Pagine

giovedì 23 luglio 2015

Recensione: Revival, di Stephen King

Quando ripenso a Charles Jacobs, non riesco neppure a considerare che la sua presenza nella mia vita fosse dovuta al destino. Altrimenti significherebbe che quelle vicende tremende, quegli orrori, erano destinati ad accadere.

Titolo: Revival
Autore: Stephen King
Editore: Sperling & Kupfer
Numero di pagine: 470
Prezzo: € 19,90
Sinossi: Più di cinquant'anni fa, in una placida cittadina del New England, un'ombra si allunga sui giochi di un bambino di sei anni. Quando il piccolo Jamie alza lo sguardo, sopra di lui si staglia la figura rassicurante del nuovo reverendo, appena arrivato per dare linfa alla vita spirituale della congregazione. Intelligente, giovane e simpatico, Charles Jacobs conquista la fiducia dei suoi parrocchiani e l'amicizia incondizionata del bambino: per lui il pastore è un eroe, soprattutto dopo che gli ha "salvato" il fratello con una delle sue strepitose invenzioni elettriche. Ma l'idillio dura solo tre anni: la tragedia si abbatte come un fulmine su Jacobs, tutto il suo mondo è ridotto in cenere e a lui rimane solo l'urlo disperato contro il Dio che lo ha tradito. E il bando dal piccolo Eden che credeva di avere trovato. Trent'anni dopo, quando Jamie avrà attraversato l'America in compagnia dell'inseparabile chitarra che l'ha reso famoso, e dei demoni artificiali che ha incontrato lungo il cammino, l'ombra di Charles Jacobs lo avvolgerà ancora: questa volta per suggellare un patto terribile e definitivo. "Revival" è il racconto di due vite, quella che King ha vissuto e quella che avrebbe potuto vivere, attraverso due personaggi formidabili per potenza e fragilità, due uomini ai quali accade di incontrare il demonio e di affondare nel suo cuore di tenebra.
                                                La recensione
"La curiosità è un istinto terribile ma umano. Molto umano." 
Stranamente, da quanto Stephen King – ormai in età pensionabile – ha iniziato a scrivere libri su libri, complici giornate che quando hai sessantasette anni immagino scorrano lentissime, ho deciso di prendermela con calma: Mr Mercedes letto appena a novembre, il desiderato sequel – Chi perde paga – atteso per quest'autunno e, tra un capitolo e l'altro della nuova trilogia gialla, piazzarci Revival. Con la folgore bluastra in copertina e un'edizione italiana uscita in un lampo. Ho atteso il cinquanta percento e i porci comodi di Libraccio per poterlo dire mio; senza fretta. Perché, come dicevo, adesso più che in passato, colui che mi ha iniziato alle gioie (e ai dolori) della lettura, è puntuale e onnipresente: so che, in caso di ritardi negli acquisti, in libreria potrò comunque trovare non uno, ma almeno due titoli inediti. Questa, infatti, la media annua di pubblicazioni di un re longevo e scaltro che, ormai, chi osa rovesciare dal suo trono di spade? E quel Revival per cui tanto c'era tempo – messo nel carrello, in attesa del click; messo sul comodino, in attesa di fare ciao con la mano alla mia estate – mi ha catturato, sin dall'inizio, con uno degli incipit destinati a rimanere nella storia di un anno di letture, e non solo, per bellezza e semplicità. In quanti abbiamo pensato alle persone della nostra vita come ai personaggi di un film? Ma in quanti abbiamo saputo dirlo così, con la voce che rischia di spezzarsi per la malinconia verso i bei tempi andati? C'è da vivere a lungo e intensamente. E ci sono vite lunghe e intense in un romanzo che parte da lontano, con i giochi di infanzia di Stagioni Diverse, i momenti in cui ci si smarrisce nella selva oscura degli stupefacenti come in Doctor Sleep, fino ad arrivare alle svolte fantastiche di Cose Preziose o La tempesta del secolo. Il titolo, Revival, fa dunque riferimento alle pratiche miracolose di un blasfemo Frankenstein che sfida i limiti invalicabili della morte, donando una seconda possibilità a chi era ferito nel corpo e nello spirito, e a quel che la ricomparsa di temi simili, nella bibliografia del mio autore preferito, rappresentano: un ritorno all'orrore che fu. Quando l'ora sta per giungere e, con la vecchiaia, la morte inizia a fare paura, la vita – o così si racconta spesso, almeno – ci scorre davanti, proprio come uno di quei film di cui vi parlavo poco fa. Revival, racconto della giovinezza spericolata di Jamie Morton e della conoscenza che lo segnò irreversibilmente, è quel flusso; è quel film mandato indietro velocemente ma non troppo, direi, viste le quasi cinquecento pagine totali. 
