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sabato 31 agosto 2013

Recensione a basso costo: La diciassettesima luna, di Kami Garcia e Margaret Stohl

Cari amici, nel tristissimo giorno in cui un po' tutti diciamo addio all'estate, vi lascio la recensione SPOILER FREE di un romanzo che mi ha letteralmente portato lontano. Ma forse non faccio testo, perché la verità è che ho amato anche il film, quando tutti quanti lo criticavano. Quando si parla della di The Caster Chronicles io divento un fanboy adorante con scarsa, scarsissima lucidità. Leggetelo, leggetelo, leggetelo! Un abbraccio, M.
Nella Luce ci sono le Tenebre. Nelle Tenebre c'è la Luce.
Titolo: La diciassettesima luna
Autrici: Kami Gargia & Margaret Stohl
Editore: Mondadori – Oscar Bestsellers
Numero di pagine: 491
Prezzo: € 10,50
Sinossi: Credevo che il nostro paesino, sepolto nella boscaglia della Carolina del Sud, fosse il centro del nulla. Un luogo dove non succedeva mai niente e in cui niente sarebbe mai cambiato. Poi mi innamorai di una Maga. Lei mi fece scoprire un altro mondo fra le crepe dei nostri marciapiedi sconnessi. Un mondo che era lì da sempre, nascosto in bellavista. La Gatlin di Lena era un luogo in cui le cose succedevano, eccome, cose impossibili, sovrannaturali, che cambiavano la vita. Che le ponevano anche fine, a volte. Fino a qualche mese prima, pensavo che nulla sarebbe mai cambiato. Ora che ne sapevo di più, avrei tanto voluto che fosse stato così. Perché a partire dall'istante in cui mi ero innamorato di una Maga, nessuna delle persone a cui volevo bene sarebbe più stata al sicuro. Lena credeva di essere l'unica a essere maledetta, ma si sbagliava. Adesso la sua era diventata, la nostra maledizione.
                                                     La recensione
Vedevo le luci delle tazzine rotanti che volteggiavano, sfrecciavano e mi facevano girare la testa. Era come mi sentivo quando mi perdevo negli occhi di Lena. A volte, l'amore ti fa sentire così e, a tuo modo, trovi una tregua, quando in realtà non la vorresti. A volte è la tregua che trova te. Prima di incontrarsi, Ethan e Lena contavano i giorni. Lui – con una scatola piena di opuscoli universitari sotto il letto e con i moniti di una mamma volata via – non vedeva l'ora di andarsene da quell'asfissiante barattolo di vetro, pieno di casette tutte uguali e di superstizioni antichissime, su cui batteva sempre un sole prepotente, in grado di inaridire l'erba nelle paludi e di assopire ogni istinto di fuga giovanile. Lei – con un curioso tatuaggio sulla mano e pensieri tempestosi da tenere buoni – si disegnava sui palmi conti alla rovescia, come per controllare costantemente i giorni, le ore, i minuti e i secondi che la separavano dalle verità che i suoi sedici anni le avrebbero portato. Rincorrere il tempo li rendeva schiavi, ossessionati. Ethan voleva raggiungere a rapide falcate il domani, Lena lo riteneva solo più rischioso del confortante e sicuro oggi. Quella conta spasmodica ha perso importanza nel momento esatto in cui si sono conosciuti, e nulla è più stato come prima. Ethan si è innamorato di una Maga. Hanno vinto una battaglia combattuta contro il male, sono sopravvissuti a persone a cui volevano entrambi bene e, dopo tante prove superate insieme, vorrebbero vivere la loro estate come due normali adolescenti. Alla ricerca del tempo perduto e di acqua pura in cui immergere le loro mani sempre strette, ma macchiate della terra umida di lacrime del cimitero Pace perpetua e della cenere piovuta, a fiocchi grigi e ardenti, su Greenbrier. Quel che è fatto è fatto, non si può tornare indietro. Certi sacrifici sono necessari, ma i sensi di colpa non vogliono saperne di abbandonarli. I sensi di colpa e l'oscurità, che mette radici intorno ai loro cuori solitari. Per una volta avrei voluto cominciare così, in maniera dolcemente brutale. Senza chiose, senza preamboli, senza introduzioni. Come non sono abituato a fare, come non mi piace fare. Ma dovevo dirlo, perciò lo dico adesso: io adoro questa saga. E' ufficiale e, sempre ufficialmente, sono innamorato dei suoi protagonisti e delle sue stravaganti e magnifiche autrici. 
Il caso è chiuso. Quindi, quello che seguirà viene semplicemente da sé: aprire La diciassettesima luna, appena qualche mese dopo aver concluso il primo volume, è stato soprannaturale. Nel corso della lettura del romanzo d'esordio di Kami Gargia e Margaret Stohl, si era creato un legame solidissimo tra me e quella storia vecchio stile di amori proibiti, incantesimi e atmosfere gotiche e, nonostante anch'io dubitassi della sua durevolezza, qualche giorno fa, mi sono reso conto che leggere euforicamente i ringraziamenti e chiudere l'ultima pagina di quel primo romanzo, con un piccolo tonfo familiare, non aveva spezzato in due il filo dei ricordi. Con il legame ancora intatto, aspettavo un passaggio per tornare da loro, amici che vorrei esistessero anche nel mio mondo. Come in Il mago di Oz, alla mia porta ha bussato un tornado di dimensioni cosmiche. E io, con la mia poltrona e i miei calzini spaiati, risucchiato dalla tempesta, sono ritornato nella città in cui, persa ogni speranza per la mia lettera di Hogwarts, passerei volentieri le vacanze; macabro, ma soprattutto quelle del due novembre. Gatlin, Carolina del Sud. La città da cui tutti vorrebbero fuggire e in cui io volevo tornare ancora: lapidi tutte storte, cimiteri vegliati da silenziosi angeli di pietra, alberi frondosi, tradizioni irrinunciabili, rosmarini, limoni. E, ancora, parchi giochi e gare di torte, il mese di giugno per festeggiare il Giorno dei Morti con indosso i vestiti “buoni” della domenica e le tombe piene di doni, i deliziosi dolci che Amma sforna per addolcire le più amare rivelazioni, la biblioteca mai chiusa per ferie gestita dall'adorabile Marian, il destino condiviso con le persone a cui vuoi un bene dell'anima. 
L'ho vista anche al cinema, Gatlin, e l'ho rivista adesso, in un'estate che, anziché portare il sole nella vita di Ethan e Lena, ha portato nuove, dense ombre... e una nuova luna. Il libro ha inizio dove si era concluso il precedente: nel pianto, con un nuovo funerale, con due vecchi innamorati finalmente vicini, seppellitti l'uno accanto all'altra, all'ombra della stessa pianta di limoni gialli. Forse è scritto nel manuale, lontano dagli occhi di noi poveri mortali, del perfetto young adult, perché, come Bella e Edward in New Moon, come Lena e Alex in Chaos, come Cassia e Ky in Matched, anche Lena e Ethan si scoprono più lontani ad ogni pagina. Le coppie sposate vivono la crisi del settimo anno, i personaggi di fantasia quella – meno nota, ma altrettanto dolorosa – del secondo romanzo. Io, che sono stato nella stessa stanza con loro, anche se non la sapevano, che ho visto la ragazza dei miei sogni e dei miei incubi innamorarsi di un ragazzo che mi somiglia in maniera impressionante, soffrivo un po' insieme a loro. Anche la sofferenza, però, è stata bella come tutto il resto. Quando si tratta di loro trovo tutto estremamente bello. Non so perché; accade e basta. Già nel precedente, che eppure iniziava come un urban fantasy come gli altri, solo con oceani di descrizioni e salti temporali che molti non riuscivano a mandare giù con leggerezza, ero stregato, ammaliato dal canto di una sirena bella e tentatrice come la capricciosa Ridley. Cotto perso. 
In questa seconda visita presso la magione spettrale della famiglia Duchanness, la meraviglia si è riproposta, quasi non avessi toccato libro nell'intervallo tra La sedicesima e La diciassettesima luna. Rispetto al primo, questo seguito ha un'identità decisamente più sua. Tratti più marcati e più carattere. Ammicca al fantasy tradizionale, ha colpi di scena e scene d'azione, con personaggi, eroi per un giorno, che sfidano l'affascinante oscurità dei tunnel sotto la pianta della loro cittadina armati di stupidità, coraggio e poco più. Nerd privi di mezzi, ma pieni del sostegno mio e di altri lettori incantanti quanto me, che spiavano le loro mosse tra pagine profumate di cupcakes, spezie e magia. Anche senza azione, anche se si fosse trattato di adolescenti come gli altri, il mio cuore avrebbe preso a battere più forte e le mie labbra ad aprirsi in un sorriso di riconoscimento in loro presenza, vicini a me come gli amici di sempre. Non serve alzare la cornetta, ma aprire la pagina, affinché siano in un attimo da da me, a salvarmi dalla noia e da mostri di quel genere. Lena, meno presente, ma fantastica con il suo odore ormai familiare, i suoi occhi bicolore, la sua furia che fa esplodere i temporali, le sue Converse a pezzi, la sua collana di cianfrusaglie preziose, le sue foto che ritraggono solo tombe, la sua stanza piena di scritte e poesie - in cui lei, stesa sul soffitto scorticato, guarda il parquet e il letto su cui dorme Ethan; Ridley, uno svolazzare di ciocche rosa e bionde che, con un innocente lecca-lecca, può ucciderti facendoti sorridere, nel frattempo, come un ebete innamorato; Amma, Marian e le zie: mine vaganti con le calze contenitive, il pallino per gli incantesimi e i gatti e l'aiuto dell'aldilà; l'indimenticabile Macon e la sibillina Lila che – come Piton e la sua Lily Potter –, a volte, ritornano. Harry aveva Ron, Ethan ha il simpaticissimo Link: un adorabile idiota di proporzioni cosmiche di cui è il migliore amico dalle elementari, quando, sul pullman verso casa, avevano diviso una barretta di Twix. Per strada, troveranno anche la loro personale Hermione, Olivia: capelli biondi, accento british, odore di thè inglese e libri antichi, l'ossessione per l'astronomia. Furtivo e silenziosa, ai loro piedi, li precede il gatto Lucille, magica amica dagli artigli lunghi del fedele Boo Radley. Firmano il tutto Kami Garcia e Margaret Stohl: mie zie insieme a una signora che si chiama J.K Rowling e, sospetto, due delle spose di Dracula... o di Tim Burton. Loro iniziano a raccontare e io inizio a fare sogni più belli. Credo sia amore. Sì. Se n'erano andate, sia la voce che la ragazza. Come una bolla di sapone, lo zucchero filato o l'ultima scheggia di un sogno.
Il mio voto: ★★★★★
Il mio consiglio musicale: Florence + The Machine – Cosmic Love 

