Se
anche non conoscessi la storia, basterebbe la levatura di un
personaggio shakespeariano a rendere Il traditore comunque
un'opera riuscitissima. Ma sono nato a Palermo, da un padre
carabiniere, e allora
qualche ricordo riaffiora. Per tutti gli altri, chi fu Tommaso
Buscetta? Aveva la licenza elementare e, con il narcotraffico, aveva
fatto fortuna a sufficienza per condurre un'esistenza da pascià a
Rio. Conquistò l'amore di tre mogli e la simpatia di Falcone, che in
tribunale gli offriva le sigarette e lo illuminava
sulla fine di un'era intitolata a Cosa nostra. Suscitò le antipatie
di Riina, suo rivale per eccellenza, ed ebbe l'ardore di citare in
giudizio Andreotti. Fu il primo dei pentiti. Padre di otto figli, due
dei quali massacrati, ci mise la faccia; tanta
furbizia, dal momento che non confessò mai alcun misfatto; un po' di
cuore. Bellocchio, ottantenne in forma smagliante, lo racconta uomo,
marito, padre. Lo mostra nell'arco di trent'anni, lasciandolo
alticcio e malinconico a un karaoke. Lo indaga nelle contraddizioni e
nell'orgoglio, nel bene e nel male, indugiando con un montaggio
sorrentiniano sulle pressioni psicologiche e il senso di spaesamento.
Alla maestosa prima segue un processo farsesco e urlatissimo, con
personaggi teatrali che cozzano con lo spessore drammaturgico del
resto. Ma quella, eppure, è la giustizia italiana: lo si realizza con
paura, davanti a un'umanità grottesca che schiamazza in TV e gioisce
per l'omicidio di un magistrato. Importante non solo come documento
storico, Il traditore vanta un Favino da palmarès: recita in tre lingue, prende peso, e sfoggia
un misto di dolore e sfrontatezza che straziano. Davanti alla poetica
anacronistica di un gangster decaduto, tuttavia, è giusto entrare in
empatia con l'uomo sradicato ma guai a risultare troppo indulgenti.
Lo ricorda una chiusa che riporta tutto nella giusta prospettiva: la
mafia esiste, ed è una storia bruttissima. Anche quando a
raccontarcela è la bellezza del cinema di cui andare fieri a Cannes.
(8)
Dopo
Il giovane Favoloso, Martone torna al cinema. E in cattedra.
Un altro lungo dramma in costume, un'altra ricostruzione per spiegare
agli spettatori gli uomini e la Storia. Siamo a Capri, all'alba del
conflitto mondiale. È subito scontro fra tre logiche inconciliabili,
incarnate da personaggi in disaccordo fino alla fine. Da un lato
abbiamo gli isolani, religiosi e maneschi, che confidano nella
sicurezza di accasare le figlie femmine con il miglior partito;
dall'altro il medico del villaggio, uomo di scienza con simpatie
comuniste; infine un gruppo di asceti sfaccendati, che praticano il
nudismo e il sesso libero e fanno scalpore per lo scarso contributo
che apportano alla comunità. Alla protagonista tocca intraprendere
uno di questi cammini già tracciati o, coraggiosamente, percorrerne
uno ignoto? Ingiustificatamente pesante, indeciso fra l'intendo
pedagogico e quello teoretico, Capri-Revolution indugia
in scarpinate mozzafiato e in coreografie alla Matisse. Il tentativo,
vincente nel film passato, si ritorce contro il suo stesso autore. La
sua ultima fatica è tanto degna di meraviglia per il comparto
tecnico quanto pedante nell'andatura. Marianna Fontana,
acerba ma sempre intensa, a tratti si lascia intimidire dai concetti
astrusi del suo regista e dalle incongruenze del suo personaggio. La
scagiona un elogio alla libertà che prende infine il largo da
Capri, da Martone, e punta al futuro. Quello minacciato dalla guerra,
che inizia a far tremare gli isolani. Quello in cui tutto è
possibile, in pratica e in teoria. (5,5)
Un
ragazzino sogna la bella vita. Non sembra esserci altra via, a parte
darsi alla criminalità, per ottenerla in fretta. L'euforia della
guerra coinvolge anche i suoi coetanei. I protagonisti hanno
insospettabili facce d'angelo; il sangue è mostrato a malapena.
L'avventatezza e la bellezza della gioventù esplodono ora in parate
di palloncini rossi, ora in colpi di mitra, mentre ci si appassiona
più del previsto a questo racconto di bambini che desideravano
mangiare al tavolo dei grandi. Mettici una bella ragazza che vuole
andare a ballare a Gallipoli; mamme e i fratelli minori che non sanno bene se essere fieri o spaventati per il successo del primogenito.
