lunedì 29 agosto 2016

Recensione: Non aspettare la notte, di Valentina D'Urbano

Non ti innamori delle cose perfette, senza segni. Le cose perfette sono di tutti. Ti innamori delle zone d'ombra, delle crepe, delle storture che vedi e senti dentro, che ti appartengono. Ti innamori di chi è riuscito a sopravvivere.

Titolo: Non aspettare la notte
Autrice: Valentina D'Urbano
Editore: Longanesi
Numero di pagine: 377
Prezzo: € 16,90
Sinossi: Giugno 1994. Roma sta per affrontare un’altra estate di turisti e afa quando ad Angelica viene offerta una via di fuga: la grande villa in campagna di suo nonno, a Borgo Gallico. Lì potrà riposarsi dagli studi di giurisprudenza. E potrà continuare a nascondersi. Perché a soli vent’anni Angelica è segnata dalla vita non soltanto nell’animo ma anche su tutto il corpo. Dopo l’incidente d’auto in cui sua madre è morta, Angelica infatti, pur essendo bellissima, è coperta da cicatrici. Per questo indossa sempre abiti lunghi e un cappello a tesa larga. Ma nessuno può nascondersi per sempre. A scoprirla sarà Tommaso, un ragazzo di Borgo Gallico che la incrocia per caso e che non riesce più a dimenticarla. Anche se non la può vedere bene, perché Tommaso ha una malattia degenerativa agli occhi e sono sempre più i giorni neri dei momenti di luce. Ma non importa, perché Tommaso ha una Polaroid, con cui può immortalare anche le cose che sul momento non vede, così da poterle riguardare quando recupera la vista. In quelle foto, Angelica è bellissima, senza cicatrici, e Tommaso se ne innamora. E con il suo amore e la sua allegria la coinvolge, nonostante le ritrosie. Ma proprio quando sembra che sia possibile non aspettare la notte, la notte li travolge...
                                                   La recensione
Le interiora aggrovigliate, gli arrovellamenti interiori, il senso d'amaro in fondo alla gola. Sensazioni familiari, con un'autrice come Valentina D'Urbano. Sanguigna e spietata. Una che scrive di pancia: pane al pane, vino al vino. Una che, a fine lettura, ti strema, nella testa e nel fisico. L'ho scoperta qualche estate fa, di questi tempi. E, nel ritardo imperdonabile, la felicità di avere qualche altro romanzo dei suoi da recuperare, ritornando sui miei passi. La felicità, o una specie: quella concessa da storie rabbiose, ruvide, vere. Senza pace. Non sono tagliato per la gioia eterna, si sa, e i libri sul comò assecondano stati d'animo a cui non si sfugge con una semplice alzata di spalle. Quelli di Valentina li ho letti in stato febbrile e son finiti in fretta; poi li ho aspettati, autunno dopo autunno. Nel mentre, sbocconcellavo le quarte di copertina, leggevo le interviste e le prime indiscrezioni, ingannavo l'attesa dedicandomi ad altro. Per poi mollare tutto – romanzi iniziati e subito riposti, gente, mondo – al trillo del postino. Quest'anno, la notte prima ho sentito il letto ballare; i telegiornali del mattino mi hanno spiegato perché. E l'arrivo del pacco da scartare, della posta, si è caricato di un altro significato. I libri, la sola cosa bella in una giornata passata col fiato trattenuto e la tivù che saltava impazzita da un canale all'altro, come se l'angoscia, poi, non fosse già abbastanza. Non aspettare la notte non ha fatto eccezione. Arrivato a destinazione, è stato un pensiero fisso e ricorrente per qualche giorno. Un ospite che ho accolto sulle lenzuola sfatte. E, all'ultima pagina, le sensazioni erano quelle lì, ormai ricorrenti. Ma cambiava il senso: il nodo da marinaio alle budella, il rumore dei pensieri, il gusto dell'amaro in agguato... Non aspettare la notte mi ha voluto pensieroso e incupito, stranamente silenzioso. Dentro, più combattuto che mai. Il mio dubbio, di solito, fa così: se la D'Urbano ferisce personaggi e lettori, allora com'è che le si vuole così bene? Questa volta, invece, mi chiedevo: perché questo patema d'animo, questo groppo giusto qui, se quello che provo non è struggimento? Pronto a farmi spezzare il cuore ancora, mi sono accorto che gli effetti erano simili, ma la causa scatenante era un'altra: le storie che non fai tue fino in fondo, infatti, frustrano e amareggiano. E alle cattive letture non dai peso, anzi: ti ci fai una bella risata su. Quelle che non metti a fuoco e ti sfugge il motivo, al contrario, ti fanno ricercare il bandolo della matassa: tornare sulle tue orme, in rewind, per sapere dove tu e i protagonisti, a un certo punto, vi siete persi di vista. Mando indietro veloce, e il sole estivo anticipa il buio del titolo: ci sono due ragazzi, vent'anni tondi tondi, che in un'estate degli anni Novanta s'innamorano a piccoli passi in un borgo della Toscana. 
