mercoledì 4 ottobre 2017

Mr. Ciak: L'inganno, Il gioco di Gerald, Le nostre anime di notte, I peggiori

Una scuola femminile nei boschi. Un frusciare di gonne e chiome. E l'isolamento che, ben presto, viene minacciato dal ritrovamento di un uomo ferito: un mercenario bello come Colin Farrell, finito nella novella più licenziosa di Boccaccio. Il caporale rifiuta Nicole Kidman: come in Stoker, ape regina tiratissima, algida e repressa. Fa innamorare la Dunst, romantica e ingenua maestrina di francese. Si lascia tentare da Elle Fanning, un tornado irresistibile di sguardi in camera e ammiccamenti. A metà tra le passioni dei feuilleton e gli orrori del romanzo gotico – mai distante dai territori della fiaba nera, con personaggi volutamente bidimensionali, senza passato, e castelli nella nebbia – L'inganno accoglie alla porta rovesci di fortuna e inversioni di ruolo. Un gioco di colpe, in cui uomini e donne escono parimenti sconfitti – lo esemplificano le sbarre della straordinaria inquadratura finale. Esempio di cinema d'autore che richiama il pubblico in sala e, a sorpresa, diverte per la scrittura dei dialoghi (molto arguti, a dispetto di una trama esile), l'ultima Coppola è un concentrato di civetteria e tensione erotica che si lascia ammirare con l'acquolina in bocca. Esercizio stilistico pieno di accortezza e ironia, in cui tutto scorre splendido ma banale, incanta con accortezze da bozzetto impressionista (vedasi le attività quotidiane delle allieve, in cui la monotonia è opera d'arte; l'attenzione per le mani e le acconciature, dalla crocchia severa della Kidman alla criniera indomabile della Fanning) e soggioga. Peccato manchi il guizzo. Per nulla distante da ciò che mostrano i trailer, L'inganno è una bomboniera piccola e cesellata in ogni sua componente, ma imperfetta. Se la regista brilla dietro la macchina da presa, resta però imbrigliata nelle maglie delle sceneggiatura – troppo romanzesca, troppo lineare, nonostante la presenza delle tematiche a lei più care (un verdeggiante giardino di vergini omicide, la tipica leziosità di fondo che questa volta non mi ha fatto grande antipatia). E da questo covo di donne e desideri taciuti, che un po' somiglia al paradiso e un po' all'inferno, si esce sì uguali a prima, al contrario del caporale McBurney, ma con lo sguardo pieno di bellezza. Anche l'occhio vuole la sua parte: qui, tutta. (6,5)

Un fine settimana romantico nella casa sul lago, una camicia da notte con ancora il cartellino dell'acquisto, un paio di manette per innocenti fantasie di stupro. Cosa non si fa per salvare un matrimonio che, dopo dieci anni, è già in crisi di identità? A cosa non ci si piega per solleticare l'ego e i boxer di un marito annoiato, che ricorre alla pillola blu e ai giochi di ruolo? E' da uno di questi che prende avvio l'incubo di Jessie: una Carla Gugino straordinaria, che piange, strepita e si sdoppia, con il cadavere del prestante Bruce Greenwood tra le gambe. Un infarto, e la fantasia erotica di una bella coppia di mezza età diventa il delirio di uno degli Stephen King più ardui e intraducibili – purtroppo, una decina di anni fa, del romanzo non ho mai conosciuto la fine, restituito al legittimo proprietario prima del tempo. Una stanza, due personaggi, un flusso di coscienza ininterrotto sul deperire delle relazioni amorose, la fierezza delle donne, i traumi sepolti. Rischioso che si facesse cinema senza scivolare, a tratti, nella noia o nel ridicolo. Per fortuna muove le fila il miglior Mike Flanagan. La sua regia, studiata e mai statica, al sesto film può contare su un cast di tutto rispetto; una sceneggiatura raffinata, quasi di impianto teatrale; qualche trovata particolarmente brillante, ispirata alle allucinazioni di lei, che fa sì che si affastellino ai piedi del letto cani famelici, mostri veri o inventati, presente e passato. Lo spettro di Greenwood, sollevatosi dal tappeto, sobilla così al chiaro di luna e dialoga con la proiezione di un'altra Gugino: quella libera, fresca e pettinata, che non sente né la fame né la sete (ripenso a Buried, a 127 ore) e affronta a occhi aperti i flashback di un lontano giorno di eclissi. Qualcosa si incrina in un epilogo feroce, diluito con lo splatter, la CGI e le spiegazioni di troppo, ma Il gioco di Gerald – trasposizione difficoltosa e sorprendente, in attesa di assistere ai fasti annunciati dell'acclamato It – è un claustrofobico teatrino della mente, tra elaborazione e metafora. Solido quanto la testiera che frena i polsi e la deriva della sua sfortunata protagonista. Profondo come un taglio, nel suo vagare senza pace pur restando fermo immobile. (7)

