Lui
ama lei. E lei non può fare altrettanto; non fino in fondo. Un terzo
d'amore è sufficiente? Se hai diciassette anni e (500)
giorni insieme, a occhio, è il tuo film preferito, non c'è
niente di più struggente.
9. Non
ti faccio niente | Paola Barbato
Un'avventura
implacabile e delicata, dalle sfumature kinghiane, su una squadra di
sconosciuti male in arnese, ai ferri corti con la malinconia, che si
aggregano per giocare ai detective. Cos'hanno da perdere? Da
guadagnare, quattrocento pagine in cui ci si scopre più forti
insieme.
8. Open | Andre Agassi
Che
storia, che partita, che vita.
7. It | Stephen King
Farò
ritorno a Derry tra ventisette anni. Quando tornerà l'asma, la
balbuzie sfiderà qualsiasi consulto dei logopedisti e le cicatrici
dei giuramenti di sangue, scavate sui palmi delle mani col coccio di
una vecchia bottiglia di Coca-Cola, sanguineranno nei giorni dei
pranzi andati di traverso e dei ritorni a casa. E sarà come vivere
per sempre. Laggiù, dove eppure si va per morire.
6. Le
otto montagne | Paolo Cognetti
Un
romanzo intensissimo, commovente, dove gli stati d'animo seguono i
bollettini metereologici e i bambini vengono al mondo in ottobre, ché
l'amore si fa quando i campi riposano. Ti scalda in questo inverno
che non ha pietà. E lo sa la testa, e lo sa la pancia.
5. Le
nostre anime di notte | Kent Haruf
I
protagonisti di Haruf non si spengono. Professano una vecchiaia che
non è sinonimo di tristezza. E che la solitudine, a volte, può
essere riempita fino all'orlo. Inseguendo il tempo, Dio e l'altro.
4. Il
cuore degli uomini | Nickolas Butler
Butler
fa nodi da marinaio – a lungo, mi legherà con quelli ai suoi
meravigliosi personaggi - e improvvisate voce e chitarra. Conosce i
segreti per leggere le stelle superstiti, e se ne fa custode. Spazza
la cenere. Fino all'alba, ancora, giura che terrà acceso il fuoco.
3. Bellissimo | Massimo Cuomo
Un
inseguirsi senza tregua e forse senza raggiungersi. Su una fuga lunga
una vita. Su un amore che è saziarsi. Su quegli abbracci da cui ci
si ritrae d'istinto, per disabitudine o paura di un altro pugno in
faccia, che portano a casa.
2. Uomini
e topi | John Steinbeck
Gli
uomini e i topi condividono una favola dopo dodici ore spese nei
campi. Fantasticano su una terra promessa, al bando l'indiscrezione
dei curiosi. Con l'indomani che è un altro ranch, sì, e lo
stesso sogno impossibile prima di coricarsi.
1. Stoner | John Williams
Quanto
è abusata l'espressione: è uno dei romanzi della mia vita.
Maquesto lo è davvero. Di
quella vita noiosissima e bellissima che non ho mica chiesto io, ma
tant'è. Che non farà la rivoluzione, mi ha detto una persona,
ma la differenza per qualcuno. Stoner sono io, sì, e in fondo anche
tu.
Sinossi:
Pensato
per un pubblico - i braccianti della California - che non sapeva né
leggere né scrivere, "Uomini e topi" (1937) è un breve
romanzo, ricco di dialoghi, che, nelle intenzioni di Steinbeck,
avrebbe dovuto essere in seguito adattato, come difatti avvenne, per
il teatro e per il cinema. Protagonisti, due lavoratori stagionali,
George Milton, e l'inseparabile Lennie Little, un gigante con il
cuore e la mente di un bambino, che il destino e la malizia degli
uomini sospingono verso una fine straziante. Il ritratto di
un'America stretta dalla sua peggiore crisi economica nella
drammatica rappresentazione di un maestro.
La recensione
Mi
faccio impressionare da quei libri di cui mi si dice: va letto, almeno
una volta nella vita. Su Uomini e topi è stato detto questo e
altro ancora. Lo citano romanzi e telefilm sacri e profani; lo
consigliano indiscriminatamente gli appassionati di lunga data e i
lettori della domenica; lo mettono in scena il laboratorio di teatro
del liceo statale, il cinema d'autore, le leggende di Broadway –
per assistere all'ultima riduzione teatrale con James Franco e Chris
O'Down darei un rene e qualsiasi cosa resti del cuore. Sono state
spese tante, tante parole per un libricino che supera a stento le
cento pagine. Cos'altro aggiungere, ci si domanda, alla fine di una
lettura che strema? Per fortuna non passa mai per la mente un altro
dubbio: perché comprarlo e leggerlo, a ottant'anni dalla sua
pubblicazione? Scopro la grandezza di John Steinbeck un giorno di
metà giugno, su una sedia di plastica in balcone. Torno a
sperimentare la reverenza motivata (ma in questo caso ingannevole)
per un titolo molto più grande di me e la poesia di queste parabole
americane che, da qualche anno a questa parte, ho imparato ad amare
profondamente. Le mie storie di campagna preferite, amate perché
raccontate a bassa voce, partono da qui. La semplicità di Haruf, le
amicizie al maschile di Butler, si rifanno a questi campi di grano
assolati. A questi poveri diavoli in blue jeans che camminano spalla a
spalla, si rovinano e si migliorano la vita, non si tradiscono.
