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giovedì 28 dicembre 2017

[2017] Top 10: Le mie letture


10. I nostri cuori chimici Krystal Sutherland 
Lui ama lei. E lei non può fare altrettanto; non fino in fondo. Un terzo d'amore è sufficiente? Se hai diciassette anni e (500) giorni insieme, a occhio, è il tuo film preferito, non c'è niente di più struggente.

9. Non ti faccio niente Paola Barbato
Un'avventura implacabile e delicata, dalle sfumature kinghiane, su una squadra di sconosciuti male in arnese, ai ferri corti con la malinconia, che si aggregano per giocare ai detective. Cos'hanno da perdere? Da guadagnare, quattrocento pagine in cui ci si scopre più forti insieme.

8. Open Andre Agassi
Che storia, che partita, che vita.

7. It Stephen King
Farò ritorno a Derry tra ventisette anni. Quando tornerà l'asma, la balbuzie sfiderà qualsiasi consulto dei logopedisti e le cicatrici dei giuramenti di sangue, scavate sui palmi delle mani col coccio di una vecchia bottiglia di Coca-Cola, sanguineranno nei giorni dei pranzi andati di traverso e dei ritorni a casa. E sarà come vivere per sempre. Laggiù, dove eppure si va per morire.

6. Le otto montagne Paolo Cognetti
Un romanzo intensissimo, commovente, dove gli stati d'animo seguono i bollettini metereologici e i bambini vengono al mondo in ottobre, ché l'amore si fa quando i campi riposano. Ti scalda in questo inverno che non ha pietà. E lo sa la testa, e lo sa la pancia.

5. Le nostre anime di notte Kent Haruf 
I protagonisti di Haruf non si spengono. Professano una vecchiaia che non è sinonimo di tristezza. E che la solitudine, a volte, può essere riempita fino all'orlo. Inseguendo il tempo, Dio e l'altro.

4. Il cuore degli uomini Nickolas Butler
Butler fa nodi da marinaio – a lungo, mi legherà con quelli ai suoi meravigliosi personaggi - e improvvisate voce e chitarra. Conosce i segreti per leggere le stelle superstiti, e se ne fa custode. Spazza la cenere. Fino all'alba, ancora, giura che terrà acceso il fuoco.

3. Bellissimo Massimo Cuomo 
Un inseguirsi senza tregua e forse senza raggiungersi. Su una fuga lunga una vita. Su un amore che è saziarsi. Su quegli abbracci da cui ci si ritrae d'istinto, per disabitudine o paura di un altro pugno in faccia, che portano a casa.

2. Uomini e topi John Steinbeck 
Gli uomini e i topi condividono una favola dopo dodici ore spese nei campi. Fantasticano su una terra promessa, al bando l'indiscrezione dei curiosi. Con l'indomani che è un altro ranch, sì, e lo stesso sogno impossibile prima di coricarsi.

1. Stoner John Williams
Quanto è abusata l'espressione: è uno dei romanzi della mia vita. Ma questo lo è davvero. Di quella vita noiosissima e bellissima che non ho mica chiesto io, ma tant'è. Che non farà la rivoluzione, mi ha detto una persona, ma la differenza per qualcuno. Stoner sono io, sì, e in fondo anche tu. 

lunedì 19 giugno 2017

Recensione a basso costo: Uomini e topi, di John Steinbeck

Un uomo ammattisce se non ha qualcuno. 
Vi so dire che si sta così soli che ci si ammala.

Titolo: Uomini e topi
Autore: John Steinbeck
Editore: Bompiani – I grandi tascabili
Numero di pagine: 128
Prezzo: € 7,90
Sinossi: Pensato per un pubblico - i braccianti della California - che non sapeva né leggere né scrivere, "Uomini e topi" (1937) è un breve romanzo, ricco di dialoghi, che, nelle intenzioni di Steinbeck, avrebbe dovuto essere in seguito adattato, come difatti avvenne, per il teatro e per il cinema. Protagonisti, due lavoratori stagionali, George Milton, e l'inseparabile Lennie Little, un gigante con il cuore e la mente di un bambino, che il destino e la malizia degli uomini sospingono verso una fine straziante. Il ritratto di un'America stretta dalla sua peggiore crisi economica nella drammatica rappresentazione di un maestro.