mercoledì 28 agosto 2013

Mr Ciak #17: Come ti spaccio la famiglia, Una canzone per Marion, Rubinrot

E poi vedi questo film e hai la sensazione di piangere, soffocare, smettere di respirare del tutto. La causa, una sola: le troppe risate. Dai produttori del sopravvalutatissimo Come ammazzare il capo e vivere felici, arriva Come ti spaccio la famiglia, bruttissimo titolo italiano – ma come li scelgono? - dell'inglese We're The Millers. Una commedia scorrettissima, divertentissima, ganzissima, sballatissima... insomma, un sacco issima. Un film on the road su un'improbabile famiglia felice che, nel suo allegro e spazioso camper, trasporta l'equivalente di una dozzina di piantagioni di cannabis provenienti dall'afoso e pericoloso Messico. Sono certe gite fuori porto a rendere le famiglie più unite, giusto? E che famiglia è quella dei Millers: la mamma è una spogliarellista a tempo pieno, il padre è un piccolo pusher, il figlio è un verginello ingenuo ed innocente, la figlia è una mina vagante con la passione per i pearcing, i tatuaggi e i cattivi ragazzi. Sono una famiglia, ma solo per un giorno: per finta. Ma quando un poliziotto messicano “che ama la compagnia di altri uomini” ti chiede un po' di compagnia per lasciarti passare, quando una tarantola ti inietta il suo veleno nelle parti basse, quando due coniugi di mezza età ti propongono un pepato e promiscuo scambio di coppia, quando la ragazza dei tuoi sogni ti vede baciare per esperimento la tua finta madre e la tua finta sorella e quando ti inseguono un paio di energumeni armatissimi... be', allora è il delirio più totale. Un delirio all'ultimo attacco di risa. Come ti spaccio la famiglia è un intrattenimento assurdamente esilarante: una commedia ottima che, pur non proponendo nulla di originale, tra gag e volgarità sempre efficaci, rischia di far crollare un cinema scosso da risate di massa forti come onde sismiche. Non c'è un solo attimo di tregua tra una disavventura e l'altra, fatta eccezione per la brevissima parentesi romantica finale. La chiave sta nella brillante e semplice sceneggiatura e, soprattutto, nel cast. Teneri, simpatici, affiatati, grandi: idoli! Il Jason Sudeikis di Libera uscita e Candidato a sorpresa, quella sagoma di Will Poulter, la fresca e frizzante Emma Roberts e la regina della commedia americana, Jennifer Aniston. Quarant'anni e oltre e non sentirli: i suoi film appartengono un po' tutti allo stesso genere, vero, ma come fa ridere lei con la sua mimica e le sue movenze riescono in pochi. E' diverte, è sexy mentre si esibisce in uno spogliarello che farà incetta di visualizzazioni sul web ed è incredibilmente autoironica mentre – nelle scene tagliate – ridacchia ascoltando la sigla del suo Friends. Una commedia diversa, su una famiglia diversa. Ottima per una serata al cinema, in compagnia di amici scemi e grasse risate.

Colpevole. Una canzone per Marion è stato il secondo film dopo The Impossible, in questo 2013, ad avermi fatto piangere per davvero. Perciò, lo dichiaro colpevole. E' il genere di film con cui i critici non vanno troppo d'accordo, ma, dall'inizio alla fine, mi sono sciolto come un ghiacciolo alla fragola al sole. E no, non era la tristezza a farmi questo effetto, ma la tenerezza che i protagonisti del film diffondevano intorno a loro: ad ogni respiro, ad ogni bacio, ad ogni piccolissima nota. La commedia drammatica diretta da Paul Andrew Williams – regista del dissacrante horror The Cottage – spicca per una leggerezza e una delicatezza totalmente inaspettate, disarmanti nella loro autentica sincerità. E' adorabilmente e spiccatamente british in tutto, dalle meravigliose ambientazioni al cast, ma non sa trattenersi davanti all'amore straziante dei due protagonisti, Marion e Arthur. Non un amore proibito, non un amore lampo, ma un sentimento che – tra alti e bassi – è maturato in cinquant'anni e oltre di matrimonio. Un amore coniugale, pieno di rughe e acciacchi; un amore della terza età. Lei, Marion, vive per la musica; lui, Arthur, vive per Marion. E' un vecchietto brontolone e coriaceo, con le pareti del cuore spesse come rocce e un figlio con cui parla pochissimo, ma per Marion farebbe di tutto e di più. Sua moglie, ormai, è fragile e anziana, non le resta molto da vivere, e, ogni notte, la culla come se quella fosse l'ultima notte da condividere con la sua anima gemella. Alla luce del sole, però, davanti a tutti, è cinico e sarcastico e sembra divertirsi un mondo nel prendere in giro gli anziani come lui che, insieme alla sua Marion, si sono uniti per divertimento al coro diretto dalla giovane Elizabeth. Stonati, ma felici, cantano il sesso che non fanno ormai più, l'amore che continuano a sognare, il vigore del rock 'n roll, il loro saldo attaccamento alla vita. Uno strano spettacolo, questo, che emoziona come pochi. Li guardavo e pensavo a loro come a tanti bambini felici: ingenui, puri, candidi. Poi, una mattina, Marion non si sveglia più. E' spirata nel corso della notte. Con molta calma, Arthur chiama suo figlio e prepara il funerale, poi si chiude in una stanza e emette un urlo che mi ha gelato il sangue. Il grido di un animale morente e di un uomo che piange. I membri di questa adorabile coppia di ottantenni sono il rigido Terence Stamp e quell'angelo meraviglioso di Vanessa Redgrave, sempre bellissima e dolce. A dare scintille alle loro vite e a far sì che Arthur, ormai vedovo, esca fuori dall'abisso della depressione, è la direttrice di quel coro di anziani, una solare e simpatica Gemma Arterton, meno appariscente del solito, ma sempre in parte, anche se due giganti come Stamp e la Redgrave le rubano facilmente la scena. Tra le scene più commoventi, quella in cui Marion dedica a suo marito il suo ultimo assolo: canta True Colors (qui) con un'intensità e un'emotività da far venire letteralmente le lacrime agli occhi. Non è intonatissima, ma ha l'amore nella voce e, nemmeno per un attimo, stacca i suoi occhi da quelli del marito. Non mi commuovevo per una canzone dalla I dream a dream cantata da Anne Hathaway in quel capolavoro che è Les Miserables: tutto è stato possibile grazie a una Vanessa Redgrave dai capelli cortissimi e dagli occhi limpidi come il cielo. In quel momento, avrei oltrepassato lo schermo e l'avrei stretta in un abbraccio da orso. Come è commovente la risposta di suo marito, che arriva tardi, quando lei non c'è ormai più e lui ha preso il suo posto in quel coro che odiava tanto: Good night my angel. Per chi ha amato The Quartet, ecco un film semplice e straordinariamente ordinario. Non lascerà traccia di sé, è prevedibile come tante pellicole del genere, ma i produttori di Kleenex e i sentimentaloni amanti della bella musica apprezzeranno. Anche solo per le prove straordinarie di due attori che, quando andranno via, lasceranno un buco incolmabile nel cinema e nel mondo intero. Una canzone per Marion è una cura per il cancro della tristezza. Come l'amore, come la musica.

Bho. Avrò fatto male io. Tutti mi consigliavano la trilogia fantasy firmata da Kerstin Gier, tutti la elogiavano, tutti ne parlavano con grande passionalità e trasporto, quindi, quando ne ho avuto modo, subito mi sono fiondato su Rubinrot, la trasposizione cinematografica del primo romanzo, edito da noi con il titolo di Red. Credetemi, scegliere di vederlo è stato un tormento: io, come la maggior parte dei lettori “provetti”, sono uno di quelli che prima di vedere un film, deve leggere necessariamente e obbligatoriamente il libro. Ma ho tanto da leggere, i soldi scarseggiano e, quindi, ho colto l'occasione al balzo. L'ho visto e, come la maggior parte di quei tanti titoli che da noi non giungeranno mai e poi mai, nella versione coi sottotitoli. Il film, ambientato a Londra, è girato interamente in tedesco, con attori, sceneggiatori e regista – dunque – provenienti da uno Paese lontanissimo dagli sfarzi hollywoodiani o dalla savoir fare britannico. Io non ho alcun pregiudizio verso il cinema europeo – che, anzi, spesso mi ha regalato vere sorprese e piccole perle di film – ma, brutalmente, senza giri di parole, vi dirò che ho trovato questo Rubinrot alquanto bruttino. E, senza conoscere lo sviluppo del romanzo nei dettagli, non ho trovato in 120 minuti di pellicola ciò che mi sarei aspettato: il perché del successo contagioso e straordinario di questa serie. 120 minuti sono tanti per un film del genere, ma, anche se con un ritmo non sempre sostenuto, il tutto scorre piacevolmente, senza grossi intoppi. I giovani protagonisti scelti per interpretare gli amatissimi Gideon e Gwendolyn sono entrambi molto, molto belli e trasmettono freschezza ad ogni scena, con le loro facce nuove e i loro romantici battibecchi, ma il difetto peggiore del film è il suo essere sciatto, senza personalità, arrangiaticcio. Gli effetti speciali sono accettabili, discreti, e le prove di tutto il cast sono decisamente nella media, ma è proprio a livello registico che non c'è gusto, non c'è eleganza o stile. Il tipo alla macchina da presa riprende, ma esattamente come avrei fatto io - senza alcuna esperienza – e non riesce a valorizzare il poco che aveva. Nè la storia, che poteva essere originale (anche se non tanto originale da riempirci tre libri), né il tema dei viaggi nel tempo, non supportato da costumi o scenografie degne di nota. E l'ultima scena, tra l'altro, ricorda preoccupantemente la chiusa del primo Twilight. E' un film atipico, un po' rozzo, che più attirare fan nel mondo, casomai, li respinge. Opinabile la scelta di girarlo in tedesco: viva il patriottismo, ok, ma vedere i personaggi parlare non propriamente la più dolce e musicale delle lingue sullo sfondo del Big Ben, fa uno strano effetto (da vera tamarrata.... o da cortometraggio amatoriale!) e, probabilmente, anche a questo è imputabile la scarsa distribuzione della pellicola, che già di per sé non ha le carte in tavola per essere un successone al botteghino. Magari, con il supporto della bandiera a stelle e strisce, l'idea centrale avrebbe potuto rendere di più; o magari no. Rubinrot rimane un film guardabilissimo, con due bei protagonisti affiatati che saranno la gioia per gli occhi di tanti teenagers, ma del tutto privo di picchi interessanti. Poco incisivo e realizzato in maniera discutibile. Sembra uno di quei film che, nei pomeriggi di noia, del tutto inosservati, passano su Italia Uno o Rai 4. Che sia questo il suo destino? Per me, da noi, non lo vedremo molto presto. E, francamente, non se ne sente nemmeno il bisogno. Fortunatamente, lettori che hanno avuto modo di vedere il film mi rassicurano: la trilogia, a quanto pare, è un'altra cosa.

