Io
odio i supereroi. O, più correttamente, dovrei dire che li odiavo?
Li odiavo un po' meno già qualche settimana fa, con il nostro Lo
chiamavano Jeeg Robot in sala, e
la conversione è stata definitiva e fatale, pare, con la seconda
stagione di Daredevil.
Non che lo scorso anno, contro ogni pronostico, il paladino di Hell's
Kitchen non mi avesse fatto suo del tutto, imponendosi sul podio di
365 giorni di attento zapping. Erano forse un caso i dialoghi densi, le
performance di un cast amalgamato, l'uso modico della a me ostile
computer grafica e i corpo a corpo ripresi in piano sequenza? Domanda
retorica con risposta negativa, la mia, però io sono come San
Tommaso. Sapete già. Preferisco tenermi il dubbio e, appena posso,
ci metto il naso, il dito e tutto l'impegno del mondo, per guardare
tredici episodi in due giorni e qualcosa. Perché alte aspettative
generano cocenti delusioni, la stampa estera non ne scriveva con toni
accalorati e il pericolo pasticcio toglieva a me il sonno e agli
sceneggiatori, tra i più valenti, l'equilibrio conquistato. Di
questi tempi, è affollata la Grande Mela. Con il caldo insostenibile
delle estati newyorkesi, la frutta va a male – tenendomi ben
stretta la metafora -, il crimine prolifera e sui tetti, all'ombra
dello skyline, Daredevil, suo malgrado, recluta aspiranti apprendisti
e violenti antieroi. Avevamo conosciuto Matt Murdock, cieco
dall'infanzia, e i suoi collaboratori, il simpatico Foggy e la
curiosa Karen, con un galante tiranno ad aizzare contro di loro il
male e le sue propaggini. Con Kingpin - magnifica nemesi - in
galera, qualcuno si preoccupava e qualcuno meno. Personalmente, ero
tra coloro che si domandavano quanto avrebbe perso la serie senza il
suo fiore all'occhiello. Altri bramavano la novità: nuove gatte da
pelare e, magari, una dose di ritmo aggiunta. In realtà, non atteso,
farà anche qui una significativa comparsa delle sue – no,
l'arancione dei galeotti non lo sfina –, ma al suo tanto parlare si
contrapporranno le sparatorie di The Punisher e i seducenti raggiri
di Elektra. Più azione, ma non troppa da lasciarmi un passo
indietro. Ombre sull'idillio tra Murdock e
Nelson e scottanti dilemmi sul fronte sentimentale: Karen Page,
sveglia e bellissima solo come Deborah Ann Woll sa, non vuole essere
solo un'amica né una semplice segretaria, proprio mentre dal passato
di Matt torna una fiamma che non si è estinta. Seduta in salotto,
spregiudicata e con l'accento “posh” delle classi
alte, una Elektra con le fattezze della francese Elodie Yung:
l'indiscreto fascino di una sociopatica che conosce tutti i punti deboli, perfino quelli per fare
breccia in un cuore. Non bisogna mettersi comodi, però, con
Frank Castle in libertà: il braccio violento della legge ha una
tragedia familiare che conosciamo a fondo e le medaglie di una
missione in Afghanistan. In un granitico Jon Bernthal, però, trova l'umanità, il timore e le smorfie di un De Niro “toro scatenato." I toni e
le suggestioni sono senza fine: un legal thriller, con The Punisher
sul banco degli imputati e un vigilante in borghese a difendere la
sua innocenza; le missioni quasi bondiane, con una femme fatale
doppiogiochista che ci trascina a party che richiedono il papillon e
l'abito da sera; le risse e il sangue a fiumi di
un dramma carcerario alla Cella 211.