Essere soli da tanto tempo, con la notte che, a una certa età, mette paura. Perché non passarla insieme, anche a costo che nella minuscola Holt la gente parli e sparli? Suona così, all'incirca, la proposta indecente che Addie fa a Louis nel romanzo postumo di Kent Haruf. Erano vedovi, dirimpettai, e prendevano sonno chiacchierando. Senza pensare al sesso, ma all'amore chissà. Al cinema – si fa per dire, perché Le nostre anime di notte, presentato fuori concorso a Venezia, è una produzione originale Netflix – gli anziani innamorati diventano Jane Fonda e Robert Redford. Lei (che ha sepolto una figlia) senza peli sulla lingua, lui (che ha messo in pericolo i suoi affetti per una relazione extraconiugale) vagamente intimidito all'inizio. Come nel romanzo, si fingono una famiglia attorno al nipotino di Addie, con papà Shoenaerts che alza il gomito e rispolvera di tanto in tanto vecchie recriminatorie. La loro vicinanza, eppure miracolosa, rivela problematiche difficili da ignorare: non sono abbastanza, ottant'anni, per concedersi un po' di sano egoismo? Più fedele del previsto alle pagine rade e laconiche dell'autore scomparso, eccezion fatta per qualche aggiunta che ammorbidisce i toni e amplia un finale altrimenti troppo stringato, il film dell'indiano Ritesh Batra delude a malincuore. Di ingiustificabile foggia televisiva piuttosto che indie, scarico, privo di intimità. Se c'è l'emozione, somiglia più alla leggerezza di un Tutto può succedere che all'inevitabile malinconia delle occasioni perse e ritrovate. Il più grande pregio e il più grande difetto insieme: i protagonisti. Bellissimi, bravissimi: anche troppo. Così tanto da stringersi per l'ultima volta in un compitino troppo piccolo per loro, e da reggerlo interamente; così tanto da tradirla e illuminarla a giorno, questa notte di grilli e confessioni, con la luce di riflettori puntata più sul glamour che sui sentimenti. (5,5)

Fabrizio e Massimo, romani a Napoli, fuggono dall'onta di una mamma truffatrice e crescono una sorella tredicenne. Il primo aspirante avvocato, l'altro manovale in nero. Hanno una Panda scalcagnata, fanno spesa ai minimarket e, se il citofono suona, sono o gli assistenti sociali, o il padrone di casa. Come elevarsi dalla mediocrità, se la Campania nasconde le sue contraddizioni dietro un dito? Come arricchirsi, se alla criminalità spettano le porzioni migliori? Le risposte e le colpe sono da rintracciare nei fumetti. Una maschera (di Maradona), un account cifrato, un'armatura messa su alla bell'e meglio e, con un pene scarabbochiato come simbolo, i protagonisti si improvvisano novelli Robin Hood. Vigilanti che rubano ai ricchi per dare ai poveri, ma sotto compenso. La città e la regia, moderna e fresca, ricordano il cinema dei Manetti Bros. L'idea – eroi di periferia, armati di disperazione e belle speranze – ha il difetto di scontrarsi con il ricordo freschissimo e bellissimo di Lo chiamavano Jeeg Robot. Scapestrata commedia d'azione con i conti in rosso degli italiani e le suggestioni degli americani, da Kick-Ass a Birdman (occhio alla pioggia di luci all'ingresso di un negozietto cinese), I peggiori è meglio di quanto il titolo suggerisce. Merito, soprattutto, di due protagonisti convincenti tanto nei momenti comici quanto nel conflitto (il Lino Guanciale più amato dalle casalinghe italiane e la rivelazione Vincenzo Alfieri, che recita, abbozza e dirige). Si ride spesso e, tocca ammetterlo, più per la scontata verve del dialetto che per la brillantezza della scrittura. Si loda il tentativo, buono soprattutto nella prima metà, di allontanarsi da un cinema piccolo e provinciale. A non decollare, però, è l'indagine, dove un inedito Izzo tenta di incastrare Antonella Attili. Come se si trattasse di una puntata scritta alla buona, eppure decisamente perdonabile, di un serial che potrebbe altrimenti contare sui ritmi e i volti giusti. Un'emozione da poco, per dirla allo Zingaro, a cui chiedevamo tanto così di più. (6)