lunedì 26 agosto 2013

Recensione in anteprima: Il cuore selvatico del ginepro, di Vanessa Roggeri

Ciao a tutti, e buon inizio di settimana. Questa mattina, la recensione in anteprima di un ottimo esordio che potrete trovare in libreria a breve, il 19 Agosto, edito dalla Garzanti. Che dire, io ve lo consiglio! Ringraziando la gentilissima Francesca per avermi dato modo di leggerlo in anticipo, con mia grande gioia e sorpresa, vi saluto e vi auguro una piacevole lettura. M.

Titolo: Il cuore selvatico del ginepro
Autore: Vanessa Roggeri
Editore: Garzanti
Numero di pagine: 210
Prezzo: € 14,90
Data di pubblicazione: 29 Agosto 2013
Sinossi: È notte. Il cielo è nero come inchiostro, e solo a tratti i fulmini illuminano l’orizzonte. È una notte di riti e credenze antiche, in cui la paura ha la forma della superstizione. In questa notte il rumore del tuono è di colpo spezzato da quello di un vagito: è nata una bambina. Ma non è innocente come lo sono tutti i piccoli alla nascita. Perché questa bambina ha una colpa non sua, che la segnerà come un marchio indelebile per tutta la vita. La sua colpa è di essere la settima figlia di sette figlie, e per questo è maledetta. E qui nel suo paese, in Sardegna, c’è un nome preciso per le bambine maledette, si chiamano cogas, che significa streghe. Liberarsene quella stessa notte, senza pensarci più. Così ha deciso la famiglia Zara. Ma qualcuno non ci sta. Lucia, la primogenita, compie il primo atto ribelle dei suoi dieci anni di vita. Scappa fuori di casa, sotto la pioggia battente, per raccogliere quella sorella che non ha ancora un nome. La salva e la riporta a casa, e decide di chiamarla Ianetta. Non c’è alternativa ora, per gli Zara. È sopravvissuta alla notte, devono tenerla. Eppure il suo destino è già scritto. Giorno dopo giorno, stagione dopo stagione, sarà una reietta. Emarginata. Odiata. Da tutti, tranne che da Lucia. È lei l’unica a non averne paura. Lei l’unica a frapporsi tra la cieca superstizione e l’innocenza di Ianetta. Contro tutto e tutti. Lei l’unica a capire chi si nasconde dietro quegli occhi spaventati e selvatici: una bambina in cerca di amore, che farebbe qualsiasi cosa pur di ricevere uno sguardo e una carezza. Solo una bambina, solo una ragazza, con un cuore forte e selvatico come il ginepro. Le sue radici non si possono estinguere così facilmente; la loro fibra è fatta di ferro e se fuori bruciano, dentro il cuore rimane vivo...
                                                  La recensione
Il cuore selvatico del ginepro giunge in libreria in un periodo strano. A fine agosto, mentre ci si aggrappa nostalgici a un'estate spazzata via dalla prima nuvola burrascosa, si ci crogiola pigri alla luce dell'ultimo sole, si ci prepara ad abbracciare settembre e ad accogliere i nuovi inizi che porterà alle nostra porte. Un periodo sospeso, fugace, che porta lontano il chiasso, il caldo, le persone, i bei propositi. Come un Capodanno caduto distante dalle tavole imbandite, dalle tovaglie rosso Natale, dagli abeti con una piccola stella cometa in cima e le palline di vetro soffiato su ogni ramoscello. Ma un vento proveniente da chissà dove, per un giorno o due, mi ha regalato la parvenza di un autunno in anticipo. E leggere il romanzo d'esordio di Vanessa Roggeri, mentre fuori scoppiava un temporale e le cime dei cipressi si inchinavano al Dio del tuono, è stato assolutamente, magicamente perfetto. Le imposte sbatacchiavano, le tende si gonfiavano come guance che soffiavano spiragli di Zefiro, le prime foglie secche scricchiolavano tra i loro rossi cupi e i verdi bruciati, il cielo era un'unica coperta di lana grezza e sporca da qui alla Sardegna. 
Oltre il mare, oltre coste frastagliate e scogli aguzzi, oltre boschi e rovi, il cielo era lo stesso che, gravoso e mesto, nella storia che leggevo, malediceva e benediceva, con scrosci e luci tremule, la nascita dell'ultima delle figlie della famiglia Zara. La settima, l'indesiderata. Tzia Mercede, la levatrice, ha usato ogni mezzo per estirpare quella piccola vita dall'utero dell'angosciata Assunta, ma nessun malefico tentativo è stato più potente della straordinaria voglia di vivere della nuova nascitura. Rosa, urlante, con una lanugine nera sulla testolina perfetta, i dentini bianchi e aguzzi, gli occhioni grandi e scuri, i polmoni forti e una vitalità gridata al mondo, fuori, con un pianto di bimbo che è un ruggito. Come ogni neonato, è un miracolo di carne, ossa e sangue; la vita che si è incarnata ancora. Per la sua famiglia, tuttavia, è una sciagura annunciata. Una maledizione. Gli uomini imprecano, le donne si fanno il segno della croce e si vestono come a lutto, le bambine dei coniugi Zara interrogano le domestiche sul trambusto che quella fredda notte di Ogni Santi del 1880 ha portato con sé, e tutti, a labbra tremanti, bisbigliano una parola, antica e inquietante come lo sono le leggende di quel paese di genti tenaci e superstiziose: coga; strega. La neonata non è la benvenuta in quella casa in cui giocano già cinque bambine e a cui un inverno da lupi ne ha già strappata una, quando era solo un fagotto da cullare. Sette è male. La piccola senza nome è male. Per tutti, tranne che per la coraggiosa Lucia, la più graziosa e assennata delle sorelle Zara, la primogenita. La salva, le dà calore, sceglie per lei il nome di Ianetta. Dove gli altri vedono un mostro succhiasangue, un pericolo, Lucia vede solo una bimba sfortunata che ha bisogno di essere amata, come tutti noi, in fin dei conti, vorremmo. Il lettore, invisibile come gli spettri vaganti che i bambini e le bambine dell'epoca aspettavano di vedere al di là delle finestre venate di brina, allo scoccare dell'ora buia, entra in quella casa isolata senza bussare e senza disturbare, sin dal primo capitolo. Non è stato invitato – perché le gioie si condividono, le disgrazie si tacciono – ma si muove tra quelle quattro mura a passi leggeri e sicuri, scoperchiando antiquate pentole in cui bollono intrugli bizzarri o zuppe profumate di spezie, leggendo la preoccupazione sui volti tesi di nonni o padri, rubando il calore dalle braci che ardono, sfiorando il pizzo e i ricami dei fazzoletti che mantengono fermi i capelli crespi e i pensieri sbagliati di tzie o mamme, spiando la forma delicata che si muove in una culla di fortuna. Aggraziata e mai invadente, dolce e lieve, la penna dell'autrice – come una bacchetta sfrigolante di magia proibita – erige i muri di quella magione umida e fatiscente, così lontana dalle carezza del mare e dalla luce della civiltà; rievoca il selvaggio splendore della sua terra, costruisce i ricordi dei suoi personaggi e ne innesta, di solidi, nelle menti di chi legge. 
Dipinge prati punteggiati di fiori colorati, boschi ribelli e rigogliosi, scie in movimento di fedeli in processione, comignoli che rilasciano fumo troppo grigio in contrasto con la neve troppo bianca, nuraghi svettanti come le torri delle fiabe antiche. Mescola calore e gelo, luce e buio, cose belle e cose brutte. Il meglio e il peggio che le piccole realtà hanno da offrire, quando tengono al sicuro come in un nido, ma, a volte, stritolano senza pietà: mamme chiocce che uccidono i pulcini gialli della loro stessa covata. Alle descrizioni di piatti tipici e usanze, abiti e scorci, profumi e sensazioni, alla bellezza di una natura spesso sconvolta, si contrappongono, allora, i demoni immortali che l'ignoranza genera. E, alla luce caliginosa e funerea della superstizione dei nostri avi, tutto diventa più inquietante; spaventoso. Malocchi e vecchie storie, sortilegi e gelosie, morti e scomparse fanno vedere ai protagonisti e al lettore quello che, razionalmente, il cervello nega. Il lato oscuro delle storie che ogni nonno ama ripetere ai suoi nipoti, storie di un tempo non poi così remoto, getta ombre fitte e taglienti su una storia candida e gentile. 
Il cuore selvatico del ginepro diventa, quindi, un esotico fiore nero dai frutti dolceamari, coltivato da sole donne e solo in Sardegna. I toni sono melliflui, ma i sentimenti sono viscerali e le situazioni molto forti, a tratti. Tutto passa attraverso labbra di donne, sgorga da occhi e gola, si sedimenta in uno stomaco stretto da un vitino da vespa, rimbomba nelle loro più intime immensità. Straordinarie primedonne, delineate egregiamente in poco o più di duecento pagine da un'autrice ispirata e sensibile. Vanessa Roggeri si fa piccina, non giudica gli errori imperdonabili delle vecchie generazioni, e, anche grazie a pochi, ma accurati dialoghi, riesce a dare al suo racconto il colore del parlato e l'impostazione di una leggenda affidata alle voci di una molteplicità di narratori erranti. Le protagoniste assolute sono le matriarche della famiglia Zara. Fa rabbia leggere di Assunta che rinnega l'ultima delle sue figlie; suscita un odio profondo l'opportunismo e la crudeltà della gelosa secondogenita, Pinella; tocca il cuore l'amore incondizionato di Lucia verso la sua sciagurata sorella Ianetta. Ianetta, un personaggio complesso e schivo, che è un mistero perfino per sé stessa: lei non ha occhi sani per vedersi, quindi si accontenta del riflesso che gli sguardi di chi la circonda le restituiscono. Fa decimare il bestiame, ammalare i parenti, invadere la casa con rospi e mosche, morire i bambini dispettosi nel tormento di pizzichi di ape senza fine: questo è quello che tutti vedono, che tutti le rinfacciano, che tutti le sputano contro. Se nessuno la vede buona, è perché non lo è. “Coga”... e lei vive nel bosco, come un animale selvatico dagli artigli sfoderati. “Coga”... e lei scappa in una torre di pietra, aspettando le visite un'amica cattiva e le torce dei suoi compaesani che, secondo tutti, la purificheranno dalle sue colpe con il fuoco; “Coga”, ancora... e la sua umanità vacilla, come le intenzioni di una sorella che vorrebbe soltanto salvarla. Realistico, emozionante, originale, passionale e spaventoso, l'esordio di Vanessa Roggeri è un viaggio nel cuore segreto di una terra incredibilmente affascinante e incredibilmente contraddittoria, narrato in grande stile e ricco di valori preziosi ed echi incisivi. Un pregevole e promettente esordio, firmato da una donna che, come le sue protagoniste, a quelle tradizioni è legata saldamente, come il lichene alla roccia. All'ombra di un fico - che tanto ricorda il nespolo dei Malavoglia - sopravvissuto alle sventure di quattro generazioni di Zara e guardiano di quelle aspre terre, in miseria e nobiltà, una saga familiare italiana, danzante tra verità e menzogna, colpa e riscatto, che ha i legami di sangue di Marquez e della Allende e il tocco magico di Joanne Harris.
Il mio voto: ★★★★ +
Il mio consiglio musicale: Chiara feat. Fiorella Mannoia – Mille passi 

