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giovedì 25 gennaio 2024

And the Award goes to: Anatomia di una caduta | The Holdovers | Saltburn | Maestro

In uno chalet una famiglia cerca pace. Lui è un professore, frustrato per i tentativi di cimentarsi con la scrittura. Lei, fresca di un'appassionata intervista, è un'autrice internazionale. E poi c'è il loro bambino, cieco dopo un incidente. Il marito muore. La moglie è la principale indiziata. Il figlio, l'unico testimone. Vincitore della Palma d'Oro e destinato a farsi strada fino agli Oscar, il film di Justine Triet è un'analisi del caos di una coppia contemporanea, in cui i ruoli di genere si sono invertiti e l'uomo, vittimista, si lecca le ferite all'ombra di una donna castrante nella sua intraprendenza. La tedesca Sandra Huller si difende ora in inglese, ora in francese, e regala la performance dell'anno in un thriller giudiziario in cui si parla di letteratura, sessualità, relazioni tossiche. La visione in lingua originale è imprescindibile: i passaggi da una lingua all'altra pongono la protagonista in una posizione scomodissima e rendono la verità ancora più sdrucciolevole, poiché indefinibile a parole. Mentre quel figlio dagli occhi vitrei non si perde un solo dettaglio, ossessionato perfino dalle rivelazioni più morbose, il processo a Sandra incalza. Qualsiasi sarà l'esito, non ci saranno né vincitori né vinti. È la caduta di un corpo di ottanta chili, che sul tavolo autoptico semina indizi contraddittori. È la caduta di due dei, che lasciano l'Olimpo vuoto e un figlio privato delle sua innocenza. Sono stato quel figlio anch'io. Sono passati otto anni dalla fine della mia famiglia. E, instancabile, cerco ancora un senso, un alibi, una prova, per raccontarmi la fine dell'amore da cui sono nato. (9)

Lui è un professore burbero e inflessibile. Lei è una cuoca in lutto per il figlio morto in Vietnam. L'altro è uno studente brillante ma poco zelante, a cui la madre fresca di divorzio preferisce il nuovo compagno. Loro, destinati a farsi compagnia in un college del Vermont svuotatosi per le festività, sono i protagonisti di una commedia fuori dal tempo, al di sopra del tempo, che si muove con la grazia e la gentilezza dei grandi classici del genere. Da insegnante di adolescenti della stessa età del protagonista, da spatriato con una famiglia lontana e sparsa, non ho potuto che accogliere con riconoscenza e riconoscimento l'ultimo film di Alexander Payne, qui ispiratissimo e pronto a sorprenderci anche ai prossimi Oscar. Dopo i fasti di Nebraska, questa volta non confeziona soltanto un semplice romanzo di formazione dall'impeccabile estetica anni Settanta, ma un antidoto contro la solitudine in cui un Paul Giamatti dalle imprecazioni indimenticabili dà all'esordiente Dominic Sessa lezioni di galanteria e ribellione; con loro una Da'Vine Joy Randolph in modalità Octavia Spencer. Di buoni sentimenti ma mai buonista, The Holdovers ci ricorda la differenza preziosa tra cultura e pedanteria, tra nozionismo ed educazione e, soprattutto, la natura crudele del Natale: una festa che taglia fuori i solitari e gli ammalati di malinconia. Come me. Come loro. (8)

C'è del genio nel fare uscire sotto Natale un film in cui sono presenti: fluidi corporei, masturbazione, necrofilia, nudismo, omicidi plurimi. Tutto in famiglia. Ma c'è poco altro di geniale nel ritorno di Emerald Fennell: un thriller lontano dall'incendiario mix di generi che fu invece il Premio Oscar Promising Young Woman, in cui tutto scorre in maniera prevedibile e altamente instagrammabile. Ma, cosa in fondo apprezzabile, sfrenatissima. La regista inglese, promettente come la protagonista eponima del suo esordio, ha carta bianca e un'asticella sempre più alta. Se il suo gusto stilistico è già ineccepibile, se l'umorismo è di quelli neri e british notoriamente collaudati, ci si aspettava molto di più da una sceneggiatura che saccheggia un po' le macchinazioni di Il talento di Mr. Ripley e un po' la satira contro i bianchi privilegiati di The White Lotus. Le scene piccanti sono già cult, compreso quel finale a passo di danza sulle note di un tormentone pop in cui il magnetico Barry Keoghan può finalmente scatenarsi e gettare la maschera. Chi è realmente? Un ragno o una falena? Attratto dal luccichio del bellissimo Jacob Elordi, il cui sudore qui luccica e ammicca più del sole vivo, brucerà. E, nel suo volo convulso, farà fuoco e fiamme in un film appetitoso ma senz'altro meno incendiario delle attese. (7)

