Mia
madre è un palazzo di otto piani.
Autrice:
Piera Ventre
Editore:
Neri Pozza
Numero
di pagine: 425
Prezzo:
€ 18,00
Sinossi:
Nella
prima metà degli anni Settanta, Stella, detta a scuola stelladamore,
col nome attaccato al cognome, ha un palazzo intero per madre. A
Napoli, tutti lo chiamano Palazzokimbo per via dell’enorme insegna
pubblicitaria che campeggia sul tetto. Chili e chili di ringhiere,
porte blindate, chiavistelli… un clangore di ferro risuona per i
suoi otto piani, fino alla cima, una distesa asfaltata e ricoperta di
antenne, da cui si scorge tutta la città, compresa la striscia di
mare dove si erge la Saint-Gobain, la vetreria proprietaria degli
appartamenti in cui vive il personale della fabbrica. Settanta
famiglie di operai, come il papà di Stella, e impiegati ed
elettricisti che hanno a che fare con silice, ossidi, nitrati e
amianto, e rientrano a casa coi vestiti che sopra i baveri sembra vi
sia uno spolvero di talco. All’ottavo piano abita la famiglia
D’Amore. Ci sono i genitori, zia Marina, la sorella signorina di
papà, i nonni paterni, Stella e sua sorella Angela. C’è pure un
gatto, battezzato Otto, per un semplice calcolo d’aggiunta. Tanti
D’Amore, e ciascuno con un passo e una voce, un modo di sbattere le
porte, di strascicare i piedi, di richiudere sportelli, di calibrare
il volume della televisione. Quattro piani sotto vive la signora
Zazzà, che calza sempre le pantofole, indossa una quantità di
stracci variopinti e cela un segreto che nessuno conosce. Quando non
si aggira per Palazzokimbo, Stella trascorre il tempo incantato della
sua infanzia con Consiglia, l’amica del cuore coi capelli rossi che
le sfiammano lampi sulle spalle, le guance accese e la lingua
velenosa. Nel ventre di Palazzokimbo penetrano, però, anche i fatti
di fuori, gli eventi terribili della fine degli anni Settanta: la
deindustrializzazione, il rapimento Moro, la strage di Bologna…
L’esistenza dignitosa della brulicante umanità di Palazzokimbo
appare allora soltanto come una fugace parentesi, e l’infanzia
incantata di Stella come un breve preludio alla consapevolezza dei
guasti della vita che l’età adulta dona.
La recensione
“Non
si chiedeva amore alla morte. Alla morte, tutt'al più si poteva
domandare solo pietà, un'avara proproga sull'inevitabile. A Napoli,
invece, si accarezzavano teschi come se si trattasse di lisciare il
pelo ai gatti. Si vezzeggiava l'oscuro per il terrore di venirne
divorati.” Torno alla mia tesi tornando in visita, tra le
pagine di un libro, nella bella Napoli. Città sismica,
contraddittoria come nessuna, che si dirama ai piedi di un Vesuvio
sonnecchiante con i suoi dedali di vicoli e mercatini, monumenti e
fabbriche. Il sacro e il profano all'ombra di un pericolo che dorme.
La descriveva malsicura e preziosa, passeggera, il protagonista di
una commedia di Manlio Santanelli intitolata Uscita di emergenza.
L'ex suggeritore teatrale, di ritorno dalle tournée, si avvicinava
alla sua casa, alla sua gente, in punta di piedi: trattenendo il
fiato. Non beduino ma teatrante fiero e disincantato, si paragonava a
un abitatore del deserto che raggiungeva l'accampamento dopo una
spedizione. Avrebbe rivisto la sua tenda, oltre l'ultima duna? E lui,
avrebbe trovato le solite facce amiche, la solita Napoli, scrutando
l'orizzonte dopo un lungo viaggio?
Una simile precarietà, lo stesso
amore, nel romanzo di esordio di Piera Ventre. Una lettura lunga e
potente, a cui avvicinarsi con il giusto stato d'animo. Perché ogni
pagina, viscerale e sincera, vuole essere letta e interiorizzata.