venerdì 23 agosto 2013

Recensione: Io sono le voci, di Danilo Arona

  Ciao a tutti, come state? Oggi, la recensione di un gran bel thriller firmato dall'autore nostrano Danilo Arona. Da leggere, davvero. Ringraziando l'ufficio stampa della casa editrice, per avermi dato modo di leggerlo, vi auguro una buona lettura e vi abbraccio. M.
 
Titolo: Io sono le voci
Autore: Danilo Arona
Editore: Edizioni Anordest
Numero di pagine: 358
Prezzo: € 12,90
Sinossi: Da sempre in Italia avvengono omicidi inspiegabili che sembrano trovare una loro magra giustificazione nella ferocia esibita. Dagli anni Sessanta poi è in atto un'escalation. Prima in una città di provincia nel nord Italia. Poi a Milano nel decennio successivo con giovani donne trucidate attraverso modalità di raro sadismo. Sino a quando ai giorni nostri una giovane e determinata giornalista investigativa, Cassandra Giordano, non scopre un impensabile filo rosso che collega delitti tra loro lontani nel tempo e nella geografia: la visione di certi film, il cosiddetto effetto Copycat, le voci nel cervello che ti spingono a uccidere emulando gli omicidi passati sullo schermo in tante famose opere cinematografiche. Ma, una volta scoperchiato il vaso di Pandora, Cassandra ne diventa vittima, innestando una nuova e ancora più feroce serie di delitti per imitazione. Una sequenza sanguinosa che la vede morire, prima vittima della nuova ondata omicida, sotto il guanto artigliato del leggendario Uomo Nero di Elm Street, Freddy Krueger. Ma può essere possibile un crimine del genere nell'Italia contemporanea? Si tratta di uno o più assassini? Magari una nuova stirpe di psicopatici ben mimetizzati nella normalità quotidiana? Arianna Giordano, sorella minore della giornalista, e un coriaceo ispettore di polizia si lanciano nella più incredibile delle indagini: svelare l'enigma degli omicidi Copycat, giungendo a smascherare il meno sospettabile dei serial killer. E Milano si trasforma in un sanguinario set cinematografico.
                                                    La recensione
Il telefono squilla. Una ragazza, bionda e molto carina, corre a rispondere, lanciando occhiate, di tanto in tanto, ai pop corn sul fuoco. Il suo ragazzo è in ritardo e, se non sta attenta, come stuzzichini durante il film, avranno solo pop corn bruciati. Non il massimo per una serata romantica. Dall'altra parte del filo, una voce sconosciuta le chiede: Qual è il tuo film horror preferito? La risposta non è importante. Perché, quella notte stessa, la ragazza ne diventerà parte. Sarà l'unica protagonista del suo personale film dell'orrore: la vittima prescelta. Iniziava così un thriller uscito alla fine degli anni '90 e destinato, nel suo piccolo, a fare storia: Scream – Chi urla muore. Dirigeva Wes Craven e la prima vittima del killer dalla maschera bianca, ispirata al volto deforme e tormentato del protagonista dell'Urlo di Edvard Munch, era la più nota del cast, Drew Barrymore. Inaudito, insospettabile, improvviso, imprevisto. Geniale. In ciò, c'è molto delle atmosfere cupe e dello spirito dissacratorio del primo thriller che leggo dell'italianissimo Danilo Arona: scrittore, giornalista, critico cinematografico. Tre elementi di una stessa biografia che, anziché cozzare tra di loro, si sposano con studiata e sorprendente perfezione. La letteratura, la cronaca e il cinema: degni elementi di un thriller coi fiocchi. Soprattutto, il cinema: fonte d'ispirazione segreta per tutti, ma che mai come in questo romanzo è celebrato, adorato, citato. Di Scream – forse, il padre dei teen thriller di ultima generazione – ha la nerissima ironia di fondo, l'immancabile storia d'amore costantemente in pericolo, assassini che si nascondono dietro un curioso e inquietante travestimento, un'annunciata protagonista che muore nelle prime pagine. La particolarità dello stile di Arona sta nel fatto che, gran parte dell'inizio di ogni capitolo, risulta dedicata alla descrizione di un luogo e di un tempo, lontano o vicino che sia non importa. Dati sul clima e sul paesaggio, su strade e contrade sperdute. Riprese dall'alto, ma che poi si stringono, fino a inquadrare piccoli e macabri dettagli di una scena del delitto. Il romanzo è così, parte da lontano: comincia negli anni della guerra, con la storia di una bambina inquieta con la paura dei fulmini; prosegue con il racconto dell'infanzia di un bambino albino, nato e vissuto tra il disprezzo muto della madre e lo scherno dei suoi compagni; giunge, poi, al reale snodo della vicenda. 
Tacchi a spillo che ticchettano lungo i corridoi di una prigione, una pista su alcuni omicidi ai danni di donne, insabbiati nel corso degli Anni di Piombo, un'intervista esclusiva ad un efferato serial killer di bambini biondi: la svolta nella carriera dell'avvenente giornalista Cassandra Giordano. La lunga chiacchierata tra lei e l'individuo ribattezzato dai media Il proiezionista, sarà paragonata dai suoi fantasiosi colleghi a quella tra Clarice e Hannibal Lecter in Il silenzio degli innocenti.  Un cult. Strane, le coincidenze: il cinema è la chiave di sangue che lega le barbare uccisioni che macchiarono l'Italia settentrionale in passato e quelle che si verificheranno di lì a poco. Cassandra, come la Barrymore nella serie con Neve Campbell, sarà colei che tornerà a ispirare feroci aguzzini rimasti ancora senza nome, membri di un'arcana congrega chiamata la Stirpe. Morirà a casa sua, con la verità quasi in pugno e il volto squaciato da lame affilate. La citazione, anche in questo caso, è lampante e, anche in questo caso, si torna a parlare di Wes Craven: l'assassino indossava i guanti dell'indimenticabile Freddie Krueger di Nightmare. 
Il lettore conosce l'identità degli assassini, l'identità di tutti gli assassini, mentre la polizia, capitanata da un affascinante ispettore, continua a sfidarli al loro stesso gioco e a tentare di cogliere, invano, perfino la più piccola delle citazioni. La più lapalissiana è sotto i loro stessi occhi: Arianna, la sorella della giornalista assassinata, somiglia incredibilmente alla defunta Cassandra. La stessa bellezza nordica, gli stessi occhi chiari, la stessa tendenza a giocare ai detective: La donna che visse due volte... Danilo Arona, con una prosa impeccabile e una maestria da fare invidia ai più grandi nomi, firma un lungo, originale, sentito e scioccante inno d'amore a un genere cinematografico che non morirà mai. Il suo è un thriller che parla di thriller. Un omaggio colto e raffinato all'arte della paura. Raffinato nella scrittura e nelle intenzioni, ma meravigliosamente e impressionantemente pulp, per il resto. Lui – nato ad Alessandria, nel 1950 – ha avuto la fortuna di vivere gli anni d'oro del giallo made in Italy e di possedere l'abilità mai scontata di parlare dei cambiamenti che hanno saputo ripercuotersi su tutto, nel corso degli anni: il cinema è lo specchio della realtà. Dai grandi classici si passa all'era dei reboot e dei moderni remake, dagli anni del terrorismo si arriva ai (soliti) politici corrotti e alla (solita) crisi. Lui c'era quando Dario Argento era il re incontrastato, quando Lucio Fulci sconvolgeva le platee, quando i thriller avevano le uccisioni più crude e i titoli più lunghi, quando il rock dei Goblin faceva gelare il sangue e ricordare Profondo Rosso e le streghe cattive di Suspiria.  
Tutto ricorda allora. Omicidi che occupano interi capitoli con la loro “inventiva” e i loro raggelanti dettagli, piogge di acido che deformano i visi, riflessi mortali come lo è lo sguardo di Medusa, coltellate sferrata da ogni lato, cadaveri riversi nei loro stessi umori, urla di donne che ricalcano il terrore antico di quando a colpire, nella Londra vittoriana, era Jack Lo Squartatore. Io sono le voci è esattamente quel tipo di thriller. Fisico, violento, viscerale, non psicologico. Scritto tra strade da percorrere alla luce rossa dei lampioni e non tra i labirinti di una mente deviata. Un thriller d'altri tempi, in cui agiscono indisturbati assassini d'altri tempi, legati tra loro dalla passione per il cinema e la morte e da un Cineforum dimenticato. Assassini ormai vecchi, ma lucidissimi. Con una ferocia inumana che non va mai in pensione, o a dormire. Mai. I numerosi personaggi sono descritti con la giusta dovizia di particolari, umani, sì, ma, in parte, volutamente abbozzati come avveniva nei sanguinosi gialli del passato. Il ritmo è frenetico, il sangue è copioso, il finale ammicca verso il lettore con un sorriso malato, sghembo. Distribuito da Edizioni Anordest – una piccola casa editrice da tenere d'occhio – e firmato da Danilo Arona – uno scrittore di cui ho ancora tanto da scoprire -, Io sono le voci è un chicca sublime per gli amanti di letteratura e cinema. Prendete i pop corn e sedetevi in poltrona, da soli. Al buio. Sullo schermo è proiettato un tremolante conto alla rovescia, prima dell'inizio dell'incubo. Se conoscete L'esorcista, Seven, Candyman, Red Dragon, Il villaggio dei dannati, Il gatto a nove code e Ti piace Hitchcock?, il libro che leggerete – e il film che vedrete – è quello che fa al caso vostro. Buona visione. And good evening.
Il mio voto: ★★★ +
Il mio consiglio musicale: Goblin - Suspiria

