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lunedì 27 giugno 2016

Mr. Ciak: Tutti vogliono qualcosa, Altruisti si diventa, The Nice Guys, Money Monster, Cell

Richard Linklater è un grandioso cantore di amori, vite e gioventù. Anche quando, come in questo caso, non sembra. Anche quando, distante dagli amanti della trilogia di Prima dell’alba e dall’esistenza in presa diretta del miracoloso Boyhood, lontano dagli impegni, confeziona una commedia generazionale che somiglia a Tutti vogliono qualcosa: il titolo di una canzone dei Van Halen, le matricole di una confraternita sullo sfondo dei fortunati anni ’80 e, tra le righe e le risate, una verità universalmente valida. I giovani e l’inquietudine; la fatica del crescere. Questo, in un film al maschile disimpegnato e godereccio, ma spensierato solo in apparenza, che sembra raccogliere l’eredità di La vita è un sogno (non l’ho visto: rimedierò) e cominciare lì dove l’avventura del giovane Mason finiva: l’arrivo al college. Uno di quei film, forse, che piaceranno più alla critica che al pubblico: ai fedelissimi di Linklater, senz’altro. Ci vuole sforzo, inventiva e un pizzico di fiducia, infatti, nel prenderlo sul serio: nel vederci altro, o almeno un po’, dietro le feste di Animal House, gli sportivi sopra le righe di Blue Mountain State e i bagordi di un American Pie nella macchina del tempo. Parla di feste, feste e feste; dei tre giorni che precedono l’inizio delle lezioni; di una promessa del baseball che, iniziato agli eccessi e all’ozio della vita in autonomia, si rende conto, lì, di essere uno dei tanti, e non il migliore. Spassoso e nostalgico, Tutti vogliono qualcosa ha bei colori, belle tracce, belle facce – e, anche talent scout, il regista punta su stelle del piccolo schermo, nemmeno le più luminose del firmamento, che non ti aspetteresti. L’ingenuo Blake Jenner (Glee), il competitivo Tyler Hoechlin (Teen Wolf), l’esilarante Glen Powell (Scream Queens) e i loro soci vanno a caccia di ragazze in pista, filosofeggiano se sfatti, vestono jeans sfrangiati e camicie sgargianti, vivono a pieno l’euforia di una generazione lontana da loro, giovani leve, e da noi, spettatori del nuovo millennio. Ma contagiati comunque dal buonumore; dal senso di estati che dureranno per sempre. Brilli, valenti, speranzosi e affiatati, per due ore che scorrono indisturbate, tanto quanto gli studenti senza compiti per casa e senza progetti a lungo termine del Linklater più estivo – l’uscita a giugno, infatti, calza a pennello – su piazza. (7)

Ben, quarantacinque anni e un peso inconcepibile sulla coscienza, ha una moglie che lo assilla con le carte del divorzio, ricordi spiacevoli e una straordinaria propensione al bene. Vuole rendersi utile, trovale uno scopo, all’indomani di un lutto che l’ha spezzato, ma non vinto. La sua missione quotidiana, improvvisamente, somiglia a Trevor: ventenne in carrozzella, che si descrive come “bello e fico” - la modestia vien dunque da sé -, e ha la distrofia muscolare e una mamma preoccupatissima a troncargli la gioventù. Molto prosaicamente – e il contratto lo specifica -, Ben dovrà pulirgli il sedere e assisterlo, nelle sue giornate sprecate in soggiorno, tra commenti sozzi sulle presentatrici tivù, scherzi di dubbio gusto, litigi frequenti. Un giovane senza autonomia, un adulto senza senso: squadra tristanzuola, ma non troppo; improbabile di certo. In The Fundamental of Caring – Altruisti si diventa, produzione Netflix e chiare atmosfere da Sundance, sono proprio l’indipendenza e il perdono che si cercano, e magari sono la tappa successiva di un tenero ed esilarante viaggio on the road all’insegna dei desideri di Trevor: fare pipì all’impiedi, guardare il buco più profondo d’America, darsi al sesso orale con Katy Perry. Lungo il tragitto, però, accanto a una sconclusionata donna in dolce attesa, un’altra stellina del pop: Selena Gomez, ribelle e in fuga da casa. Mio carissimo Trevor, farai forse lo schizzinoso? Sono dettagli. E sono i dettagli – e i protagonisti - che contano in una commedia su ruote che fa il verso a Quasi amici e s’ispira a un romanzo del da noi inedito Jonathan Evison: libera, scorretta e un filino toccante. Vento di ponente nei territori del dolore, se seriosità e tragedie non hanno un invito formale. Sì, invece, a scaramucce, parolacce e buoni propositi di ripiego, con l’intenso Paul Rudd e l’adorabile Craig Roberts. Il resto: soste vietate e tante stupidaggini sul pensare positivo, che dette così, da loro, suonano assolutamente convincenti. Tant’è vero che, giunti a destinazione, spiace scendere e fare ciao. (7)