Perché, se amanti di letture scorrevoli e dinamiche, le storie degli
abitanti di un condominio imponente, in questa imponente opera prima,
potrebbero non interessare. Si chiama Palazzokimbo. Otto
piani di cemento e lamiere, quattrocento pagine di vita vissuta. In
cima, tanto alti da sfiorare il cielo, vivono Stella D'Amore e la sua
numerosa famiglia. Si dividono l'ossigeno e il bagno in sette; otto,
considerando un gatto randagio che proprio non vuole imparare a usare
la lettiera. Un papà che lavora in fabbrica e, a orari impossibili,
sbuca dall'ascensore stanco e intossicato; una mamma dalla voce
cristallina e dalle curve abbondanti, che ha sempre un proverbio per
tutto; una zia signorina che si strugge pensando all'amore
cantato a Sanremo; una nonna ammalata e un nonno dalla memoria
ballerina; una sorella minore, Angela, con cui accapigliarsi e
confrontarsi mentre gli anni '70 cedono il passo agli '80. Ai piani
di sotto, qualche parente attaccabrighe; una bambina troppo
perfettina per andarci d'accordo; l'inquietante Zazzà – forse una
strega, forse una povera vecchia ammalata di solitudine – che parla
un dialetto talmente stretto da risultare indecifrabile. Ad aprirci
le porte, ad accoglierci in casa consigliando di metterci comodi
finché dura, la primogenita: narratrice bambina, brillante e
linguacciuta, Stella guarda l'infanzia e l'adolescenza dalla sommità
del suo grigio grattacielo. Dall'altra parte di un paio di occhiali a
fondo di bottiglia.
Tutto appare una scoperta, allora: le scuole elementari e poi le medie, la prima cotta, la passione per la lettura, l'idea di abbellire la verità nei temi in classe. Tutto, in fondo, è magia: il malocchio che porta i mal di testa; i denti da latte incastrati nelle crepe dei muri e affidati alla benevolenza di Sant'Antonio; la cruenta uccisione del maiale a gennaio e il laborioso processo per la preparazione della perfetta salsa di pomodo; i fuochi d'artificio a Capodanno, che trasformano la mezzanotte in pieno giorno. Stringendo la cinghia, si risparmia abbastanza da potercisi permettere il televisore a colori: c'è poco da invidiarli, così, quei cuginastri antipatici; i capelli di Ron Howard in Happy Days sono rossissimi sì; l'attualità, senza la vaghezza del bianco e nero, fa spavento. Gli attentati terroristici, la strage di Ustica, il terremoto dell'Irpinia. Palazzokimbo vacilla, ma regge agli urti del destino. Stella cresce in altezza, ma non dimentica se stessa. Il napoletano si fa secco, ma non muore. Dopo testi brevi e racconti, l'autrice – campana di nascita, toscana d'adozione – si dedica alla narrativa, arrivando finalista al prestigioso Premio Neri Pozza. Scrive ciò che sa, come recita il consiglio che tutti gli aspiranti scrittori si sono sentiti rivolgere almeno una volta nella vita. Il nostro, però, è un bagaglio di conoscenze condiviso. Piera scrive cose che, per sentito dire, conosco bene anch'io. Figlio di genitori napoletani e ciarlieri, coetanei dell'autrice, ho trovato in questo Palazzokimbo abbastanza spazio per noi quattro. Ci somigliavamo. Foto di famiglia con soggetti diversi e pose simili; soprattutto, con lo stesso passato. Parlo di radici e penso alla Ferrante, all'Amica geniale; dico che in Palazzokimbo, non altrettanto noto, c'è però molta più Napoli. La musicalità degli accenti, i raudi e i tricchi-tracchi, i detti saggi, i colori sgargianti e la decadenza sotterranea. C'è che per l'autrice, che di cognome fa Ventre, la scrittura è proprio questione di pancia. Carnalità. Liquido amniotico che salva la sirena Partenope dal suicidio e, delicatamente, la restituisce al suo mare.
Palazzokimbo non parla di niente. Quel niente, suggerito così, diventa il tuo tutto.