24 commenti:

  1. il gioco di gerald ce l'ho segnato.. ho letto il romanzo, a fatica perché le scene con i cani mi facevano stare male!XD

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    1. Qui non manca il bel cagnolone, e con tanto di battuta su Cujo. ;)

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  2. Sto vedendo "Le nostre anime...", grandissima classe, tanta tenerezza, secondo me sei stato un pò troppo severo (ma sei molto giovane...). Il gioco di Gerald sarà la mia prossima visione, prima vorrei però rileggere il libro, anche se dopo "IT" non so quanto andrà a vantaggio della visione.

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    1. Immagino, Beatrix, che tu non abbia letto il romanzo che l'ha ispirato. Un raccontino di un centinaio di pagine, più precisamente, che non ricorre mai al discorso diretto, ha un finale un po' tronco, eppure emoziona profondamente. Qui, da lettore, mi è mancato tutto questo. Non mi convincevano nei panni di due vecchini di campagna - soprattutto lei che, chirurgia o non chirurgia, resta tutt'oggi troppo bella per essere vera. Insomma: fa più la suggestione di vederli nuovamente insieme, secondo me, che la potenza della storia.
      Oggettivamente, poi, penso si possa dire che la qualità sia quasi da film di Canale Cinque: da Netflix, e da Haruf, mi aspettavo il meglio. Io che sono giovane, sì, ma con gli anziani piango in automatico. Storia nota.

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    2. Effettivamente mi manca la lettura del libro, al momento, comunque, dei due nel film preferisco lui ammetto. Il libro lo recupererò spero presto

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    3. Lui è perfetto, tutto una ruga. Lei, nonostante il grande equilibrio nella scena in cui parla dell'incidente della figlia, si fa fatica a vederla con le camiciole a quadri e la parrucca grigia posticcia... Recupera tutto Haruf, sì, che merita moltissimo.

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  3. di tutti questi ho visto soltanto l'inganno che non mi è dispiaciuto devo dire la verità ^_^

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    1. Intuivo dalla tua nuova foto, Arwen. ;)
      Visto al cinema martedì scorso, e non è dispiaciuto neanche a me. Visivamente è straordinario. Ma qui si parla soprattutto di libri, perciò resto comunque legato più alla sostanza che alla forma.

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  4. La Coppola ci ha fatto lo stesso effetto: tanta bellezza, poca sostanza. La perfezione senza cuore che lascia indifferenti.

    Sulla trasposizione di Haruf secondo me gioca un ruolo fondamentale la visione del film, visto in una Sala Grande con lo schermo e l'impianto migliore, ha fatto il suo dovere, commuovendo, prendendo soprattutto. E lo dico fresca di lettura, cosa che non gioca mai a favore della visione, e pure la Fonda, borghese di campagna, l'ho trovata perfetta. Non so se in visione casalinga su Netflix mantenga lo stesso effetto.

    Il Gerald di King girava in casa qualche tempo fa, ma non aveva convinto un giovine più appassionato di me del Re. Il film mi pareva un thrillerino alla rai2, potrei metterlo in lista ma qualcosa non mi convince ancora.

    Salto invece I peggiori, non perchè li ritenga davvero tali, ma perchè le priorità sono altre.

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    1. Sarà stato il piccolo schermo, sì, a farmi sembrare Le nostre anime di notte ancora più limitato, ancora più televisivo.

      Ravvediti sul Gioco di Gerald, con Halloween vicino. Il romanzo dovrei acquistarlo e riprenderlo in mano, ma il film - difettucci del finale a parte - funziona dall'inizio alla fine, e un passaggio in sala lo meritava.

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  5. Anche per me quello della Coppola si è rivelato giusto un esercizio di stile. Bello, ma pur sempre un esercizio di stile.
    A questo punto mi domando perché abbia deciso di girare questo remake, anziché dedicarsi a un progetto tutto suo e più personale.

    Il gioco di Gerald lo vedrò. Se non altro per capire se Carla Gugino, che fino ad ora non mi era mai sembrata un'attrice fenomenale, è davvero così brava o addirittura straordinaria. Really? :)

    Our Souls at Night se non ha esaltato un "fan dei vecchietti" come te, figuriamoci me... :D
    E però il paragone con Tutto può succedere mi incuriosisce.

