venerdì 27 novembre 2020

Recensione: Distanza di sicurezza, di Samanta Schweblin

 
| Distanza di sicurezza, di Samanta Schweblin. Sur, € 15, pp. 108 |

Per la prima volta mi è successo di mettere in pausa un romanzo a otto pagine dalla fine. In preda ai sudori freddi, vittima di una paura immotivata, l'ho chiuso e poggiato sulle ginocchia. Temevo di scoprire cosa sarebbe successo alla fine. Temevo, soprattutto, di saperlo già. Fulmineo, logorante, febbricitante, il secondo romanzo che leggo dell'argentina Samanta Schweblin – pubblicato in passato da Rizzoli – è stato riproposto con la classica eleganza minimalista dopo il successo di Kentuki. In un dialogo a punti di vista alterni, fitto e intricato, l'autrice dà voce a una donna e a un bambino. Lui, seduto sul letto di un pronto soccorso che sembra parte di un inquietante limbo, incalza l'interlocutrice con domande continue costringendola a ricordare cosa le sia capitato. Il tempo scarseggia: le ripete così, la allarma. Cosa c'è davvero in ballo? Per vincere l'oblio, Amanda racconta. Di una vacanza in campagna con la figlioletta Nina, lontano da tutto e da tutti. Della quiete del soggiorno, così diversa dall'insopportabile trantran cittadino, tra fiori profumati e limonate rinfrescanti. Delle chiacchiere a bordo piscina con la dirimpettaia, Carla, che indossa un bikini dorato e parla con tormento del figlio David: un bambino con qualcosa fuori posto all'indomani di un piccolo incidente al fiume, che in giardino tumula anatre stecchite con paletta e secchiello. Influenzata dalle ansie dell'altra madre, Amanda vorrebbe partire prima del previsto per la capitale, ma qualcosa va storto nel momento del congedo. Qual è l'attimo in cui ha abbassato la guardia? Quando ha lasciato che i vermi e l'irreparabile prendessero il sopravvento?

Prima o poi succederà qualcosa di brutto”, diceva mia madre, “e quando sarà, voglio averti vicino”.

Inscenato su un sfondo all'apparenza innocuo, il romanzo ci ricorda che la tranquillità perfetta talora implica anche il totale isolamento. In una campagna alla fine del mondo, la protagonista non perde mai di vista quella sua bambina dai modi di principessa – educatissima, stringe un topolino di peluche e siede con la cintura di sicurezza agganciata sul sedile posteriore. Amanda anticipa, calcola i rischi, di notte setaccia la campagna circostante con una torcia. Surreale ma plausibile, la sua è la storia di un genitore che nonostante le accortezze ha perso il controllo. Stranissima, al contempo poetica e delirante, la vicenda garantisce la costruzione di una suspance palpabile e di un microcosmo da un lato appena accennato, dall'altro perfettamente compiuto. Sulla meta scelta da Amanda e Nina – una novella Terra dei fuochi – grava forse una specie di maledizione. Il silenzio è innaturale. Non c'è bestiame. In mancanza di medici, ci si rivolge alla strega che vive coi suoi sette figli nella casa verde. L'acqua ha un cattivo odore, i campi di soia frusciano, radioattivi; i liquami che bagnano le mani non sono rugiada; all'orizzonte si sollevano i pennacchi di fumo delle industrie pesanti. E come non confessare i brividi alla vista dei bambini del luogo: chiazzati di macchie, mutilati, orribilmente deformi?

Strana può essere anche la più normale delle cose. Strano può essere anche solo sentirsi ripetere ogni volta “non è importante” a ogni domanda. Ma se tuo figlio non ha mai risposto prima in quel modo, la quarta volta che gli chiedi perché non mangia, o se ha freddo, o lo mandi a letto, e lui risponde, come balbettando, come se ancora stesse imparando a parlare, “non è importante”, io ti giuro, Amanda, che ti tremano le gambe.