Infine, una spruzzata del paranormal che non ti aspetti. Ricordate
Spider-Man 3, inconsapevole
di quanto il troppo stroppiasse, che pastrocchio fosse? Un po',
temevo quello. Il ritorno di un Daredevil pragmatico,
adulto e dinamico non smentisce però attese e buoni propositi e,
anche se è presto per tirare le somme, si conferma una spanna
superiore a tutto quello che in tre, quattro mesi abbiamo visto in
tivù. Merito di un marchio che miete consensi su consensi e che, in
equilibrio perfetto, pensa personaggi e situazioni davanti ai quali non sapresti cosa scegliere,
nell'evenienza che qualcuno ti domandasse: ma tu, di questa stagione
affollata, chi hai preferito? E merito, in parte, di un Charlie Cox
perfetto, con gli occhi buoni e il fisico scolpito, raro mix, che
inciampa contro i pugni degli avversari e lungo la strada che porta a
un bivio cruciale: il suo amore di gioventù lo esorta ad affacciarsi
sul lato oscuro, il suo furente alter-ego gli instilla il dubbio che
tra la loro natura non ci sia poi differenza. Predicherà bene e
razzolerà male, e quel famoso bivio susciterà nell'eroe che
sanguina e piange, prega e osteggia la violenza, una riflessione a
confine tra l'etica e la morale: è giusto uccidere, e quando? Occhio
per occhio, e il mondo divenne cieco. Al buio, ascoltiamone il
respiro, il battito del cuore. Badiamo allo sguainare delle spade. E
se i parametri vitali mancassero, nel momento in cui la giustizia –
e l'umanità – sembrerebbe perduta e il dato tratto, preparati a parare colpi proibiti. Li ricambierai: sì o no? (8)
Di
solito, dalle mie parti, comedy come questa hanno vita breve: il
tempo del pilot e via nel dimenticatoio. Ma Younger, innocua e
freschissima, lo scorso anno è
stata più fortunata di serie a essa simili. Con New York, gli
ambienti patinati, le svolte così paradossali da divertire a colpo
sicuro. Anche quest'anno, in primavera, è tornata a farmi compagnia.
Anche quest'anno non ha grossi meriti o grosse pecche – è cambiata
poco, il che non è un male – e se la cava con un sei e mezzo e un
arrivederci all'anno venturo o, se non altro, a quando avrò bisogno
di sciogliere quel famoso nodo tra cuore e stomaco. Il titolo,
tradotto alla lettera, dice tutto: il dramma di Liza è quello di non
essere giovane abbastanza. Occasioni lavorative che scarseggiano, i
giovani che con le milf non vogliono una storia importante, gli Stati
Uniti che non sono un Paese per vecchi. Una bugia a fin di bene per
sistemarsi perciò: Liza ha ottimi geni, un fisico snello, buone
referenze. Fingersi ventiseienni è un attimo. Quindici anni in meno
le assicurano il lavoro e il ragazzo che sognava, un appartamento a
Brooklyn e più di qualche grattacapo. L'avevamo lasciata con lei che
rivelava al toy boy la sua verità e con una specie di lieto fine:
amor
– e trucco abbandonate –
omnia vincit. Il
creatore di Sex &
The City e
90210 ci dice, però,
che nella vita della sua protagonista c'è ancora qualcosa da
sistemare. Kelsey, una rediviva Hilary Duff, sta per sposarsi. La
figlia, ribelle e in Erasmus, è tornata all'ovile: come presentarle
Josh, quel fidanzato che ha praticamente la sua stessa età? E dove
collocarlo, Josh, in un triangolo che coinvolge un ex marito tornato con la
coda tra le gambe e un maturo direttore editoriale? Le domande di
Liza fanno sorridere, al solito, e al solito Younger
ci propone l'happy
ending, amicizia e amori al tempo dei Social e uno sfondo stimolante.
In casa editrice, infatti, ci sono nuovi titoli da lanciare – e
tutti strizzano l'occhio a quello che effettivamente troviamo sugli
scaffali: gli erotici da strapazzo, i memoriali della star di
Instagram, le saghe in cui gli autori – onnipotenti, barbuti,
erotomani – fanno fuori tutti i personaggi possibili. Qualche
serie come Younger,
ogni tanto, ci sta: sì. Un riempitivo quando non si ha a disposizione
qualcosa di meglio, lo scacciapensieri tra un impegno e l'altro, la
comedy che passa e va, e tu non la senti. Vola, con i suoi venti
minuti canonici, i toni soft, le situazioni mondane in cui tutti sono
forse un po' troppo belli ma, stranamente, ti risultano simpatici lo
stesso. Quante serie come Younger
ci sono però? Né brutte né belle, carine, che ogni anno ti
promettono – chi più e chi meno – lo stesso pacchetto, ora con
accessori inclusi e ora esclusi nel prezzo? Tante, e qual è il
trucco nello sceglierne una? In realtà, il trucco non c'è. Ti
capita davanti e non la molli, per abitutine, inerzia o quel che vi
pare. Per i libri e la città che non dorme. (6,5)