Tutto appare una scoperta, allora: le scuole elementari e poi le medie, la prima cotta, la passione per la lettura, l'idea di abbellire la verità nei temi in classe. Tutto, in fondo, è magia: il malocchio che porta i mal di testa; i denti da latte incastrati nelle crepe dei muri e affidati alla benevolenza di Sant'Antonio; la cruenta uccisione del maiale a gennaio e il laborioso processo per la preparazione della perfetta salsa di pomodo; i fuochi d'artificio a Capodanno, che trasformano la mezzanotte in pieno giorno. Stringendo la cinghia, si risparmia abbastanza da potercisi permettere il televisore a colori: c'è poco da invidiarli, così, quei cuginastri antipatici; i capelli di Ron Howard in Happy Days sono rossissimi sì; l'attualità, senza la vaghezza del bianco e nero, fa spavento. Gli attentati terroristici, la strage di Ustica, il terremoto dell'Irpinia. Palazzokimbo vacilla, ma regge agli urti del destino. Stella cresce in altezza, ma non dimentica se stessa. Il napoletano si fa secco, ma non muore. Dopo testi brevi e racconti, l'autrice – campana di nascita, toscana d'adozione – si dedica alla narrativa, arrivando finalista al prestigioso Premio Neri Pozza. Scrive ciò che sa, come recita il consiglio che tutti gli aspiranti scrittori si sono sentiti rivolgere almeno una volta nella vita. Il nostro, però, è un bagaglio di conoscenze condiviso. Piera scrive cose che, per sentito dire, conosco bene anch'io. Figlio di genitori napoletani e ciarlieri, coetanei dell'autrice, ho trovato in questo Palazzokimbo abbastanza spazio per noi quattro. Ci somigliavamo. Foto di famiglia con soggetti diversi e pose simili; soprattutto, con lo stesso passato. Parlo di radici e penso alla Ferrante, all'Amica geniale; dico che in Palazzokimbo, non altrettanto noto, c'è però molta più Napoli. La musicalità degli accenti, i raudi e i tricchi-tracchi, i detti saggi, i colori sgargianti e la decadenza sotterranea. C'è che per l'autrice, che di cognome fa Ventre, la scrittura è proprio questione di pancia. Carnalità. Liquido amniotico che salva la sirena Partenope dal suicidio e, delicatamente, la restituisce al suo mare.
Palazzokimbo non parla di niente. Quel niente, suggerito così, diventa il tuo tutto.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Pino Daniele – Napul'è
Ho intenzione di leggerlo entro l'anno e la tua recensione mi fa venire ancora più voglia!!! :)
RispondiEliminaLeggi, leggi. Nel "listone" non mancherà. :)
EliminaAvevo intuito parte del potenziale e lo leggerò di certo; in questo periodo ho un conto aperto con la Napoli della Petti, quindi magari aspetterò di aver finito le peregrinazioni da quella parte della città prima di avventurarmi in quella di Piera Ventre. Questo titolo mi fa pensare al caffè, alla fragranza che resta sospesa nelle scale condominiali: belle sensazioni :)
RispondiEliminaPenso proprio che ti piacerebbe. Nella sua semplicità, bellissimo. :)
EliminaNon ho capito se possa essere un mattonazzo bello pesantuccio, oppure una lettura tutto sommato leggera e gradevole.
RispondiEliminaO forse entrambe le cose contemporaneamente? :)
Eh, forse entrambe le cose? :)
EliminaDa una parte, tutto è talmente semplice e realistico che si segue con estrema leggerezza. Dall'altra, se si amano le grandi svolte e le scene madri, potrebbe risultare inesorabile: oggettivamente, non c'è niente di che in ballo.
è un genere, un tipo di storie... che "fanno per me", quindi appena mi libero di qualche lettura, lo inserisco! ;)
RispondiEliminaDecisamente per te, confermo. :)
EliminaBella recensione! Ho commentato anche il post sul film "A spasso con Bob"!😽 Ti seguo su Instagram, ho visto il gatto Ciro, è molto bello!😊 A presto!👋
RispondiEliminahttp://gattaracinefila.blogspot.it/
Ciao Vanessa, ti ringrazio!
EliminaPasso presto sul tuo blog.
Mi intriga, leggendo la tua recensione pensavo alla Ferrante, che poi hai citato. Metto subito in WL!
RispondiEliminaInevitabilmente, Tessa, il pensiero corre lì. :)
EliminaPerò in Palazzokimbo ci sono una lingua, un dialetto, molto più vivi. Autrice bravissima, oh.