Aggiungi poi una fotografia scarna, che fotografi con toni
neorealisti una povertà che ama vestirsi di kitsch. Ispirato al
romanzo di Saviano, l'ultimo Giovannesi sembra una copia sbiadita
della Terra dell'abbastanza.
La paranza dei bambini racconta
con coinvolgimento la medesima storia allo sbando; ma cambia dialetto
e scenario, abbassando un po' l'età dei protagonisti. Meno
raffinato, ha un'identica morale di fondo ma la lezione poteva essere
più esemplare. Colpa o merito di una delicatezza che, nella chiusa,
si scambia per mancanza di fermezza. (6,5)
Una
coppia di amici si riunisce per la malattia terminale di uno dei due.
Si incontrano all'ombra del Colosseo, con un cagnone al guinzaglio,
dandosi a un giro di ultime volte fra l'Italia e Barcellona. Domani
è un altro giorno, sin dalla trama risaputa, è un film che non
osa. Collage agrodolce di dialoghi, incontri e addii, ha lo stampo
televisivo e pregi che devono derivare dal film che lo ha ispirato,
Truman. Il solito Mastandrea, non nuovo alle riflessioni sulla
morte, si muove in silenzio alle spalle del compagno di scena con
un'aria malinconica che in questi casi calza a pennello. Giallini,
con un istrionismo alla Proietti, non si scrolla invece di dosso il
solito ruolo del burino dongiovanni ma dal cuore generoso; il ruolo
poteva mostrarne altre sfaccettature, le lacrime e le fragilità, ma
la sceneggiatura non lo aiuta. Simone Spada sceglie di mostrare i
gesti d'affetto, mai la malattia. Non fa mai il salto sperato al
dramma. La sua rilettura di un successo estero, così, resta un buddy
movie solido ma senza guizzi.
Davvero serviva puntare sempre sugli stessi attori, già insieme sul
set in Perfetti sconosciuti?
Davvero serviva ispirarsi agli stranieri, se la commedia all'italiana
ha un nobile e lunghissima tradizione di tragicomiche su ruote? (6)
Non
ho visto niente o quasi di Moretti. Non sapevo niente o quasi del
golpe cileno. Quante probabilità c'erano di trovare commovente un
documentario del regista su un tema tanto ostico? Negli anni
Settanta, il socialista Allende fu assassinato per scongiurare la guerra civile. Le consuete immagini
di repertorio e le parole degli inviati descrivono le
agghiaccianti torture verso i ribelli – scariche di elettricità
negli organi genitali – e la mancanza di pentimento dei militari
finiti sotto processo. Restano l'omertà diffusa, le cicatrici per
gli oltre tremila morti ammazzati, ma per fortuna questa è una
storia a lieto fine. Santiago, Italia sta
infatti dalla parte di chi ha
avuto diritto a un'altra patria. Per ricordare una pagina di storia
recente tristemente sconosciuta. Per ricordarci, fra orgoglio e
amarezza, la magnanimità di cui un tempo siamo stati capaci. I
cileni che riuscirono a scavalcare il muro dell'ambasciata italiana
furono accolti a Roma. Parte di un popolo autoironico e poco
rancoroso, i rifugiati raccontano aneddoti a volte buffi, altre
struggenti. Il documentario serviva non tanto al Cile quanto a noi.
Ce n'era bisogno sì, in un'epoca in cui l'intolleranza è di casa,
al punto che si fa fatica a riconoscere la fotografia di un Paese che
accoglieva a braccia aperte e si angosciava per le tragedie altrui.
Cinematograficamente di scarso valore, l'ultima fatica di Moretti è un
documento umano e mai politico, che non fustiga né Pinochet né
Salvini. Ma evidenzia come eravamo, e le differenze con l'oggi
addolorano. Adesso che, come afferma uno degli intervistati, il Cile
sembriamo noi. (7,5)
Avere
ventisette anni e nutrire un nichilismo fuori moda. Avere ventisette
anni e voler sfondare come fumettista. Qualcuno, Zerocalcare, ci è
riuscito senza montarsi la testa. Non ha dimenticato, perciò, la sua
Roma di borgata né i passi dolorosi degli esordi. Zero, suo
alter-ego nel primo film ispirato alle sue tavole, è un giovane di
periferia che sbarca il lunario fra ripetizioni private e un lavoro
in aeroporto. Legato suo malgrado alle telefonate di mamma Morante,
ammazza il tempo in compagnia dell'esilarante Castellitto e consiglia
a ogni piè sospinto la visione dell'Odio.