    I peggiori guardabile, ma non tra i migliori film italiani visti di recente. Potevano fare di peggio, ma anche di (molto) meglio.

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    1. Purtroppo (o per fortuna, dati i nostri rapporti travagliati?) c'era poco di Sofia, eleganza sopraffina a parte.

      Non indispensabili questi vecchietti, no, mentre ha dell'impressionante la prova della Gugino ammanettata. Un'idea semplice, ma che non si esaurisce dopo pochi minuti. E una serie di monologhi, di vaneggiamenti, che mi hanno fatto vedere la "mamma di Spy Kids" con occhi nuovi. Bella e sottovalutata, fino a oggi.

      Sui Peggiori, sì, concordiamo. Era più vicino a Smetto quando voglio che a Jeeg, forse, e già quello poco mi entusiasma...

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  6. L'inganno mi intriga molto, vorrei vederlo presto :)
    Prima di vedere il film, mi sono ripromessa di leggere haruf, ne sento parlare benissimo!!

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    1. Fammi sapere su quest'ultima Coppola, che pare non convincere i fan di lunga data - e io, se non si fosse capito, non faccio parte della loro squadra.

      Haruf leggilo e poi guardalo, senza fretta. Un filmetto.

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  7. Ho visto l'inganno e non so, mi sono trovata a ridere mio malgrado. Senza contare la tristezza di ritrovare la Dunst così invecchiata. Mah.
    Quando si sono accese le luci in sala mi veniva solo da dire quella famosa frase di Fantozzi!
    Sarò diventata cattivella?
    Lea

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    1. Ah, no, a me la frase di Fantozzi non è venuta in mente per fortuna. E ho riso anch'io (soprattutto nella parte in cui le ragazze fanno a gara, vantandosi di chi avesse fatto la torta di mele), ma penso fosse nei patti.
      Non mi ha convinto pienamente, la Coppola non lo fa quasi mai, ma ho gradito lì per lì. Sarà che mi faccio confondere dalle cose belle. (Sì, qui la Dunst stava maluccio. Eppure a Cannes, tra la Kidman e la Fanning, non sfigurava affatto. Sarà che non le dona più il film in costume? Fatto sta, mai piaciuta.)

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  8. Il gioco di Gerald è una delle migliori trasposizioni di King, non facile col materiale di partenza, eppure Flanagan ha vinto quindi tutti gli onori a lui. E alla Cugino.
    Per quanto riguarda la Coppola, splendido film ma poco emozionante, soprattutto per chi, come me, già conosceva inizio, svolgimento e fine della vicenda e si aspettava più approfondimento psicologico.

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    1. Inizio, svolgimento e fine, purtroppo, si intuivano sin da subito. Avrei puntato anch'io, sì, sull'approfondimento psicologico e su un rovesciamento finale. La Kidman che trema davanti al corpo seminudo di Farrell, però, è di una bravura grande. Gonfia in viso e tutto.

      Su Gerald concordiamo, ma il libro (ufficialmente, almeno) mi manca.

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  9. Ho visto solo Il gioco di Gerald, e mi è piaciuto molto. Forse non dovrei dirlo dato che non ho letto il libro, però mi è sembrato uno dei migliori adattamenti di King per la televisione :) la Gugino, poi, è stata spettacolare nel reggere quasi da sola un film ambientato in un'unica location. Però non mi ha invogliata a leggere il libro, anzi: sono stata abbastanza soddisfatta da pensare "Ok, di questo la storia ora la so e non la devo recuperare" XD

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    1. Penso sia oggettivamente una trasposizione talmente esaustiva e riuscita, sì, che a fine visione il pensiero sorga spontaneo. Leggo benissimo anche di un altro film Netflix ispirato a King, 1922, tratto da un racconto di cui sono a digiuno. Sarà una sorpresa anche per me, quello lì. :)

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  10. Gerald ormai è una visione che devo ... lo hanno visto praticamente tutti. La Coppola mi ha deluso ho apprezzato molto di più l'originale ... ed io di solito non sono un conservatore in quel senso

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  11. Nella sfida di Denise mi è uscito Le nostre anime di notte e, seppur non sia il mio genere, proverò a dargli una possibilità. Dopo guarderò il film, sperando che non deluda anche me!

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