segni parlan chiaro. Come liberarla senza farle del male? Nella sua camera, le pareti imbottite; il viso si sporca di muco, tagli, vomito; la testa minaccia di girare, spezzandole il collo. Due preti con troppo da perdere sfidano il male che la ragazza si porta dentro. Tomas, giovane messicano, ha ceduto alla bellezza di una parrocchiana in crisi matrimoniale; l'esperto Marcus, invece, è stato bandito per i suoi metodi poco ortodossi. Siamo a Chicago, tentacolare e freddissima: a ogni angolo di stada, ci sono manifesti che annunciano la visita del papa, come in Rosemary's Baby. La possessione dell'adolescente è solo la punta dell'iceberg. Sotto la superficie, una setta che ha agganci ovunque; violenti omicidi rituali. A tratti risuona lo storico motivetto: subito è The Exorcist. La serie Fox, però, ha poco in comune con il capolavoro dell'horror. Nulla, dicevo, a proposito del pilot. E già quello, nonostante paragoni inevitabili e all'apparenza poco lusinghieri, sapeva sorprendere per l'ottima fattura: poche idee, tanta eleganza. Regia cinematografica, fotografia senza sbavature... e dopo? Collegamenti ad effetto, dal quinto episodio in poi, che non sto qui a svelarvi. E così, discreto ma rigoroso, The Exorcist si rivela più sequel che indesiderato reboot; più rispettoso successore che avventata riscrittura. Alfonso Herrera e Ben Daniels, con accenti che tutto possono e tanta intensità, vanno a costituire la coppia bene assortita di una specie di buddy movie che oscilla tra l'horror e il thriller piscologico; Geena Davis, ritoccata ma discreta, è la madre devota delle bellissime Hannah Kasulka e Brianne Howey, carne fresca per l'oscurità. Citazioni grandi e piccole, presenze maligne che ritornano e, quarantadue anni dopo, la pace per qualcuno e la chiamata alle armi per altri. Pur se all'ombra di William Friedkin, le dieci puntate pensate da Jeremy Slater – autore degli esecrabili Fantastic 4 e The Lazarus Effect – non fanno sparlare gli scettici; mantengono la tensione e le promesse e, con il twist ad impatto a metà dell'opera, colgono in contropiede. Fino al nono episodio, infatti, The Exorcist regge alla perfezione. Classico ma inquietante. Ha fatto propria la lezione di James Wan. Poi sbaglia perché ha fretta di chiuderla lì: la paura di un rinnovo incerto, infatti, ci regala un season finale non abbastanza potente. Di quelli che, né aperti né chiusi, mi lasciano un po' insoddisfatto. C'è qualcosa di marcio in Danimarca, scriveva Shakespeare. E c'è qualcosa di marcio in Vaticano, quest'anno come non mai, tra gli adepti in tonaca di Slater e gli intrighi di Sorrentino. Se non basta il segno della croce, darsi a una maratona. (7+)