Vorrebbe proprio vivere in un film post-adolescenziale girato in
Francia, ma si accontenta di Rebibbia e dei consigli di un armadillo
per amico immaginario. La svolta arriva attraverso una telefonata:
Camille, amica d'infanzia, è morta. Cosa le è successo? E cos'è
successo al gruppo affiatatissimo che formavano da bambini? Accolto
tiepidamente, La profezia dell'armadillo mi
ha divertito ed emozionato da morire. Tenero e rabbioso, fa sfoggio di vestiti
neri e di un cuore puro. Come il suo protagonista, un bravissimo
Simone Liberati, non crede nei compromessi o nel cambiamento.
Condannato a un eterno presente, nella rievocazione di un'infanzia
immaginata a torto senza fine, deve imparare a rinunciare alla
nostalgia per voltare pagine. E colorare, così, nuove storie. (7)
Gli
americani sono sul piede di guerra. Qualcuno, in Sardegna, ha reclamato il possesso
della luna. Preservare gli
equilibri internazionali mandando sul campo una spia: Jacopo Cullin, di genitori isolani ma nato e
cresciuto a Milano, deve sopravvivere all'addestramento per
mimetizzarsi in una terra chiusa allo straniero. Capire come
muoversi, imparare a parlare, significa però abbracciare anche le
proprie origini rinnegate. Completamente inatteso, sorretto da un
umorismo nerissimo e da un cast di grandi caratteristi, l'opera
seconda di Paolo Zucca è un gioiello indipendente che non avrei mai
visto altrimenti. Questo entroterra inesplorato, da vecchio West,
vive parimenti di violenza e splendore. Deserto incontaminato, aperto
a cuor leggero a derive fiabesche, ha una corsia preferenziale verso
il cielo grazie a poeti romantici che si danno a promesse
impossibili. Inseguito da una banda di contadini armati di lupara, il
protagonista si imbatterà in un rifugio paradisiaco; a un certo
punto, senza dire troppo, salteranno fuori perfino sottomarini
statunitensi e militari armati fino ai denti. Commedia strampalata
dalla regia degna di attenzione, L'uomo che comprò la luna
ci conduce nei paesaggi di Figlia mia e nei toni utopici di Tito e gli alieni, galeotto un
satellite solcato di recente anche dall'astronauta Ryan Gosling.
Sembrerebbe un pasticcio, ma invece è capace di portarti lontano
senza passare dal via. Lassù, dove riposano il nonno di Jacopo,
Antonio Gramsci e Grazia Deledda. Dove, fiera, sventola la bandiera
sarda. (7+)
Ancora
la provincia, ancora il dialetto. Questa volta, però, siamo in una
Campania insolita: in una periferia affatto degradante, dove ci si
nobilita con il sogno del pallone. In un primo momento, Un
giorno all'improvviso sembrerebbe
raccontare un rapporto di amore-odio alla Dolan: e lì interessa, con
le sue atmosfere in stile Dardenne; e lì emoziona, grazie alla
tenerezza impareggiabile verso il giovane protagonista. Peccato che
il dramma d'esordio di D'Emilio si perda nella cronaca di
allenamenti di scarso interesse; in amicizie e dissapori presto
abbandonati, lasciando ai margini gli strepiti di una Foglietta ottima ma poco presente in scena e gli sguardi persi di un
adolescente combattuto. A una narrazione fino ad allora verisimile e
pacata, senza furberie, non ho perdonato la cupezza gratuita di un
epilogo tutt'altro che ineluttabile. La storia interpretata da un
dolcissimo Giampiero De Concili non sapeva bene cosa raccontare. I
pregi e i difetti di una convivenza instabile? I personaggi di mamma
e figlio dividono la scena meno del previsto. L'impossibilità di un
cambiamento nel bel mezzo della provincia stagnante? La convocazione del
protagonista dimostrerebbe il contrario. Le conseguenze di quelle che
accade, un giorno all'improvviso? Di improvvisi, a malincuore, si
ricorderanno soprattutto i passaggi della sceneggiatura.
(6)
È
il film che non ti aspetteresti da uno come Veltroni. Politico e
saggista, cosa ha a che spartire con una storia sulla scia di About
a Boy? Era lecito aspettarsi un maggiore impegno; era giusto
confidare in qualcosa di meglio. Ma la sua leggerezza, in poltrona,
spiazza e incuriosisce. In verità presto abbandonato per scandire le
tappe di un ennesimo viaggio on the road, lo spunto iniziale
racconterebbe l'incontro fra due fratelli lontani per età e stili di
vita. Da Roma la strada si allunga fino a Parigi, però, in un tour tanto
dispersivo quanto istintivo scandito dalle visite a un'ex fidanzata omosessuale e a una mamma malata di Alzheimer; cene e concerti in
compagnia della cantante Simona Molinari, qui interprete bella e
convincente. Fresi insegue arcobaleni per professione, e per sport
rifugge le responsabilità. Ma quel fratellino ingessato, che a lungo
gli dà del lei, ha ovviamente qualcosa da insegnargli. Ingenuo
all'inverosimile, C'è tempo glissa sui dispiaceri e non va a fondo, mantenendosi al sicuro in superficie grazie alla piacevolezza del cast e alle
citazioni a Truffaut. Godibilissimo, somiglia a un arcobaleno
duraturo, sbucato all'orizzonte senza acquazzoni in
anticipo. Omaggia I quattrocento colpi,
ma farà colpo più su un pubblico da Giffoni. (5,5)
Ho visto solo Il traditore, bellissimo e coinvolgente, anche nei suoi momenti più farseschi.