giovedì 22 agosto 2013

Mr Ciak #16: Kick-Ass 2, The Conjuring - L'evocazione

Ciao a tutti! Oggi, torno a vestire i panni di Mr Ciak per parlarvi di due film da poco approdati al cinema: già, perché, ogni tanto, i cinema italiani decidono di distribuire qualche titolo che voglio vedere. Sto parlando del sequel di Kick – Ass e dell'horror The Conjuring – L'evocazione. Li avete visti, o magari li conoscevate? Un abbraccio e buona giornata, M.

C'è qualcosa di semplicemente straordinario nel vedere un'altra versione di te trovare il coraggio di fare quello che tu non farai mai. Sarà per questo che Kick-Ass, ai tipi come me, era piaciuto un casino. Vedendo il primo film, nei critici e “tormentati” anni del ginnasio, se ricordo bene, mi ero sentito forte, d'un tratto sicuro, incredibilmente idiota. Proprio come il protagonista. Che, chiudendo i suoi occhiali a fondo di bottiglia in un cassetto, aveva indossato una maschera. Che, sfidando sé stesso, i suoi limiti e nemici più potenti di lui, aveva trovato l'amore, l'amicizia, un senso a un'adolescenza vissuta tanto per... Parlo metaforicamente, è ovvio. Poi, quello era un film, tratto da una graphic novel che ignoravo del tutto, nel mio immenso analfabetismo in materia di fumetti. E l'eroe eponimo, tra l'altro, più che darle, le prendeva senza pietà. Indimendicabile la sua prima missione, il giorno stesso in cui i tipi di Ebay gli avevano recapitato il costume per corriere: preso a calci nel culo, accoltellato, investito. Ahi... Male, male! C'erano eroi migliori da prendere come esempio, meno sfigati, ma, accanto a Peter Parker, l'occhialuto e brufoloso Dave Lizewski era diventato il mio sfigatissimo idolo. Mitico. Un po' per lui, un po' per il gore e l'acida ironia di fondo, avevo adorato il primo film: una genialata assurdamente divertente. Era il sogno d'infanzia di Quentin Tarantino o di Robert Rodriguez: uccisioni, tipette dolci dolci armate fino ai denti, bulli, cattivi troppo idioti per essere veri, risate a palate. Una trashata, sì, ma di gran classe. Con questa premessa sembra quasi che il sequel – uscito a Ferragosto nei nostri cinema – non mi sia piaciuto quanto il precedente, ma è sbagliato. In realtà, questo secondo episodio mi ha divertito e intrattenuto proprio come il primo, pur risultando complessivamente poco, poco inferiore. E' giusto dire che è stato un gradito ritorno. Il costume è lo stesso - bruttissimo, verde e con quegli ingombranti stivali da legnaiolo sotto che tutti, d'inverno, sembrano avere, tranne me. E sappiate che ne vado fiero! - e lo stesso è l'attore che torna ad indossarlo: Aaron Johnson. Nel frattempo è diventato maggiorenne, ha sposato una milfona hollywoodiana che potrebbe essere la sua prozia, ha ricevuto una proposta per recitare in Cinquanta sfumature, si è scoperto (e si è fatto scoprire dalle spettatrici) decisamente belloccio. Non ci sono più i nerd di una volta, ma lui si impegna: è imbranato, simpatico e più maturo, alle prese anche con un drammatico lutto, sul finale, che fa tanto The Amazing Spiderman. Lui è l'eroe che dà il nome a tutto, ma qualcosa non funziona se la piccola Chloe Moretz – più di quanto avveniva nel primo – gli ruba la scena in ogni fotogramma. E' cazzutissima, è dolcissima, è adorabile e, a distanza di tre anni, è diventata anche molto carina. E' giusto dire che c'è un'unica Hit Girl e che Kick Ass è la sua spalla; il suo Robin. Quella ragazzetta bionda e dagli occhi verdi è una forza della natura, un uragano, una sanguinosissima esplosione. Dopo aver svent(r)ato un'istituzione mafiosa nel primo, all'inizio del sequel la troviamo con un incubo peggiore: il liceo. Ma le aspiranti cheerleaders con le manie di grandezza troveranno pane per i loro denti: Mindie/Hit Girl ha non pochi assi nella manica. Una che sa uccidere una dozzina di uomini armati con un coltellino da burro, forse non conosce i passi di una coreografia delle ragazze pon-pon? E' perfetta e, a novembre, sara una Carrie perfetta. Qualcosa viene meno, tuttavia, tra i vari comprimari. La storia d'amore di Kick Ass e le sue amicizie sono affrontate in maniera troppo frettolosa e sommaria e la prova del sempre ottimo Jim Carrey – che tanto si è lamentato per la presunta violenza del film, facendo sì che al botteghino americano non fosse proprio un successone – se confrontata con quella di Nicolas “Bid Daddy” Cage. E' simpatico, strappa le risate degli spettatori e le urla di qualche sporadico nemico, ma il suo ruolo è poco più che marginale. Quasi un cameo di un Ace Ventura con la maschera e la mimetica. Funziona, invece, la metamorfosi di Christopher Mintz-Plasse che, svestiti i panni dell'eroe Red Mist, indossa quelli del cattivissimo Mother Fucker. E il nome è tutto un programma, visto che il suo esilarante costume altro non è che una tutina in latex, piena di strane catene penzolanti, che era appartenuta alla sua defunta mammina, con la passione per le lampade e il bondage. Ironico, aggressivo, pulp, colorato: un fumettone vietato ai minori e ai perbenisti. Violento, ma non gratuitamente, e sempre capace di abbinare grottesco e sincere risate. Il messaggio finale, poi, è dei più positivi: invita ad essere il cambiamento che vuoi vedere nel mondo, a essere l'eroe di te stesso. Good. Really Good!

Case spettrali, porte che cigolano, stanze segrete, bambole dagli occhi di vetro e dai ghigni immortalati per sempre sulla porcellana, bambini che giocano a nascondino mentre qualcuno – nel buio – li spia, esorcismi. The Conjuring – L'evocazione è un ritorno all'horror classico. A quello fatto di sussulti e apparizioni improvvise, atmosfere lugubri e riprese che, ampliandosi, mostrano amici immaginari nascosti negli armadi o sotto i letti. Pericoli mortali celati tra le ombre familiari di una casa perfetta. La storia, tratta da fatti realmente accaduti, riprende la più usata (ed abusata) delle trame ed è incentrata sul trasferimento di una famiglia numerosa, rumorosa e felice in una magione isolata, ma spaziosa: ci sono una mamma, un papà e cinque bambine. Tante spese, tanti problemi, l'America carica di speranze degli anni '70. Fino a quando la tranquillità della famiglia non viene spazzata via dalle oscure presenza che abitano la casa: adoratori del demonio, spettri di bambini assassinati, streghe condannate al rogo durante l'Inquisizione. Fantasmi maligni. A scacciarli, due coniugi con il pallino delle scienze occulte, con uno sfortunato esorcismo all'attivo e una bambina in pericolo, sola in una stanza piena di mostruosità. A mio parere, questo The Conjuring sarebbe potuto essere un mezzo capolavoro. Ma, pur non guadagnando lo scettro di horror del decennio, intrattiene piacevolmente, con la giusta dose di brividi, sussulti e scossoni. Non tanto per la storia (vera?) trita e ritrita, quanto per la grandissima abilità del giovane regista James Wan, che, poco più che trentenne, ha all'attivo alcuni dei film di genere più interessanti ed efficaci che abbia visto recentemente: Saw - L'enigmista (il primo, crudele e sorprendente Saw), Dead Silence (distribuito, in Italia, solo in homevideo, ma ugualmente grandioso, con i suoi pupazzi spettrali e le sue ninnananne assillanti) e Insidious (visto un cinque volte da quando è uscito: spaventoso, originale, seriamente bello). Il suo zampino, inoltre, è anche nell'ottimo Sinister e nel recente La notte del giudizio. Ha personalità, stile, una mano ferma e riconoscibilissima e, come i più grandi, già caratteristiche tutte sue: ritroviamo tutto in questo film, il consolidamento ufficiale ed innegabile del suo talento. Tra possessioni, bambini inquietanti, bambole di porcellana e case maledette, cita il sé stesso di Insidious e omaggia l'horror anni '70, ricalcando la scia dei vari Amytiville Horror. Ottimo il cast: Vera Farmiga – mamma di "Norman" Bates Motel e di Orphan - , Patrick Wilson (già diretto da Wan in Insidious e, ad ottobre, nel secondo capitolo del film: manca poco!) e Lili Taylor – che, a più di dieci anni da Haunting - Presenze, ritorna ad abitare case infestate.