Era nata una stella, in un musical di qualche anno fa. Non quella di Lady Gaga, ma di Bradley Cooper: un attore versatile e, soprattutto, un regista con una visione già autoriale. Cito non a caso Scorsese, Eastwood, Spielberg: insomma, i migliori esponenti del cinema classico hollwoodiano. Ancora una volta c'entra la musica, ancora una volta c'entra un'icona: Leonard Bernstein, il primo grande direttore d'orchestra americano, raccontato nel pubblico (poco) e nel privato (troppo) attraverso la forma consolidata dei biopic assai cari all'Academy. Cooper mette sudore, sangue e naso prostetico in un'interpretazione fortemente mimetica, ben attenta agli sbalzi d'umore e ai manierismi. Ma sono la grazia e la semplicità di Carey Mulligan a rubate le nostre lacrime, regalando cuore a un film che ne sarebbe altrimenti sprovvisto. Colpa di una scrittura frammentaria, fatta di episodi giustapposti. Colpa di una componente musicale che, strano ma vero, latita. Tutti sono in stato di grazia, tutto è all'apice dell'eleganza, ma la visione non coinvolge mai fino in fondo, se non non nelle poche scene in cui il trito chiacchiericcio cessa e la musica, troppo sacrificata, prende il sopravvento per esplodere lungo le navate delle chiese; nelle coreografie iniziali in cui i protagonisti, ancora innamorati e inconsapevoli, si mescolano ai danzatori. In questo Maestro, per il resto, purtroppo, non c'è l'estate a cantare. (5)

martedì 16 gennaio 2024

Recensione: L'età fragile, di Donatella Di Pietrantonio

| L'età fragile, di Donatella Di Pietrantonio. Einaudi, € 18, pp. 192 |

Lucia, la protagonista dell'ultimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio, è una fisioterapista con l'hobby del canto corale. Rimpiange di non sapere suonare altro strumento all'infuori della sua voce. Inaffidabile, cambia in preda all'emozione; a differenza del suono di un violino o di un pianoforte, è incostante e volubile, destinata a incrinarsi. Ho pensato che la voce di Di Pietrantonio, invece, è la cosa più bella che possiede. Bastano poche parole per riconoscerla, poche pagine per avvertire una specie di nodo in gola. Profondamente e naturalmente emozionante, piace quando senza fronzoli. Sarà per questo che L'età fragile, toccante ma troppo costruito, mi è piaciuto soprattutto nella prima parte: quando l'autrice dice i non detti tra una madre e una figlia, accennando di sfuggita a una componente gialla che, purtroppo, poi diventerà preponderante.

La vita segreta dei figli. Sappiamo che esiste, ma no siamo mai pronti a toccarla. Restano per sempre angeli senza sesso nel chiuso delle nostre teste. Indifferenziati, mai del tutto partoriti.

Ambientato in Abruzzo, segue due linee temporali. Nella prima, in periodo Covid, Lucia torna a vivere con sua figlia Amanda: studentessa universitaria sfuggente e ostile, che, barricata nella sua cameretta, vive alla stregua di un hikikimori. Dove affondano le radici della sua depressione? Nella seconda, collocabile nei primi anni Novanta, la protagonista ricorda l'amicizia con Doralice: coetanea fuggita in Canada e sopravvissuta a una tragedia di cui i cronisti di nera avevano ampiamente scritto. Materna ed evocativa come soltanto lei sa essere, Donatella riporta due storie di fragilità giovanile e cerca forzatamente il filo conduttore. Erede di un terreno a Dente di Lupo, località spettrale ormai scomparsa dalle guide turistiche, la protagonista si scopre divisa fra montanari e speculatori. Cedere o tenere? I luoghi hanno forse colpe da scontare?

Portavamo ancora sulle braccia i segni dei rovi. Volevamo soltanto essere giovani.

Tutt'altro che mitizzata, ora bella e ora crudele, la natura di Di Pietrantonio somiglia a coloro che la popolano. Selvatici e isolati, chiusi allo straniero e un po' rozzi con le donne, hanno cercato i responsabili del delitto di Morrone (paragonato spesso al Massacro del Circeo) con i fucili da caccia e le torce puntate. Il tribunale ha portato la giustizia, non il perdono. In fondo non sa perdonarsi neanche Lucia, responsabile di un'amicizia perduta e ora di una figlia di cui ha sottovalutato i dolori provati nella più tentacolare Milano. Le uniranno la consapevolezza di essere parimenti fragili, una terra vergine, un sentiero che c'è già ma va soltanto rintracciato. Un po' Taylor Sheridan, un po' Ken Loach, l'autrice mette troppa carne al fuoco e, fuori dalla sua comfort zone, non appare a proprio agio con la suspense. Avrei preferito che, anche a costo di ripetersi, si fosse limitata a essere la solita affidabile Di Pietrantonio. La voce a nudo.

Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale: Elisa - Anche fragile