RispondiEliminaIl resto mi manca, vuoi perché qui dalle mie parti non è uscito, vuoi perché ho un rifiuto verso il cinema italiano.
In particolare, La profezia dell'armadillo mi terrorizza. Sei uno dei pochissimi a parlarne bene XD
Non posso fare paragoni perché non ho mai letto Zerocalcare, ma il film l'ho trovato una chicca. Ben recitato, scritto con intelligenza e cuore, emozionantissimo. I fan, si sa: sono una brutta bestia, più della critica ufficiale.
EliminaQuanti film! Non ne ho visto nessuno, ma La paranza dei bambini mi incuriosisce 😊
RispondiEliminaTutto merito del festival organizzato a Pescara. :)
EliminaTroppa italianità tutta in un colpo. Non so se ce la posso fare. :D
RispondiEliminaLa paranza dei bambini volevo vederlo, ma l'ho trovato senza sottotitoli e non so se così mi conviene guardarlo. :)
Il traditore lo state esaltando così tanto che sento odore di sopravvalutazone lontano un miglio. Magari non sarà così...
La profezia dell'armadillo film simpatico, e a tratti pure emozionante. A tratti pure senza senso. Tipo io la partecipazione di Panatta non l'ho ancora capita e ne avrei fatto tranquillamente a meno. XD
Gli altri mi sanno un po' di pesantezza, ma magari cercherò di guardare qualcosa...
Eh, il convento ormai passa solo italiani, da quando Riccardo Milani è diventato il direttore artistico... Di roba brutta, a parte l'omaggio in memoria di Vanzina, per fortuna non ce n'era.
EliminaSai che non ho idea di chi sia Panatta, io? Però ho notato che i cameo assurdi, fra la Smutniak spazzina e mamma Pandolfi, si sprecavano. :)
Unico visto, Il traditore: bellissimo, un Favino monumentale e quella parte di storia d'Italia, per me interessantissima, che ancora una volta viene portata al cinema nel modo migliore possibile.
RispondiEliminaAbituato alla mafia di Pif, raccontata con leggerezza e malinconia, temevo di annoiarmi. Bellocchio, ricordo Vincere ad esempio, va presto con le pinze. E invece... Pensa che è stato il secondo film di una sera in cui ne ho visti tre di seguito!
EliminaMi aspettavo di più per C'è tempo, sinceramente.
RispondiEliminaMi spiace quando i film restano superficiali.
Paranza e calcio no, sono stufo di storie ai margini, ne hanno fatte tante e manca quel senso di magia che c'era un tempo in prodotti analoghi. Così come manca quel senso di impotenza neo-neorealista.
Moz-
C'è tempo resta carino, non gli ho per nulla voluto male, ma sembra uno di quei film estivi che danno in TV di pomeriggio. Non so se mi spiego. Ti straconsiglio L'uomo che comprò la luna, invece, con il correlato Tito e gli alieni: fiabe nostrane che potrebbero divertirti moltissimo.
Eliminama che lista interessante! sarà che di base amo il cinema italiano (fatto bene, of course), questi li vedrei tutti, anche quelli che hanno preso un voto meno entusiasmante! il traditore e la paranza dei bambini sono i due in cima alla lista, ma bene o male pure gli altri mi interessano a sufficienza!
RispondiEliminaAspetto le tue impressioni, sapevo che il post ti avrebbe colpito! :)
EliminaBellissima la tua recensione de Il traditore Michele!
RispondiEliminaGrazie mille, Nadia!
EliminaNon amo molto i film italiani (preferisco le fiction), comunque mi incuriosiscono Il Traditore e il fiabesco L'uomo che comprò la luna. :)
RispondiEliminaIo tutto il contrario. Niente fiction, a meno che non ci siano Pif o Saverio Costanzo. :)
Eliminaho visto solo il traditore e la paranza dei bambini, gran bei film, gli altri li devo recuperare xD
RispondiEliminaSe non l'hai visto, recupera La terra dell'abbastanza: superiore, per me, a Giovannesi.
EliminaPs. Grande Gloria Bell, in foto!