Titoli di testa, il primo piano di un bambino che schiera a terra i suoi amati soldatini, poi la fatidica ombra che si allunga sui suoi giochi innocenti e non lo abbandonerà mai più. Appartiene a Charles Jacobs, il giovane reverendo che – con la sua bellissima moglie che suona con grazia l'organo e un figlio piccino, tenerissimo, che diventa subito l'allegra mascotte dei bambini del paese – avvicina le famiglie, sprona gli impertinenti affinché obbediscano agli adulti, guarisce gli infermi con il potere dell'elettricità. Dio dava la vita con un soffio, Jacobs con una scintilla. Ma quando Dio o chi per Lui, in un violento incidente, lo priva della sua adorata famiglia, per il reverendo – scomunicato, dopo un infuocato sermone contro il Paradiso – inizia il cammino infernale oltre le colonne d'Ercole: l'imbonitore, il ciarlatano in tivù, lo scienziato pazzo. La morte è una porta e lui vuole aprirla un po', dare una sbirciata dall'altra parte. In quasi mezzo secolo, la storia di Jamie – da bambino dalla Fede compromessa da una parola di troppo a chitarrista tossicodipentente nel favoloso panorama rock 'n roll dei primi anni settanta – si incrocerà in modi imprevisti con quella dell'adulto che, un giorno d'estate, oscurò il sole con la sua lunga nera ombra. La sua nemesi, il suo agente del cambiamento – quello che, in un'esistenza in formato 16:9, gli farà conoscere gli amici giusti, i nemici sbagliati e davanti a un bivio, davanti a una scelta, scaverà a mani nude una terza via alternativa. Il loro rapporto di amore odio – simile a quello tra Faust e Mefistofele, tra Renfield e il Conte Dracula: come tirarsi indietro davanti alle richieste d'aiuto di un genio disperato, se è a quello stesso genio disperato che dobbiamo la nostra felicità? - è un'evoluzione continua, che mette sullo stesso piano antagonista e protagonista e, come in uno di quei lungometraggi pensati con cura o comunque in una di quelle vite al massimo, ha occhi di riguardo e parole belle per chi va, chi viene e chi, innamorato o con un piede nella fossa, finalmente si ferma. 
Ma, e lo saprete già se avete dato una sbirciata alla fine della recensione, Revival non mi ha convinto del tutto. E senza purtroppo di sorta, perché parlare di delusione – avando tra le mani un romanzo denso, ampio e tanto ben scritto – è esagerato. Quel “ma” resta lì, chi lo sposta?, e per me è colpa, principalmente, dell'ultima parte: quella spiccatamente orrorifica. Il reverendo Jacobs prima dà, poi riprende. Non mi ha convinto il fulcro del mistero, che ho trovato non avesse il giusto appeal, ma mi è piaciuto un mondo tutto il resto. Quello che viaggia dalle parti della vita vera, non l'omaggio in definitiva già letto all'immaginazione inquieta di un Lovercraft. Sarà che sono più per un horror che esplori questa realtà, non quella metafisica, e che una delle immagini che il finale mi ha lasciato – una landa desolata, omaggio per caso, mio Re, all'Aldilà di Fuci o a Inferno di Dario Argento? In caso, tanta tanta stima – era di impressionante nichilismo; la prospettiva più cupa e pessimista. Accanto al King vecchio stile che, con franchezza, non rimpiangevo, scene che andavano a nozze con gli occhi lucidi. Il ritorno a casa dopo trent'anni di assenza, i fratelli che non vedevi da decenni, i nipoti che non sapevi di avere, i familiari che – in molti casi la malattia, in un caso particolare il femminicidio – hanno lasciato un posto vuoto a tavola. E' questo il King sedentario e malinconico che mi strapazza un po'. Vive ogni giorno come fosse l'ultimo, scrive ogni libro come fosse l'ultimo. L'emozione ha trionfato sul terrore, questa volta, ma tanto un brivido vale l'altro. Revival: per i più, un grande ritorno alle radici del genere. Ma, vedete, c'è un errore sin dal principio. Una prospettiva diversa, alla base. Stephen King non è tornato, perché Stephen King - per me - non è mai andato via. 
"Casa è quel posto dove vorrebbero sempre che ti fermassi un po' di più."
Il mio voto: ★★★½
Il mio consiglio musicale: AC/DC – Thunderstruck