George e Lennie sono due figure all'orizzonte che, da sfocate,
entrano man mano nel nostro campo visivo. In viaggio, in fuga. Il
primo è secco, sveglio, riflessivo. Il secondo, invece, è grosso e tonto: un
gigante buono che ignora qualsiasi malizia e accarezza cuccioli fino a
stritolarli – le mani pesanti, il cervello minuscolo. Si conoscono
da Dio solo sa quanto. Si accampano sotto i sicomori, sulle sponde di
un lago limaccioso, e mangiano fave in scatola alla luce di un falò.
L'indomani è un altro ranch.
«Per
noi è diverso. Noi abbiamo un avvenire. Noi abbiamo qualcuno a cui
parlare, a cui importa qualcosa di noi. Non ci tocca di sederci
all'osteria e gettar via i nostri soldi, solamente perché non c'è
un altro posto dove andare. Ma se quegli altri li mettono in
prigione, possono crepare perché a nessuno gliene importa. Noi
invece è diverso». Lennie lo interruppe: «Noi invece è
diverso! E perché? Perché... perché ci sei tu che pensi a me e ci
sono io che penso a te, ecco perché».
I
braccianti dividono una stanzetta, l'ossigeno, le speranze.
L'apprensione condivisa verso la giovane moglie del padrone – una
femme fatale dai vestiti leggeri e dal trucco marcato, che
vorrebbe fare l'attrice. Le donne e il gioco d'azzardo sono un
pericolo da scongiurare. In Steinbech ci si spezza la schiena. Sullo
sfondo, l'America ignorante e povera di spirito della Grande
Depressione. Introducono i capitoli rare descrizioni paesaggistiche e
il resto son dialoghi e soliloqui d'ispirazione teatrale. Si parla
poco, e per lamentarsi perlopiù della paga misera, di trucchetti pratici per sfangarla, di infortuni sul posto di lavoro che sbarrano il cammino. Si
spara ai cani per proteggerli dall'inoperosità della vecchiaia. Il
classico di Steinbech, essenziale e
laconico com'è, puzza e impreca, non fa cerimonie, ma resta impresso
per una delicatezza impensata. E, come Lennie, per una forza
animalesca di cui non si accorge quasi. Ti strugge, anche se tutto è
un presagio della fine e pagine passeggere vorrebbero invano impedire
l'attaccamento ai personaggi. Intenerisce, anche se preferirebbe la tua indignazione. Cosa scontata ma tant'è, Uomini e topi
è una lettura bellissima. Pur con una traduzione a tratti
compassata, non me ne voglia la memoria del nostro Cesare Pavese, e i tempi
che cambiano. I protagonisti sono l'eccezione alla regola
dei solitari. Il loro rapporto, impari solo in apparenza, li
completa. George spiega all'altro cos'è bene e cos'è male male (e spesso
e volentieri perde la pazienza). Quanto sarebbero facile le cose senza
di lui? Lennie gli insegna l'immaginazione, amica stretta della
speranza, e la tenerezza (e spesso, mortificato, minaccia di
andarsene). Quanto sarebbe vuota, però, la vita? E solitari i viaggi a
piedi, e scarse le speranze, e mal riposti i guadagni? I colleghi
della coppia, altrettanto male in arnese, aguzzano le
orecchie sentendo certi discorsi. Quell'inutile desiderio di
ricominciare, infatti, li tenta ancora – soprattutto l'acciaccato
Candy e Crooks, isolato dagli altri perché nero.
Ho
veduto centinaia di tipi arrivare per la strada e per i ranches, coi
fardelli sulla schiena e la stessa idea piantata in testa. Centinaia.
Arrivano, si licenziano e se ne vanno, e tutti fino all'ultimo hanno
il pezzetto di terra nella testaccia. E mai uno di loro che ci
arrivi. È come il paradiso. Tutti quanti vogliono il pezzetto di
terra. Qui io leggo molti libri. Nessuno trova il paradiso e nessuno
trova il pezzetto di terra. È solamente nella testa.
Gli
uomini e i topi condividono una favola dopo dodici ore spese nei campi. I
piani mandati amaramente a monte. Fantasticano su una terra promessa, al bando l'indiscrezione dei curiosi. Un fazzoletto di terra, il calore di una
stufa, ferie quando vogliono: conigli e carezze in quantità, su un pavimento di erbetta alfalfa. Con
l'indomani che è un altro ranch, sì, e lo stesso sogno impossibile prima di
coricarsi.
Il
mio voto: ★★★★★
Il
mio consiglio musicale: Bob Dylan – Blowin' in the Wind