martedì 20 agosto 2013

Recensione: La risposta è nelle stelle, di Nicholas Sparks

 Se non ci fossimo mai conosciuti, credo mi sarei reso conto che la mia vita non era completa. E avrei vagato per il mondo in cerca di te, senza sapere che cosa stessi cercando.

Titolo: La risposta è nelle stelle
Autore: Nicholas Sparks
Editore: Frassinelli
Numero di pagine: 425
Prezzo: € 19,90
Sinossi: Una strada coperta di neve, un'auto che perde il controllo e va a sbattere. Alla guida il vecchio Ira, che ora è incastrato, ferito, intirizzito dal gelo, e così solo. Il dolore lo immobilizza e rimanere cosciente è uno sforzo indicibile, almeno fino a quando davanti ai suoi occhi prende forma una figura, prima indistinta, poi dolcemente nitida: è l'immagine dell'amatissima moglie Ruth. Che lo incalza, gli impone di resistere, lo tiene vivo raccontandogli le storie che li hanno uniti per più di cinquant'anni: i momenti belli e quelli tristi, le passioni e i rimpianti, e sempre l'amore infinito. Lui sa che Ruth non può essere lì, ma si aggrappa ai ricordi, alle emozioni, alle parole di loro due insieme. Poco distante da quella strada, la vita di Sophia sta per cambiare per sempre. L'università, l'ex fidanzato traditore e violento, le feste e le amiche scompaiono nella notte di stelle in cui incontra Luke. Innamorarsi di lui è inevitabile, immaginare un futuro diverso diventa un sogno possibile. Un sogno che solo Luke può rendere reale. Purché il segreto che nasconde non lo distrugga. Ira e Ruth. Sophia e Luke. Due coppie che apparentemente non hanno nulla in comune, divise dagli anni e dalle esperienze, ma che il destino farà incontrare, nel più inaspettato ed emozionante dei modi. Ricordandoci che anche le decisioni più difficili possono essere l'inizio di un viaggio straordinario, perché i sentimenti e i segreti degli uomini percorrono strade impossibili.
                                                    La recensione
Una macchina vola giù da un burrone. Il rumore è attutito dal tappeto di neve bianca che copre tutto, ma non il dolore dell'anziano intrappolato nella vettura. Ha novant'anni, è un uomo d'altri tempi e sa che, probabilmente, morirà lì, da solo. Il suo nome è Ira e, con la cocciutaggine di tutti i vecchi come lui, si è messo alla guida anche in una serata da lupi. Non ha una casa a cui tornare, qualcuno con cui parlare, una persona che si stia domando dove si sia cacciato. Ha una casa piena di opere d'arte moderna, ma non ha né figli, né nipotini urlanti. E Ruth – la sua compagna, la sua migliore amica, sua moglie – è morta nove anni prima, fulminata da un infarto mentre lui stava sonnecchiando in poltrona davanti alla Tv. E' morta, lo sa. E' stato lui a cullare il suo cadavere fino all'arrivo dell'ambulanza, a combattere il silenzio e la voglia matta di raggiungerla lasciandosi a sua volta morire, a custodire le sue lettere e i suoi sogni segreti, eppure lei – in quegli ultimi attimi – è lì, accanto a lui. Quella deve essere la fine, perché, come dicono sempre nei film, nell'istante in cui muori tutta la vita sembra scorrerti davanti, riflessa sulla falce di un angelo nero. 
Con lo spettro di Ruth accanto – un riflesso di una notte d'inverno – Ira rivive in prima persona tutti i momenti della loro lunga storia d'amore. Un amore ordinario e straordinario, sopravvissuto alla Grande Guerra, ai drammi, alle tenerezze mancate di un bambino mai arrivato. Lei gli stringe la mano e, con i suoi baci, gli asciuga le lacrime; lui continua a raccontarle di loro; la neve – fuori – continua a cadere. Non lontano dai guai del poetico e malinconico Ira, due giovani si stanno innamorando, come seguendo le stesse tappe di quel vecchio amore che, parallelamente, la voce ruvida dell'anziano sta rievocando. Luke e Sophia s'incontrano a una festa in campagna: lui che festeggia la sua ultima vittoria, lei che si nasconde da un ex violento e possessivo. Quel cavaliere con il cappello di paglia e gli stivali da cowboy, sotto un cielo opaco solcato da stelle abbaglianti, salva quella dama del New Jersey dai libri sempre sottobraccio e dagli occhi incantevoli. Capisce che sarà la donna della sua vita al primo ciao. Anche se vengono da mondi diversi, anche se il futuro è un'incognita e lui, forse, potrebbe non averne nemmeno uno. Quando si parla di sentimenti, sono pochi gli scrittori a cui i lettori di ognidove affidano le chiavi che aprono le fragili serrature dei loro fragili cuori. Nicholas Sparks, che lo si ami oppure no, è innegabilmente uno di quelli. In tanti anni di carriera, ha conquistato la fiducia di un vasto pubblico che, a poco a poco, ha imparato a conoscerlo. Piace ad adulti e ragazzi, nonni e mamme, uomini e donne: i primi hanno scoperto quando sia bello leggere le parole di un uomo che parla di sentimenti universali e relazioni umane; i membri del gentil sesso, invece, inizialmente piene di ritrosia, si sono affidate a parole e frasi che scorrono dolci come carezze maschili: se spesso, tra fidanzati idioti e amici indelicati, hanno nutrito ragionevolemnte qualche dubbio, Sparks è la prova diretta che gli uomini, da qualche parte, lungo le strane linee del cromosoma Y, nascondano buonsenso, sensibilità, cuore. Leggendo i ringraziamenti di uno qualsiasi dei suoi ormai numerosissimi titoli, lo vediamo stillare una lista incredibilmente lunga di colleghi, amici, parenti e non ci soprenderemo nemmeno poi tanto nel trovare, un giorno o l'altro,  il nostro nome tra quei tanti, sinceri grazie. La verità è che lui sembra stranamente conoscere ognuno di noi: prende il meglio delle nostre vite e, con i miei e i tuoi ricordi, con i miei e i tuoi rimpianti, struttura piccole e grandi storie di cui noi tutti sembriamo i mattoncini, il collante, i singoli paragrafi. Io ho visto molti dei film che ha ispirato – alcuni riusciti, altri inevitabilmente meno – ma avrò letto giusto una manciata dei suoi romanzi. 
Non lo conosco bene e riconosco che, a lungo andare, le sue storie potrebbe risultare un po' tutte uguali, ma, nonostante tutto, una volta ogni tanto, devo ritornare da lui, a farmi aggiustare le giunture cigolanti del cuore o a farmele mettere a soqquadro come lui e pochi altri sanno fare. Mi fa un'immensa simpatia e ho... fede in lui: è una persona bella e semplice e scrive storie belle e semplici. 
In La risposta è nelle stelle dà conferma della sua sensibilità e della sua bravura, di essere umano e scrittore. Oggettivamente, non è il migliore dei suoi romanzi, ma la storia – così ampia e semplice – scritta da lui, regala autentici picchi di emozione. Riesce a districarsi perfettamente tra voci e generazioni tanto diverse, tra presente e passato, gioventù e vecchiaia, ma, come sempre accade quanto i punti di vista sono diversi, il lettore finisce per preferirne più uno rispetto ad un altro. E, aspettare che il nuovo capitolo segni l'ingresso, in un coro caleidoscopico di prospettive, della voce che noi abbiamo immediatamente riconosciuto come nostra, potrebbe diventare stressante, logorante, noioso. La voce che aspettavo continuamente di risentire era quella dell'anziano e debole Ira: un uomo che per tutta la vita ha amato la stessa donna. Lui ha saputo emozionarmi e cogliermi impreparato, incantarmi con le lunghe e romantiche lettere scritte alla sua Ruth e distruggermi con il racconto di quando, nove anni prima, la morte gliel'ha strappata dalle braccia, ma non dalla mente.  
Lui è il vero amore. Quello che, in una lettera di San Paolo, ripresa in I passi dell'amore, era descritto come sempre paziente e gentile, mai presuntuoso o pieno di sé, mai scortese o egoista. Mi ha ricordato quello dei mie nonni, che, dopo mezzo secolo, litigano come bambini capricciosi e si scambiano continuamente battute sardoniche, ma che – noi nipoti lo sappiamo bene - non riuscirebbero a sopravvivere se uno dei due venisse a mancare prima dell'altro. Ira e Ruth sono dei titani, dei combattenti nati: ebrei in terra straniera, sono sopravvissuti allo sterminio dei loro parenti sotto il regime nazista; genitori nell'anima, ma sfortunatamente sterili, fanno della loro grande casa un ritrovo di artisti sconosciuti e di bambini tristi a cui Ruth fece un po' da maestra, un po' da mamma, un po' da musa. Titani e combattenti come lo sono i giovani Luke e Sophia, che, nonostante l'ampio spazio a loro dedicato, non catturano cuori e attenzione come lo fa Ira – quasi un aedo d'altri tempi. Sono carinissimi e affiatati alle prese con il loro amore lampo, ma la storia parallela alla loro è un mondo a parte: sofferta, vera, antica. Sparks è sempre stato capace di fare fuochi d'artificio con la più banale delle storie sentimentali, ma quella di Luke e Sophia, anche se piacevole, è poco spettacolare, ecco. 
Non ci sono quei momenti da puro, stupidissimo batticuore che lui è tanto generoso a regalare: il passionale abbraccio sotto la pioggia di Le pagine della nostra vita, il ritrovamento del messaggio in bottiglia di Le parole che non ti ho detto o della foto di una donna sconosciuta in Ho cercato il tuo nome, le passeggiate in bici sul mare di Vicino a te non ho paura, le veglie notturne intorno a piccole uova di tartaruga di L'ultima canzone. E' la più normale delle storie, nel senso negativo e positivo del termine. Una storia vagamente new adult – ma senza sesso e le consuete volgarità aggiuntive - che non mi ha entusiasmato – sarà per lo sfondo di corse a cavallo, fattorie da riscattare, confraternite e rodei – ma che raccontata da lui ha il suo discreto motivo d'essere. Una scintilla (se cogliete il gioco di parole, vi adorerò!) vitale. Bello e positivo il finale, carico di ottimismo, fiducia e speranza. Fatto strano, penseranno in molti. Io per primo, quando mi trovo a guardare un film tratto dai romanzi questo autore, mi sento tanto uno spettatore degli Hunger Games, con le mie scommesse scherzose su chi morirà, su chi verrà lasciato e così via. Nonostante il velo di tragedia calato su quasi tutte le sue storie, però, trovo che il messaggio finale sia sempre positivo. E questo di La risposta è nelle stelle – tra l'altro, trovo il titolo abbastanza inadatto – lo è, eccome. Prova che alle belle persone, a volte, possano capitare, per una volta, belle cose. Due generazioni e due amori sotto la lente d'ingrandimento. Giovani irruenti e avventati; anziani – come Ira, Ruth e la simpatica e burbera mamma di Luke – con senno e anima. Un romanzo piacevole, anche se non bello come avrei invece voluto, che fa sì che due storie intense come quella di The Notebook e The Last Song si incrocino delicatamente, ma senza una violenta e commovente collisione. Ma emoziona, questo sì. Sparks è Sparks. Sempre.
Il mio voto: ★★★★ -
Il mio consiglio musicale: Ellie Goulding – I need your love (Acoustic Version)