Rodrigo è in crisi artistica. Giovane e scapestrato direttore d'orchestra, ha voltato le spalle alla Filarmonica nel momento del bisogno. Mentre i musicisti scioperano, l'inarrestabile Gael Garcìa Bernal fa vita da nababbo fra i canali di Venezia. Incantato dal sua bellezza, si è messo in testa di riportare la Fiamma – cantante sul viale del tramonto impersonata da una convincente Monica Bellucci, più a suo agio con l'inglese che con l'italiano – sul palcoscenico. I due si corteggiano, provano, mentre l'oboista Hailey – guarda caso, sempre in Italia – resta disoccupata dopo una figura barbina e un pranzo a base di vongole avariate. Tra la musicista e il direttore, si sa, c'è sempre stato del tenero. Galeotta sarà proprio Venezia? E il capriccioso, melodrammatico personaggio della Bellucci, come reagirà all'idea di un triangolo? Mozart in the jungle, dopo la non troppo sorprendente vittoria agli scorsi Golden Globes, ritorna. Nella prima metà, tanta leggerezza all'ombra delle calli; l'opera lirica e nuovi, illustri amici immaginari a consigliare il protagonista; qualche innocuo cliché, compreso un esagerato Christian De Sica, e molte risate. L'ambientazione nostrana, la tintarella, fa bene ai sentimenti e all'ispirazione, allieta i cultori; Mozart in the jungle, spostatosi nella laguna, ne guadagna in freschezza. La seconda parte, invece, riporta i personaggi al punto di partenza. E già in precedenza – più interessati alle scaramucce fra Bernal e Lola Kirke – seguivo gli orchestranti in marcia, tutto quel parlare di investitori e proventi, con un orecchio sì e l'altro no. Qualche episodio al centro gira a vuoto; come nelle commedie hipster di Stillman e Baumbach capita tutto e non capita granché. Dieci puntate volavano via che è un piacere, al solito, fra spartiti intrighi e concerti; regia e colonna sonora, con Amazon a produrre, sono senza pari per qualità. Ma, cosa detta anche per la comedy You're the worst, l'impressione che Mozart in the jungle non vada né avanti né indietro – sempre lì, sempre uguale – spegne gli entusiasmi. Per fortuna c'è l'irrequieto Gael Garcìa Bernal, ed è impossibile non adorarlo. Per fortuna il finale di stagione riserva qualche soddisfazione a chi lo segue più per il gossip che per la musica strumentale e, tra orgoglio sentimento e colti fantasmi, più di qualche buona ragione per tornare in questa giungla calorosa, ma svogliata. (6,5)

Lo scorso anno, di questi tempi, finivo di vedere la prima stagione di Red Oaks. Commedia agrodolce dalle ambientazioni vintage, ci raccontava l'estate di un giovane a un bivio. Quale strada scegliere, alla fine delle superiori? Seguire i desideri di un padre che lo voleva contabile, o ambire al cinema? I grattacapi e le speranze di un ventenne medio, però, non esaltavano. Il romanzo di formazione di David Gordon Green piaceva, ma con riserva. Come il suo eroe spiantato, era indeciso fra serietà e divertimento, cameratismo e nostalgia. Me lo aspettavo più spiritoso, più leggero. E una seconda stagione, invece, non l'aspettavo. Gli ho concesso inizialmente un'occhiata distratta, a tempo perso, e ho scoperto con entusiasmo un Red Oaks cambiato, adulto. Nel primo episodio, addirittura, ambientato in un appartamentino bohémien di una Parigi bertolucciana. Nei successivi nove, però, ecco che si ritorna fedelmente ai pantaloncini bianchi, ai campi di tennis, all'odore di cloro dello sfarzoso country club in cui i protagonisti s'incontrano di nuovo. E, in queste dieci puntate che volano con malinconia, si contendono a turno la simpatia dello spettatore. I genitori divorziano: la mamma sperimenta, il padre si scopre inguaribile gattaro. Un amico si dichiara alla ragazza perfetta, e questa le dice sì; un altro fa i conti con l'arrivo dei quarant'anni. La ex storica si sposa con il fotografo per cui ci ha mollato, ma nel giorno delle nozze ha bisogno di supporto morale. La fiamma attuale – ambiziosa, sofisticata, ricca – inizia a vergognarsi di uno che non ha apparenti obiettivi futuri, se non filmare battesimi e matrimoni fino al prossimo autunno. Ho voluto molto bene - più del solito - a questo David che fa da spettatore alla sua stessa vita e ha i tratti dell'adorabile Craig Roberts, quest'anno visto anche in Altruisti si diventa: bruttino che conquista, ha le mie stesse incertezze e, a occhio, la mia statura. Red Oaks si va facendo grande. Prende e va. Cortese, intelligente, pronto. Questa volta - quest'altra estate - scioglie i dubbi. Ha una scrittura delicata; una trascinante colonna sonora a tema, come nell'ultimo Linklater; la regia, per una manciata di puntate, di Gregg Araki. Quel che è rimasto, con buona pace di Raf, di quegli anni '80. (7)