Lei, ricca e in vacanza. Lui, cameriere povero in canna che da lì non si è mai schiodato. Anticipano la loro comparsa in paese un cappello scuro, a tesa larga, e l'assordante crescendo di un Ciao a pezzi. Le voci. Angelica ha un nome che è una presa in giro: sul corpo, un reticolo di cicatrici insanabili; in eredità, l'inferno di una madre suicida che ha cercato di trascinarsela appresso nel salto fatale. Veste a lutto, parla poco, e quando parla risponde a tono. Tommaso, alto e allampanato, i capelli come un cespuglio indomabile, è mezzo cieco, e rischia di diventarlo completamente: la sua diagnosi parla forte e chiaro. Si vedono – be', lui non la vede bene, perciò le scatta una foto con la Polaroid – e si fanno bene a vicenda. Male, infine, come succede quando vorresti proteggere l'altro dai tuoi demoni, dalle tuo prognosi, e per sbaglio lo calci via. Incurante, lì per lì, che l'amore è forte ma l'orgoglio di più, e che qualcuno potrebbe tenere a noi abbastanza da esaudire alla lettera i nostri desideri segreti. Anche se sono sbagliati. La formula è quella vincente: un grande amore, due protagonisti tormentati e cocciuti come muli, la tragedia che affiora. Quella scrittura di cui ti fidi, questa volta, si cimenta con un sottile cambiamento a cui, nonostante le quattrocento pagine, non ti abitui. Non ho preso bene le misure, io. Non ho considerato che, con i sentimenti in prima fila, Non aspettare la notte potesse non essere nelle mie corde. Ma non erano i sentimenti, forse, la benedizione e la rovina dei ragazzi della Fortezza? Alfredo e Beatrice, nelle loro palazzine occupate, non parlavano a lungo d'amore? 
Perché sui precedenti non si incollavano le etichette e le scusanti, quando quest'ultimo ha la stessa autrice, lo stesso editore, la stessa ispirazione, le stesse insidie? Ci ho pensato, mi sono dato ai confronti, ma alla resa dei conti non ho capito cosa questi Angelica e Tommaso, sfortunati e imperfetti, credibilissimi, avessero di sbagliato. La D'Urbano cambia, e mi ha trovato in un giorno in cui ero retrivo alle modifiche, distratto, e più sorridente e speranzosa, positiva, quasi non la riconoscevo nel traffico dell'ora di punta. Gli ambienti sono confortevoli e un po' polverosi, quelli dei luoghi di villeggiatura; il punto di vista è prevalentemente femminile, e io preferivo Tommaso ad Angelica; la dimensione corale, di solito così accentuata – Vadim e Alan chi se li scorda? -, rinuncia a qualche comprimario significativo per concentrarsi sui due. Se un amore assoluto è il cardine, non c'è trucco e non c'è inganno. Le maniglie non cigolano, il legno della struttura non cede e Valentina D'Urbano rende fruibile un dramma che, se non fosse stato per il suo nome in copertina, non avrei letto. E, forse, non ne avrei sentito la mancanza. Non pensavo mi si addicesse. Non pensavo le si addicesse. La voce da fumatrice si addolcisce, le parole pure. E mi è mancato il resto. Le ossa e i nervi. La bile che sale. Il graffio, qui attenuato: un raschio in sottofondo. Non aspettare la notte è più adolescenziale (ma io ho ventidue anni, mica duecento), lieto (ma ci sono giorni buoni anche per i disgraziati), a modo (ma, se il motorino non parte, parte in automatico la bestemmia). Eclatante nei gesti di bontà e romantico, come succede in quei film che, nel momento clou, strappano l'applauso. E' una notte meno cupa: artificiale. Non la si teme per davvero. Le serrande abbassate, le tende tese e del buio in sala, per una volta, poca paura. Nelle ombre, non si muovono i mostri dell'infanzia. Il vociare in platea te lo giura: finalmente, andrà bene. Il fascio di luce del proiettore picchia sullo schermo: sembra la fine del tunnel. Si vede sin da qui.
Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale: Le luci della centrale elettrica – Macbeth nella nebbia