domenica 18 agosto 2013

Coming This Fall #3

Buona domenica a tutti, amici! Come state, e quanti di voi sono ritornati dalle vacanze di Ferragosto? Quest'oggi un nuovo appuntamento con Coming This Fall – rubrica dedicata ai romanzi che troveremo in libreria quest'autunno – e altri, nuovi dieci titoli che entrano prepotentemente nella mia wishlist. C'est la vie... Averne alcuni sarà un'esigenza vitale. Ritornano i thriller del grandioso Wulf Dorn e le ghost story firmate da Carsten Stroud sullo sfondo dell'inquietante Niceville, la Garzanti – quanto la amo? Quanto la odio? - ci strega con alcune uscite dalle trame incantevoli e dalle copertine splendide, le italianissime Vanessa Roggeri (al suo esordio) e Valentina D'Urbano (autrice di Il rumore dei tuoi passi) prendono posto accanto a illustri colleghi stranieri, Abby e Travis – anime gemelle nel new adult più odiato e amato del 2013 – tornano a essere protagonisti di una passionale storia d'amore in Il mio disastro sei tu, la cui (bella) copertina è stata scelta su Facebook dai lettori stessi. Quali vi ispirano? Quali NON vi ispirano?! Un abbraccio e buona giornata, M.

Titolo: Il mio cuore cattivo
Autore: Wulf Dorn
Editore: Corbaccio
Numero di pagine: 420
Data di pubblicazione: 31 Ottobre 2013
Sinossi: Doro spera che il trasloco porti con sé un nuovo inizio. E soprattutto la fine delle allucinazioni che la tormentano da quando è morto suo fratello. Quando non è più riuscita a distinguere la realtà dalla sua immaginazione. Ma nella nuova casa in cui ora vive con la madre sente di nuovo le voci che credeva di avere sconfitto. Finché una notte vede un ragazzo in giardino: spaventato, disperato, in fuga da una presenza demoniaca. Il ragazzo le chiede aiuto, ma poi scompare senza lasciare traccia. E qualche giorno dopo Doro ne scopre l’identità e, soprattutto, scopre che si è suicidato prima del loro incontro. Doro rifiuta di credere di essersi inventata tutto, ma la sua indagine la farà precipitare in un incubo…

Titolo: I confini del nulla - Niceville
Autore: Carsten Stroud
Editore: Longanesi
Numero di pagine: 380
Data di pubblicazione: 12 Settembre 2013
Sinossi: Benvenuti a Niceville, la città dove il male è nato molto prima degli uomini. Il sole inonda di luce dorata le strade e le case coloniali, filtrando tra le querce e i salici per andare a rifrangersi sulle acque turbolente del fiume Tulip. Niceville sarebbe una cittadina idilliaca… Se non fosse per le ombre, i sussurri, le sparizioni. E tutte quelle morti misteriose. Il detective della omicidi Nick Kavanaugh è un forestiero, che vive e lavora in quel piccolo centro nel profondo Sud degli Stati Uniti per amore della moglie, Kate Walker, discendente di una delle più antiche famiglie della zona. Da tempo Nick è alle prese con eventi non solo criminosi, ma anche inspiegabili. Da un lato ci sono le conseguenze imprevedibili e sanguinose di una rapina in banca finita nel sangue, con una lunga scia di ricatti, vendette e complicità. E dall’altro, c’è Rainey Teague. Che è solo un ragazzo… o forse no. Forse è abitato da un’energia oscura e implacabile. La stessa che permea ogni angolo di Niceville. Perché a Niceville nulla resta morto e sepolto a lungo. A Niceville ogni famiglia custodisce un segreto che mormora dai confini del nulla, affilando gli artigli nel buio. A Niceville nessuno può sfuggire al vuoto.

Titolo: L'amore in un giorno di pioggia
Autrice: Sarah Butler
Editore: Garzanti
Numero di pagine: 350
Data di pubblicazione: 12 Settembre 2013
Sinossi: Da quasi trent’anni, quando la brezza di Londra diventa più calda e petali bianchi si aprono tra i fili d’erba, Daniel cammina sulle rive del Tamigi e si siede su una panchina. Tra le mani ha un foglio di carta e una busta su cui scrive solo un nome, sempre lo stesso. Poi la imbuca, senza indirizzo. Sono gli auguri di compleanno per sua figlia. Di lei sa solo come si chiama e che è stata concepita in un giorno di pioggia con la donna che ha amato di più al mondo. Alice ha trent’anni e da sempre si sente più felice sotto un cielo stellato, circondata dall’immensità dell’orizzonte, piuttosto che al sicuro fra quattro mura. Londra le va stretta, piena dei ricordi di sua madre scomparsa troppo presto, di una famiglia a cui non sente di appartenere e di un amore perduto. Ma adesso è tornata, perché suo padre sta morendo. Alice riesce a dargli solo l’ultimo addio. Alice e Daniel sembrano non avere nulla in comune, tranne l’amore per le stelle, i colori e i mirtilli ancora aspri. Ma soprattutto l’abitudine di stilare elenchi delle dieci cose che li rendono più tristi o felici. Alice non conosce l’uomo che le si avvicina con aria confusa e impacciata al funerale del padre. Alice non sa chi è Daniel. E non sa che la sta cercando da tutta la vita. Tra le mani Daniel tiene un fiore di carta e nella testa tutte le parole e le carezze che ha conservato per Alice in tutti questi anni. E che, forse, adesso avrà il coraggio di regalarle…

Titolo: Quando eravamo foglie nel vento
Autrice: Anne Korkeakivi
Editore: Garzanti
Numero di pagine: 300
Data di pubblicazione: 12 Settembre 2013
Sinossi: Da sempre Clare Moorhouse ama camminare nella folla di Parigi, fra i boulevard e gli stretti vicoli del quartiere latino. Tra gli sguardi frettolosi dei passanti, passi svelti e mani che si sfiorano per sbaglio, Clare riesce a essere sé stessa completamente. Solo in mezzo a completi sconosciuti si sente al sicuro. Nessuno può riconoscerla, nessuno può scoprire il segreto che da anni custodisce nel cuore, nemmeno il vento di primavera che le scompiglia i capelli biondi. Ma oggi è un giorno speciale. Clare ha appena saputo di dover organizzare una cena importante per suo marito, un diplomatico in carriera. Forse per lui è arrivato il momento di ottenere la tanto attesa promozione ad ambasciatore. E tutto dipende dalla cena che Clare ha appena dodici ore per definire. Un compito che può svolgere solo lei, abituata a rendere ogni ricevimento impeccabile. Per lei non è mai stato un problema, eppure oggi, mentre sceglie le primule da mettere nel centrotavola o corre al Bon Marché per gli ingredienti più raffinati, un peso le tormenta l’anima. Perché il nuovo incarico per suo marito sarà in Irlanda. E Dublino è la città che nasconde il segreto dal quale Clare ha cercato di fuggire per vent'anni. Tutta la sua vita perfetta, suo marito, i suoi figli e quello che ha di più caro sono in pericolo: oggi, tra la folla che l’ha sempre fatta sentire protetta, sono riapparsi gli occhi azzurri di un uomo che Clare credeva morto. Un uomo che è l’unico al mondo a conoscere il suo passato, e che adesso potrebbe spazzare via la tela di inganni così sapientemente intessuta…