14 commenti:

  1. Immaginavo fossi un altro dei tanti nipoti dello Zio sparsi per il mondo.
    Buona lettura, allora (anche se, questa volta, mi ha deluso un po'). ;)

    RispondiElimina
  2. non c'entra nulla con la recensione di King, ma da qualche parte dovevo pur scriverti! :D
    mi ha semplicemente stupita il libro che hai scelto di leggere Il mio cuore e altri buchi neri, di Jasmine Warga il cui titolo mi ha sempre dato da pensare. e non in senso malizioso giuro!
    sono molto curiosa di scoprire poi quale sarà il tuo giudizio. a presto.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Anche a me ha sempre dato da pensare - e anche in senso malizioso, ebbene sì - però la mia amica Silvia, di Il piacere della lettura, me ne ha parlato benissimo. Mettici quello e una Mondadori stranamante generosa... Potevo dire di no? Ho letto una sessantina di pagine e, al momento, titolo a parte (che poi è la traduzione letteraria dell'originale, sigh), non è niente male davvero.

      Elimina
    2. bhe allora direi che la cosa non può che farmi piacere. Me ne ero tenuta alla larga, ma se il tuo giudizio sarà positivo lo metterò sicuramente tra i libri da leggere. nel frattempo ho cominciato il ladro di nebbia. buon weekend

      Elimina
    3. Anch'io aspetto la tua recensione Michele, ma sono sicura che apprezzerai la macabra ironia di Aysel :)

      Elimina
    4. Apprezzo un po' meno il nome in assonanza con Hazel (Grace), però l'ironia mi va a genio, sì ;)

      Elimina
  3. Che dire, concordo con quanto hai scritto.
    Sarà la vecchiaia ma ormai lo Zio mi coinvolge "solo" quando racconta del dolore umano più reale, appena tinto di mistero semmai, con quel lavoro sui personaggi e quel modo di raccontare l'America che non c'è più che sanno fare solo lui e pochi altri.
    Quando si butta sull'horror, come del resto è successo anche nel fiacco Dr. Sleep, si ha l'impressione che non sia più quello ad interessargli, con tutte le conseguenze del caso.
    Se vogliamo rimanere in famiglia, per l'aspetto horror/fantastico è meglio cominciare a rivolgersi a Joe Hill che è ancora fresco e pieno di entusiastiche idee :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ecco, mi hai ricordato quello che avrei voluto scrivere e poi, sfortunatamente, mi è passato di mente. Verissimo: il figliolo, Joe Hill, ha uno spirito che risulta più giusto per parlare di materia puramente horror. Hai letto "Ritorno a Christmasland"? Come gustarsi il King dei primi tempi, praticamente. La mela, come si dice, non cade lontano dall'albero. Che il giovane si dedichi alla paura e che il genitore - sempre Re, niente da dire - si concentri sui personaggi bellissimi che solo lui sa creare. :)

      Elimina
    2. Ritorno a Christmasland mi ha angosciata un sacco, davvero bellissimo. Tra l'altro, mi piace di Hill la capacità di creare personaggi femminili con le palle, una su tutte Kinsey di Locke & Key, un fumetto che, se non l'hai mai letto, ti consiglio spassionatamente!

      Elimina
    3. Locke & Key: amo! Michele non mi ascolta e non lo legge >.<

      Elimina
    4. Eh, tra te e Silvia che pressate, devo darmi una mossa, allora ^^

      Elimina
  4. "Stephen King non è tornato, perché non è mai andato via": frase spettacolare, che condivido in pieno! <3
    Come forse ricorderai, "Revival" non mi è piaciuto: l'ho trovato lento, retorico, prevedibile, quasi odioso nella sua ossessiva parafrasi di immagini lovecfraftiane, e talmente pessimista da lasciarmi cupa e di malumore per giorni interi...
    Però il Re è il Re: se c'è qualcuno in grado di intessere un incantesimo irresistibile tramite le sue parole, quello è proprio lui.
    Voglio leggere "Chi perde paga"! *___*

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Mi è andato più a genio che a te, però comprendo - adesso - il tuo punto di vista ;)

      Elimina