16 commenti:

  1. Sono indietrissimo con le mie visioni e fortunatamente posso recuperare film un po' datati perché tra le novità mi interessano poche cose. Ho visto di recente Little Boy, semplice, godibile, un film distrutto dalla critica e osannato dagli spettatori. Per me la verità sta nel mezzo. E comunque la lacrimuccia mi è scesa :)

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    1. Ho presente, ma non l'ho visto. Con tutti questi season finale di mezzo, di film ne ho visti pochini. :)

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    2. E' sicuramente taaaanto buonista come film, pieno di stereotipi, però quel bambino è qualcosa di unico. Una dolcezza infinita!

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    3. Eh, io detesto un po' i bambini e nel mio cuore, quest'anno, c'è solo Jacob Tremblay. Però magari, sotto Natale, provo!

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  2. Devo ancora finire la serie (sono a metà season finale e stamattina ho bestemmiato per essermi svegliata in ritardo e non averlo potuto vedere tutto! T__T) ma per me The Exorcist è un grosso SI'. Non solo per quel gran figo di Ben Daniels ma anche perché il vecchio Pazuzu mi ha messo una paura assurda!

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    1. Recupera Flash & Bone. Ben Daniels, lì, coreografo bastardissimo, è un assoluto fuoriclasse. ;)
      Promesso anche per me, finale (troppo lieto, troppo sbrigativo) a parte.

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  3. Di Mozart in the Jungle avevo visto la prima stagione e mi era piaciuta molto. La seconda per ora l'ho lasciata a metà, perché l'avevo trovata parecchio sottotono rispetto alla precedente :/

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    1. Continua a essere una piacevole compagnia, Aenor, ma non mi piace mai del tutto. Quest'anno come non mai, nella seconda metà, mi sono annoiato. Ho rimpianto la Bellucci, figurati. ;)

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  4. Alla fine ho recuperato anche io the exorcist e ammetto che mi è piaciuta. La rivelazione nel mezzo della serie me l'ha fatta apprezzare ancora di più. Ora mi manca solo la decima puntata ma da quello che dici mi aspetto un meh..

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    1. In realtà male non è, ma osa poco.
      Per paura di un rinnovo incerto, come ho scritto, hanno cercato di portare tutti i noti al pettine. E, in soli quaranta minuti, c'è un po' di fretta.

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  5. Niente male The Exorcist. Non ci avrei scommesso nulla, invece è stata una sorpresa inaspettata. Pure a me l'ultima puntata non ha convinto. Non so perché hanno buttato un po' via le cose così, però nel complesso comunque mi è piaciuta oltre ogni più rosea aspettativa.

    La nuova stagione di Mozart in the Jungle ha guadagnato con la trasferta italiana (e anche questa è stata una sorpresa), mentre nella seconda metà ha perso un po' in brillantezza. Devo dire che nel complesso mi è sembrata una stagione molto creativa e vitale, pur con i suoi difetti.

    In Red Oaks 2 non ho visto un'enorme evoluzione rispetto alla 1, ma per me si è confermata sempre una visione molto piacevole.

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    1. La prima di Red Oaks, forse, mi ci è voluto un po' per metterla a fuoco. Sapendo in parte cosa aspettarmi, poca delusione e molte sorprese. Invece è proprio in Mozart che non ho visto la vitalità: mi è sembrato piatticello...

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  6. Mi tocca ripetere le cose che ci siamo detti: sia The Exorcist che Red Oaks le metto in un angolo in attesa di coraggio e tempi migliori.
    Mozart frizzantino il giusto, sempre piacevole, sono però arrabbiata dal non aver saputo per tempo di avere Gael a un'ora di treno da casa, per la mia Venezia. Che, si fa così?

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    1. Lui poi parla a voce così alta che potevi sentirlo parlare da lì! :)

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  7. Di queste mi interessa solo Exorcist, che recupererò a brevissimo, spero.
    Ad ogni modo, la produzione di serie interessante è ormai talmente ampia da rendere difficoltoso seguirle tutte.

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