22 commenti:

  1. Il tuo pensiero lo conoscevo già, ne abbiamo parlato a lungo; anche io ho trovato una D'Urbano meno cupa ma questo non mi ha più di tanto destabilizzato. Hai ragione, hai ventidue anni, non duecento ma forse l'atmosfera di questo libro è più comprensibile a chi, come me, adolescente lo era in quegli anni perché questa storia si aggrappa ai ricordi, quelli di una polaroid con il tuo fidanzatino, quando non c'erano i cellulari ad immortalare ogni minimo istante, quelli del ciao che se si accendeva eri fortunato ma che quando lo faceva ti portava in capo al mondo, quelli delle attese, che se abitavi lontano non c'era whatsapp o Skype. Ecco a me forse ha fatto tanto questo... ;)

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    1. Dipende dai momenti. Dipende un po' dai gusti. Al solito, direi. Una blogger - tua coetanea, all'incirca, o almeno penso - mi ha scritto proprio in chat perché, già a pagine cento, lo sentiva troppo diverso. Se vorrà, interverrà lei stessa più in là. O, magari, cambierà idea leggendo leggendo. :)

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  2. Devo leggerlo e farmi un'opinione perché amo la D'Urbano e sono un'inguaribile romantica. Le storie d'amore hanno una presa diretta sul mio bottone 'acquista', e allora non importa se mi fanno male. Devo leggerle.
    Ogni tanto ho bisogno della mia dose di ottimismo e, di solito, tra le pagine la trovo :)

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    1. Questa, forse, non fa male abbastanza.
      Ecco il difetto. Mi dirai. :)

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  3. Penso di poter riuscire a farne a meno (peccato per quella polaroid... m'ispirava così tanto!).
    Forse, in fondo, non era non era non era per te... aspettare la notte. 🙃

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  4. Quello che penso io di questo romanzo lo sai già. Che non ci siano i colpi allo stomaco della solita D'Urbano è vero, ma a me ha preso in altri modi, forse anch'io come Daniela l'ho letto con un occhio nostalgico alla mia giovinezza, forse anche per qualcos'altro che adesso non riesco ad afferrare. Chissà...
    Stefi

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    1. A me è sembrato troppo per ragazzi, troppo focalizzato sulla storia d'amore. E potrei tranquillamente dire lo stesso dei precedenti - fatta eccezione per Acquanera, che ho adorato -, e invece non mi verrebbe mai da consigliarli così, a cuor leggero, a un lettore adolescente.

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  5. Mi incuriosisce questa "nuova" D'Urbanio, anche se l'accoppiata "amore e malattia" di solito non fa per me. Lo leggerò, prima o poi, e ti farò sapere. baci

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  6. In realtà, a me le storie d'amore assolute, totali, non piacciono. Ci voglio una contaminazione o, almeno, morti, catastrofi e piogge di cavallette. Questo, in cui il binomio c'è ma non troppo, potrebbe piacere più a te. :)

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  7. E io che non sono più un'adolescente e nemmeno una fanciulla in fiore da tempo che faccio?

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    1. Pare che per chi gli anni '90 se li ricorda, stando a Stefi e Daniela, potrebbe essere un bell'amarcord, tra Ciao, cassette e Polaroid.
      Conoscendo un po' i tuoi gusti, però, direi che non è il romanzo che devi correre a comprare.

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    2. Ti ringrazio.
      Mi piace questo scambio di opinioni fra persone che,pur non conoscendosi personalmente,sono affiatate grazie all'amore per i libri.
      Per la cronaca,ho appena cominciato"La signora di Widfell Hall":avevo bisogno di una buona lettura dopo un obbrobrio spacciato per thriller.

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    3. Grazie a te e sì, quello è il bello!
      Dopo una sòla, giusto darsi ai classici.
      Io sono alla fine di L'imperfetta. Tra la tua Sicilia e le protagoniste femminile di una Roggeri, potrebbe piacerti. L'unica riserva (che poi è anche la mia) è per lo stile, molto lirico.
      C'è a chi piace e a chi no. Io, questa volta, non l'ho capito ancora.

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  8. Non so... forse seguirò il tuo consiglio e darò la precedenza ad altri libri di Valentina... però sotto sotto mi ispira, forse perché gli anni Novanta erano quelli della mia adolescenza.
    Lo tengo per un momento di nostalgia.

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    1. Tu sei a quota uno, con la D'Urbano, quindi mi aspetto che giunga l'ora dei recuperi. E non transigo! :-P

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  9. Questa volta mi trovi assolutamente d'accordo col tuo parere! Anche io non ho sentito questo libro come gli altri che ho letto di Valentina. Non sono proprio riuscita a entrare in empatia con Angelica e mi è mancato anche quel non so che di speciale che hanno sempre i suoi libri...
    Anche io però mi consolerò con gli altri due suoi vecchi romanzi che ancora devo leggere :D Alfredo e Quella vita che ci manca, sperando che prima o poi mi sforni un nuovo Acquanera :3

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    1. Accanto a Acquanera, Quella vita che ci manca è il mio preferito. Ti aspettano belle, bellissime letture!
      Anch'io ho avuto qualche problema con Angelina, mentre Tommaso si fa volere proprio bene. Solo che, soprattutto dopo la "separazione", di lui sappiamo poco e niente. E mi sarebbe piaciuto sapere che c'è, in questo buio impenetrabile. Passata la notte, comunque, aspetto già il prossimo!

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    2. Sì, Tommaso è impossibile non amarlo! Angelica è un'altra storia... forse è impossibile non desiderare di prenderla a schiaffi :P
      Anche io aspetto già il prossimo *o* mi sa che ci toccherà aspettare un bel po' però!
      Intanto recupererò Quella vita che ci manca ^.^

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    3. Povera, che già è tanto tribolata. :-P

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  10. forse te l'avrò detto già in un altro commento, ma non ho mai letto quest'autrice,però da qualche parte dovrò pure iniziare.
    Ehm... magari non da questo... Vedremo :-D

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