L'incubo bucolico della bravissima Samanta Schweblin ricorda i redivivi del migliore Stephen King e le paranoie di Shirley Jackson, ma allo stesso tempo non è uguale a nient'altro. Con le sue sole 108 pagine, è poco più che un racconto. Il genere d'appartenenza, su carta, sarebbe la fantascienza. Ambientato in un futuro che forse è già qui, contiene infatti una riflessione tutt'altro che sottile sui mali dell'inquinamento, che stravolgono il volto della natura e mettono in pericolo il destino delle generazioni future. Ma non è quello il punto. Ipnotizzato, più lo sfogliavo e più sentivo montare una tensione crescente: sul chi va là, dovevo respirare profondamente, farmi coraggio e proseguire. Perché la distanza di sicurezza del titolo, rubando la definizione all'autrice, è quella che passa tra una mamma e il suo bambino per assicurarsi che stia bene. È un prolungamento del cordone ombelicale, è il filo rosso che li lega. Nel corso della lettura, questo filo si tende, si tende, si tende... E la preoccupazione che stritoli i protagonisti fino all'asfissia o, peggio, che dopo l'ennesimo strattone possa spezzarsi, fa sentire vulnerabili. Fa sentire, indipendentemente dalla biologia, madri.

Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: The Cranberries – Animal Instinct

8 commenti:

  1. Hi, Carolina! Unfortunatly I don't speak Spanish, but thanks for your visit. I'll follow you on your blog.

    Hasta luego!

    RispondiElimina
  2. Tra fantascienza e horror e vicenda famigliare, mi sembra ci possa essere dentro di tutto e di più. Alla faccia del titolo, mi sa che con questo mini-romanzo non è meglio tenere una distanza di sicurezza e procurarselo. :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Assolutamente sì! Una folgorazione! Me no leggo un altro bellissimo e brevissimo, poi, su Weinstein...

      Elimina
  3. Sembra interessante....
    sembra particolare....
    sembra attuale....

    mantiene quel che promette?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Altrimenti non mi sarei sbilanciato nella valutazione. ;)

      Elimina
  4. Oh, come sei sempre serio! 🤔😄

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ahahahah, giammai! Però in questo periodo mi sono ricreduto sui romanzi brevi. Ho letto e amato subito dopo Harvey, di Emma Cline. Novanta pagine, eppure è perfetto così.
      Il prossimo anno sarà quello buono per ricredersi sui racconti?

      Elimina
  5. Ahahah, ok, bene, mi avevi preoccupata 😊
    Libri di racconti, boh, non saprei, mi piacciono quelli della Munro.
    Ho preso un libro di racconti di Carver, ma o io non lo capisco....ne parlano tutti così bene, ne ho letto un paio, poi lo sai come sono io, mi annoio subito purtroppo. Però è mio, non devo restituirlo, prima o poi...
    In questo periodo film. Ho recuperato il penultimo di Tarantino dal nome impronunciabile, ho visto Nico giusto per vedere qualcosa della Nicchiarelli. Ho visto ieri sera Seven, e come all'epoca, non mi ha detto un granché.
    Invece ho visto US, piaciuto molto, molto più del primo di questo regista.
    Oggi mi riguardo, ho appena preso il DVD :"C'era una volta a Hollywood", avevo voglia di rivederlo mi era piaciuto parecchio.
    Quando farai un bel post sul cinema, con la tua meravigliosa scrittura, non su quelle diavolo di serie, ma su qualche bel film serio.
    Ho una curiosità, hai visto questi film:
    - Il ritorno di Andrey Zvyaginstev
    - A taxi driver di Jang Hoon
    - Walk the line

    Li hai visti? Fammi sapere.

    Il libro che proponi certamente mi ha incuriosito, al momento ho una lista infinita davanti, ma io sono imprevedibile, nata a marzo mese indeciso come me.

    RispondiElimina