lunedì 30 marzo 2020

Recensione: La dragunera, di Linda Barbarino

La dragunera, di Linda Barbarino. Il Saggiatore, € 16, pp. 192 |

Il mio sangue meridionale reclama onori e attenzioni. Nato in Sicilia da genitori partenopei, gli rendo degnamente omaggio grazie alla lettura e al cinema. Se a Napoli torno spesso però, soprattutto grazie alle magie di Elena Ferrante, dall’isola manco da troppo tempo. Quasi vent’anni, a pensarci bene, nonostante l’estate scorsa ci abbia fatto brevemente capolino galeotto il bestseller di Stefania Auci. Non era andata bene; purtroppo mi ero stufato presto. Stesso esito, a malincuore, ha avuto anche l’esordio di Linda Barbarino. Accattivante sin dalla copertina, per non parlare poi di una sinossi che prometteva passioni e riflessioni sulle donne ai margini nell’Italia rurale, si è rivelato invece una lettura faticosa nonostante i pareri entusiasti raccolti al Premio Calvino. Il pregio più grande è anche il suo difetto maggiore: un dialetto fitto, presente tanto nelle parti narrative quanto nelle dialogate, che mi ha ricordato perché non sia mai stato attratto dai mondo di Camilleri. Per quanto conosca bene quella parlata, ho trovato stancante districarla pagina dopo pagina, frase dopo frase. Queste duecento pagine scarse, così, mi sono pesate più del previsto, anche se ho preferito leggerle in ventiquattro ore per togliermi il pensiero. Soltanto riassumere le vicende della famiglia Rizzuto aiuta a ricordare del mio interesse iniziale.

Suo fratello si prese a una che si capiva subito era meglio starci lontano, coi capelli ricci e niuri come serpenti. La Dragunera, così la chiamavano, come la tempesta di acqua e vento. Se non fosse stata magara, non c’era che dire: fine, alta, che il marito le arrivava neanche alla spalla, e capelli lucidi come una manta.
In una terra fuori dal tempo s’incrociano i dissapori di due fratelli agli antipodi, Paolo e Biagio, e quelli delle rispettive donne. Mentre il primo onora il padre e la madre attraverso il lavoro nei campi, rifiutando però di accasarsi, il secondo ha fatto di testa sua chiedendo la mano della Dragunera: una giovane seducente e fatale, dalla fama di fattucchiera. Al centro di visioni demoniache, in cui sbuca dal mosto come da un bagno di sangue, la moglie di Biagio pare portare sciagura; se da un lato fa sincero spavento ai maschi scaramantici, dall’altro però fa gonfiare anche le patte dei pantaloni. Perfino il cognato ne è carnalmente attratto: quel Paolo fedele a sé stesso e a Rosa, una prostituta dal cuore d’oro che vive di fantasticherie romantiche e malinconia. All’apparenza memorabili, questi personaggi femminili non interagiscono mai; le loro storie si toccano di sfuggita, con una semplice occhiata in chiesa. Se la donna del titolo nel corso della lettura non viene mai riscattata né indagata, sempre inquadrata nell’ottica di perfidia dei compaesani, più convincente appare la figura di Rosa: venduta come carne da macello, vive nel passato e nei ricordi di un terrazzino profumato di basilico. L’infanzia è una parentesi ormai lasciata alle spalle, inattuabile. E il futuro, altrettanto incerto in fatto d’amore?

Magari non viene o verrà con gli amici a farle gabbo da fuori il cancello. E invece arrivò, ed era come tutto il bene del mondo. Avrebbe voluto fosse solo e sempre per lui il rivolo di piacere che le scorreva in mezzo alle cosce, vergine e puttana solo per lui, per Paolo.
Confuso nella scansione temporale e appesantito da risvolti gratuitamente tragici dell’epilogo, il romanzo ha una trama troppo esile che vive di uno stile a me indigesto. Cosa salvare allora? La ricercatezza linguistica, tuttavia fine a sé stessa. Le suggestioni letterarie, dalla Deledda a Verga. La fascinazione che proviamo davanti alle canzoni straniere alla radio, di cui possiamo apprezzare il ritmo pur non capendo tutte le parole. Il dettaglio non impedisce di apprezzarne la potenza, vero, ma limitarsi a capirne il senso generale finisce per svilire l’originalità del lessico, del suono, delle sfumature. All’inizio ci ho fatto caso, ho prestato attenzione cercando perfino qualche significato sul web. Ho rinunciato strada facendo, poi, scegliendo di badare puramente al racconto in sé; di proseguire per sapere come sarebbe andato a finire e per non lasciare a metà un omaggio dell’editore, che ringrazio di cuore. Anche se i chiaroscuri sfuggono e la particolare cura stilistica, eppure lodata, francamente annoia.
Il mio voto: ★★
Il mio consiglio musicale: Carmen Consoli – Contessa Miseria

11 commenti:

  1. hum.... ho approfittato della solidarietà della c.E. e l'ho scaricato. Ma mi sa che per ora non gli cederò la precedenza :-D

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    1. Bellissima l'iniziativa dell'editore, per altro trattandosi di un romanzo appena uscito. Ma boh, che fatica.

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  2. Mi spiace per la brutta delusione. Devo dire che il romanzo mi incuriosiva, ma a questo punto non credo lo leggerò 😊

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    1. Non voglio sconsigliarlo, ma dipende dal tuo grado di pazienza e perseveranza. Io, soprattutto di questi tempi, non ne ho.

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  3. Non so, non mi convince (sarà che ovviamente la tua recensione fornisce il suo contriibuto)... sembra uno di quei romanzi in cui l'atmosfera dovrebbe avvolgerti completamente ma non ci riesce, colpa anche di personaggi poco interessanti

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    1. Le atmosfere sono la cosa meglio riuscita. Al servizio, però, di una storia che non ingrana, anche a causa dello stile respingente.

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  4. Infatti, avendo sentito della forte presenza dialettale, non ho nemmeno approfittato della possibilità data da Il Saggiatore di scaricarlo gratuitamente. Come te, non mi sono mai avvicinata a Camilleri - se non sbirciando tra le pagine di qualche suo libro per poi rimetterlo a posto - proprio per lo scoglio linguistico: se con altri dialetti sono riuscita ad apprezzare lo stesso la lettura (il romano di Pasolini, il napoletano della Ferrante, il veneto di Pennacchi in Canale Mussolini) il siciliano, quando abbonda nel testo, è per me troppo difficile da capire e da seguire. Da quanto scrivi poi, non credo avrei potuto appassionarmi particolarmente a questo romanzo.

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    1. Tra il limite del siciliano e l'uscita, in un brutto periodo storico, l'autrice è stata un po' sfortunata...

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  5. Considerando che io di dialetto siciliano non ne so nulla, per leggerlo avrei bisogno contemporaneamente dei "sottotitoli". :)

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    1. In questo caso sarebbero strettamente necessari!

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  6. Vado controcorrente rispetto ai commenti precedenti. A me il libro è piaciuto molto e mi ha stupito che si trattasse di un'opera prima. L'autrice ha saputo rendere al meglio la realtà povera di quel tempo e di quella femminile in quel contesto. Davvero brava.

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