Titolo: Una luna magica a New York
Autrice: Susanne Palmieri
Editore: Garzanti
Numero di pagine: 350
Data di pubblicazione: 26 Settembre 2013
Sinossi: New York. Fiocchi di neve si posano leggeri sul tetto e i due comignoli fumanti si intravedono appena. Eleanor è davanti alla vecchia casa. L’ultima volta che è stata lì da bambina la luce della luna colorava d’argento le foglie dell’acero in giardino. Eppure i ricordi di quella lontana estate sono avvolti in una fitta nebbia. L’unico particolare rimasto impresso nella sua memoria è l’intenso aroma di caffè che avvolgeva le stanze. Eleanor ha dimenticato ogni altra cosa. E sa che da allora tutto è cambiato. La madre l’ha portata via da quel luogo, dalle donne della sua famiglia e dal loro dono speciale: prevedere il futuro. Un dono che è anche una pericolosa maledizione. Ma adesso è qui che Eleanor ha deciso di trovare rifugio. Ha scoperto di essere incinta e il suo solo desiderio è fuggire. Fuggire dalle sue paure, dalla madre e dal fidanzato per proteggere il suo bambino. Un misterioso richiamo la spinge verso il suo passato. Verso il posto da cui provengono le sue radici. Eleanor sente che la nonna e le prozie possono darle il sostegno di cui ha bisogno. Perché, nonostante il passare degli anni, le anziane donne non hanno mai smesso di volerle bene. Giorno dopo giorno tra quelle mura, nel silenzio di una buia soffitta, la nebbia intorno ai ricordi di Eleanor a poco a poco si rischiara e ciò che è rimasto celato per tanto tempo aspetta solo di essere svelato. Eleanor è pronta a scoprirlo per ritrovare sé stessa. Per sapere finalmente la verità sulla storia della sua famiglia. Perché il peso dei segreti è troppo forte da sopportare ancora. 
 
Titolo: Il cuore selvatico del ginepro
Autrice: Vanessa Roggeri
Editore: Garzanti
Numero di pagine: 210
Prezzo: € 14,90
Data di pubblicazione: 29 Agosto 2013
Sinossi: È notte. Il cielo è nero come inchiostro, e solo a tratti i fulmini illuminano l’orizzonte. È una notte di riti e credenze antiche, in cui la paura ha la forma della superstizione. In questa notte il rumore del tuono è di colpo spezzato da quello di un vagito: è nata una bambina. Ma non è innocente come lo sono tutti i piccoli alla nascita. Perché questa bambina ha una colpa non sua, che la segnerà come un marchio indelebile per tutta la vita. La sua colpa è di essere la settima figlia di sette figlie, e per questo è maledetta. E qui nel suo paese, in Sardegna, c’è un nome preciso per le bambine maledette, si chiamano cogas, che significa streghe. Liberarsene quella stessa notte, senza pensarci più. Così ha deciso la famiglia Zara. Ma qualcuno non ci sta. Lucia, la primogenita, compie il primo atto ribelle dei suoi dieci anni di vita. Scappa fuori di casa, sotto la pioggia battente, per raccogliere quella sorella che non ha ancora un nome. La salva e la riporta a casa, e decide di chiamarla Ianetta. Non c’è alternativa ora, per gli Zara. È sopravvissuta alla notte, devono tenerla. Eppure il suo destino è già scritto. Giorno dopo giorno, stagione dopo stagione, sarà una reietta. Emarginata. Odiata. Da tutti, tranne che da Lucia. È lei l’unica a non averne paura. Lei l’unica a frapporsi tra la cieca superstizione e l’innocenza di Ianetta. Contro tutto e tutti. Lei l’unica a capire chi si nasconde dietro quegli occhi spaventati e selvatici: una bambina in cerca di amore, che farebbe qualsiasi cosa pur di ricevere uno sguardo e una carezza. Solo una bambina, solo una ragazza, con un cuore forte e selvatico come il ginepro. Le sue radici non si possono estinguere così facilmente; la loro fibra è fatta di ferro e se fuori bruciano, dentro il cuore rimane vivo...

Titolo: Il mio disastro sei tu
Autrice: Jamie McGuire
Editore: Garzanti
Numero di pagine: 320
Data di pubblicazione: 17 Ottobre 2013
Sinossi: Travis Maddox è solo un bambino quando sua madre, ormai con un filo di voce, gli lascia queste ultime parole. Parole che Travis conserva come un tesoro prezioso. Adesso Travis ha vent’anni e non conosce l’amore. Conosce le donne e sa che in molte sarebbero disposte a tutto per un suo bacio. Eppure nessuna di loro ha mai conquistato il suo cuore. Provare dei sentimenti significa diventare vulnerabili. E Travis ha scelto di essere un guerriero. Finché un giorno i suoi occhi scuri non incontrano quelli grigi di Abby Abernathy. E l’armatura di ghiaccio che si è scolpito intorno al cuore si scioglie come neve al sole. Abby è diversa da tutte le ragazze con cui è sempre uscito. Cardigan abbottonato, occhi bassi, taciturna. E soprattutto apparentemente per niente interessata a lui. Ma Travis riesce a vedere dietro il suo sorriso e la sua aria innocente quello che nessuno sembra notare. Un’ombra, un segreto che Abby non riesce a rivelare a nessuno, ma che pesa come un macigno. Solo lui può aiutarla a liberarsene, solo lui possiede le armi per proteggerla. L’ultima battaglia di Travis Maddox sta per cominciare e la posta in palio è troppo importante per potervi rinunciare. Solo combattendo insieme Abby e Travis potranno dare una casa al loro cuore sempre in fuga…

Titolo: Novemila giorni e una sola notte
Autrice: Jessica Brockmole
Editore: Nord
Numero di pagine: 350
Data di pubblicazione: 19 Settembre 2013
Sinossi: Cara figlia mia, tu non hai segreti, ma io ti ho tenuto nascosta una parte di me. Quella parte si è messa a raschiare il muro della sua prigione. E, nel momento in cui tu sei corsa a incontrare il tuo Paul, ha cominciato a urlare di lasciarla uscire. Avrei dovuto insegnarti come indurire il cuore; avrei dovuto dirti che una lettera non è mai soltanto una lettera. Le parole scritte su una pagina possono segnare l’anima. Se tu solo sapessi... E invece Margaret non sa. Non sa perché Elspeth, sua madre, si sia sempre rifiutata di rispondere a qualsiasi domanda sul suo passato, limitandosi a mormorare: «Il primo volume della mia vita è esaurito», mentre gli occhi le si velavano di malinconia. Eppure adesso quel passato ha preso la forma di una lettera ingiallita, l’unica che Elspeth ha lasciato alla figlia prima di andarsene da casa, così, improvvisamente, senza neppure una parola d’addio. Una lettera che è l’appassionata dichiarazione d’amore di uno studente americano, David, a una donna di nome Sue. Una lettera che diventa, per Margaret, una sfida e una speranza: attraverso di essa, riuscirà infine a svelare i segreti della vita di sua madre e a ritrovarla? Come fili invisibili, tirati dalla mano del tempo, le parole di David conducono Margaret sulla selvaggia isola di Skye, nell’umile casa di una giovane poetessa che, venticinque anni prima, aveva deciso di rispondere alla lettera di un ammiratore, dando inizio a una corrispondenza tanto fitta quanto sorprendente. La portano a scoprire una donna ostinata, che ha sempre nutrito la fiamma della sua passione, che non ha mai permesso all’odio di spegnerla. La guidano verso un uomo orgoglioso, che ha sempre seguito la voce del suo cuore, che non si è mai piegato al destino. Le fanno scoprire un amore unico, profondo come l’oceano che divideva Elspeth e David, devastante come la tragedia che incombeva su di loro, eterno come i novemila giorni che sarebbero passati prima del loro incontro…

Titolo: Incantesimo tra le pagine
Autrici: Jodi Picoult, Samantha Van Leer
Editore: Corbaccio
Numero di pagine: 350
Data di pubblicazione: 19 Settembre 2013
Sinossi: Cosa succede se « …e vissero felici e contenti» non si rivela affatto essere tale? Delilah è una ragazza piuttosto solitaria che preferisce passare i pomeriggi in biblioteca, persa nei libri. In uno in particolare: Incantesimo fra le righe che in teoria è un fantasy ma che sembra terribilmente reale, al punto che il principe Oliver, oltre a essere coraggioso, avventuroso e focoso, parla a Delilah. Cioè: le parla sul serio! E salta fuori che Oliver è ben più che un personaggio di carta: è un teenager che si sente intrappolato nella sua vita letteraria e che non sopporta l’idea che il suo destino sia segnato. Oliver è certo che il mondo là fuori possa offrirgli qualcosa di interessante e vede in Delilah la sua chiave di accesso alla libertà. I due si buttano a capofitto nell’impresa di tirare fuori Oliver dal libro, un compito difficile e che i spinge ad approfondire la loro percezione del destino, del mondo e del loro posto nel mondo. Contemporaneamente cresce l’attrazione reciproca, un sentimento forte e tutt’altro che letterario… 

Titolo: Acquanera
Autrice: Valentina D'urbano
Editore: Longanesi
Numero di pagine: 300
Prezzo: € 14,90
Data di pubblicazione: 12 Settembre 2013
Sinossi: È un mattino di pioggia gelida, che cade di traverso e taglia la faccia, quello in cui Fortuna torna a casa. Sono passati dieci anni dall'ultima volta, ma Roccachiara è rimasto uguale a un tempo: un paesino abbarbicato alle montagne e a precipizio su un lago, le cui acque sembrano inghiottire la luce del sole. Fortuna pensava di essere riuscita a scappare, di aver finalmente lasciato il passato alle spalle, spezzato i legami con ciò che resta della sua famiglia per rinascere a nuova vita, lontano. A richiamarla a Roccachiara è un ritrovamento, nel profondo del bosco, che potrebbe spiegare l'improvvisa scomparsa della sua migliore amica, Luce. O forse, a costringerla a quel ritorno è la forza invisibile che ha sempre unito la sua famiglia: tre generazioni di donne tenaci e coraggiose, ognuna a suo modo...