                       La recensione
Mi faccio impressionare da quei libri di cui mi si dice: va letto, almeno una volta nella vita. Su Uomini e topi è stato detto questo e altro ancora. Lo citano romanzi e telefilm sacri e profani; lo consigliano indiscriminatamente gli appassionati di lunga data e i lettori della domenica; lo mettono in scena il laboratorio di teatro del liceo statale, il cinema d'autore, le leggende di Broadway – per assistere all'ultima riduzione teatrale con James Franco e Chris O'Down darei un rene e qualsiasi cosa resti del cuore. Sono state spese tante, tante parole per un libricino che supera a stento le cento pagine. Cos'altro aggiungere, ci si domanda, alla fine di una lettura che strema? Per fortuna non passa mai per la mente un altro dubbio: perché comprarlo e leggerlo, a ottant'anni dalla sua pubblicazione? Scopro la grandezza di John Steinbeck un giorno di metà giugno, su una sedia di plastica in balcone. Torno a sperimentare la reverenza motivata (ma in questo caso ingannevole) per un titolo molto più grande di me e la poesia di queste parabole americane che, da qualche anno a questa parte, ho imparato ad amare profondamente. Le mie storie di campagna preferite, amate perché raccontate a bassa voce, partono da qui. La semplicità di Haruf, le amicizie al maschile di Butler, si rifanno a questi campi di grano assolati. A questi poveri diavoli in blue jeans che camminano spalla a spalla, si rovinano e si migliorano la vita, non si tradiscono. George e Lennie sono due figure all'orizzonte che, da sfocate, entrano man mano nel nostro campo visivo. In viaggio, in fuga. Il primo è secco, sveglio, riflessivo. Il secondo, invece, è grosso e tonto: un gigante buono che ignora qualsiasi malizia e accarezza cuccioli fino a stritolarli – le mani pesanti, il cervello minuscolo. Si conoscono da Dio solo sa quanto. Si accampano sotto i sicomori, sulle sponde di un lago limaccioso, e mangiano fave in scatola alla luce di un falò. L'indomani è un altro ranch.

«Per noi è diverso. Noi abbiamo un avvenire. Noi abbiamo qualcuno a cui parlare, a cui importa qualcosa di noi. Non ci tocca di sederci all'osteria e gettar via i nostri soldi, solamente perché non c'è un altro posto dove andare. Ma se quegli altri li mettono in prigione, possono crepare perché a nessuno gliene importa. Noi invece è diverso». Lennie lo interruppe: «Noi invece è diverso! E perché? Perché... perché ci sei tu che pensi a me e ci sono io che penso a te, ecco perché».

I braccianti dividono una stanzetta, l'ossigeno, le speranze. L'apprensione condivisa verso la giovane moglie del padrone – una femme fatale dai vestiti leggeri e dal trucco marcato, che vorrebbe fare l'attrice. Le donne e il gioco d'azzardo sono un pericolo da scongiurare. In Steinbech ci si spezza la schiena. Sullo sfondo, l'America ignorante e povera di spirito della Grande Depressione. Introducono i capitoli rare descrizioni paesaggistiche e il resto son dialoghi e soliloqui d'ispirazione teatrale. Si parla poco, e per lamentarsi perlopiù della paga misera, di trucchetti pratici per sfangarla, di infortuni sul posto di lavoro che sbarrano il cammino. Si spara ai cani per proteggerli dall'inoperosità della vecchiaia. Il classico di Steinbech, essenziale e laconico com'è, puzza e impreca, non fa cerimonie, ma resta impresso per una delicatezza impensata. E, come Lennie, per una forza animalesca di cui non si accorge quasi. Ti strugge, anche se tutto è un presagio della fine e pagine passeggere vorrebbero invano impedire l'attaccamento ai personaggi. Intenerisce, anche se preferirebbe la tua indignazione. Cosa scontata ma tant'è, Uomini e topi è una lettura bellissima. Pur con una traduzione a tratti compassata, non me ne voglia la memoria del nostro Cesare Pavese, e i tempi che cambiano. I protagonisti sono l'eccezione alla regola dei solitari. Il loro rapporto, impari solo in apparenza, li completa. George spiega all'altro cos'è bene e cos'è male male (e spesso e volentieri perde la pazienza). Quanto sarebbero facile le cose senza di lui? Lennie gli insegna l'immaginazione, amica stretta della speranza, e la tenerezza (e spesso, mortificato, minaccia di andarsene). Quanto sarebbe vuota, però, la vita? E solitari i viaggi a piedi, e scarse le speranze, e mal riposti i guadagni? I colleghi della coppia, altrettanto male in arnese, aguzzano le orecchie sentendo certi discorsi. Quell'inutile desiderio di ricominciare, infatti, li tenta ancora – soprattutto l'acciaccato Candy e Crooks, isolato dagli altri perché nero.

Ho veduto centinaia di tipi arrivare per la strada e per i ranches, coi fardelli sulla schiena e la stessa idea piantata in testa. Centinaia. Arrivano, si licenziano e se ne vanno, e tutti fino all'ultimo hanno il pezzetto di terra nella testaccia. E mai uno di loro che ci arrivi. È come il paradiso. Tutti quanti vogliono il pezzetto di terra. Qui io leggo molti libri. Nessuno trova il paradiso e nessuno trova il pezzetto di terra. È solamente nella testa.

Gli uomini e i topi condividono una favola dopo dodici ore spese nei campi. I piani mandati amaramente a monte. Fantasticano su una terra promessa, al bando l'indiscrezione dei curiosi. Un fazzoletto di terra, il calore di una stufa, ferie quando vogliono: conigli e carezze in quantità, su un pavimento di erbetta alfalfa. Con l'indomani che è un altro ranch, sì, e lo stesso sogno impossibile prima di coricarsi.
Il mio voto: ★★★★★
Il mio consiglio musicale: Bob Dylan – Blowin' in the Wind