Una macchina sbanda, sulle colline di Hollywood, e finisce dritta dritta nel soggiorno di un bambino un po' vispo. Alla guida, morta, una pornostar che lui conosce dettagliatamente. La prima di tante morti sospette, quella, legate al mondo del cinema a luci rosse: roghi misteriosi, addetti ai lavori giustiziati e, adesso, una giovane ribelle in fuga. Sulle sue tracce – che ruolo avrà, infatti, in tutto ciò? - due detective privati. Uno senza licenza, l'altro con una vispa bambina a carico. Healy è massiccio e manesco; March è scaltro, segaligno e urla fortissimo. Agli antipodi, inizialmente, sono l'uno il nemico dell'altro, prima di allearsi. Il loro collante, la piccola Holly – che avrà fatto incetta di storie alla Nancy Drew – e omicidi legati al sicario Matt Bomer e alla potente Kim Basinger. Un chiacchierone Ryan Gosling le prende e un Russel Crowe dalla taglia forte, forse per la parte o forse semplicemente per la sua buona forchetta, le dà, in un buddy movie vecchio stampo che cita i nostri Bud Spencer e Terence Hill, Starsky e Hutch, con il desiderio di fare di questa strana coppia, magari, un'altra storica strana coppia. Ci sarà riuscito il buon Shane Black, legato alla serie di Arma Letale e già regista di Kiss Kiss Bang Bang, che similmente mescolava il giallo e la commedia al maschile? La critica ne è entusiasta, il pubblico ride. Io, intrattenuto ad arte per due ore e divertito il giusto, ho trovato loro perfetti, accattivante lo stile, gustosissimo l'intreccio. Ma, come accade con i film leggeri e leggerissimi, senza strascichi: lì per lì. Il ricordo di questi “bravi ragazzi” - il Bello e la Bestia – non resterà con me a lungo, e forse è svanito già. In poltrona, nel famoso lì per lì di cui sopra, non siamo stati stretti, tra poderose pacche sulla spalla, scazzottate, schizzi di sangue e sorrisi rilassati. Carino, molto; finché dura, almeno. (6,5)

Lee Gates, presentatore da strapazzo, nel suo seguitissimo show televisivo dà consigli a chi, investendo, spera di arricchirsi all'improvviso. Imbroglione che accenna passi di ballo e grossi sorrisi, però, di finanza e dintorni ne capisce il minimo indispensabile. Legge il gobbo alla lettera e, nelle orecchie, ha i suggerimenti di Patty, regista che ha tutto sotto controllo. O quasi. In diretta, infatti, vivono un incubo – che, sotto sotto, è il sogno di tutti coloro che sognano le impennate dello share, gli ascolti alle stelle, gli spettatori in visibilio. Kyle, giovane padre che ha perso i suoi pochi risparmi, armato di esplosivi, pistole e tanta disperazione, entra in studio e tiene Gates sotto tiro. A telecamere accese, racconta la sua storia; denuncia. E, dalla parte del torto, pian piano si sposta in quella della ragione. Le sue frecciate, i suoi sospetti, puntano a un imprenditore emergente e a sparizioni di denaro immotivate. La polizia è già fuori, l'accusato è al di sopra di ogni sospetto. Come finirà? Dopo lo spigliato La grande scommessa e l'emotivo 99 Homes, una professionale Jodie Foster – nonostante la sua regia senza guizzi, un po' televisiva – ci parla della recessione e di una Wall Street in caduta libera in questo Money Monster. Leggero, a sorpresa, ma per il resto ben poco sorprendente. Indeciso sui toni, non troppo caustico né troppo impegnato, ricorda Live! e il recente El desconocido, visto, piaciucchiato e snobbato. Mi tocca rivalutarlo, quel thriller spagnolo su un banchiere fraudolento in linea con un burattinaio truffato, all'indomani di un prodotto come questo, fatto di nomi altisonanti e scarso mordente. Se fa piacere, dopo Skins, vedere un O’Connell sempre più lanciato, Clooney e la Roberts – lui esagerato e lei, per ragioni di copione, sciatta – abbracciano ruoli interpretati in tempi recenti. E gli occhi dello spettatore, in prove attoriali senza sforzo e in risvolti telefonati, nonostante un ritmo forsennato e una Foster che fa tanto piacere ritrovare, passano oltre senza indugiare. (6)

Dieci anni fa, Stephen King firmava Cell. Uno spunto interessante, sì, ma, a detta di tutti, non un capolavoro. Di certo, non un romanzo degno di una trasposizione tutta sua. Soprattutto, non così in ritardo. Il Re, infatti, giocava con cannibalismo e tecnologia, prima che i social ci rendessero dipendenti, che la tivù ci proponesse appuntamenti settimanali con i non-morti di The Walking Dead, che qualcuno – per altre vie, sotto nomi diversi – s’impossessasse dell’idea, rielaborandola. E sono dieci anni, quindi, che la trasposizione cinematografica di Cell fa parlare di sé, ma non decolla. Eli Roth alla regia, oppure tra i produttori esecutivi? Film, o riduzione televisiva? Il 2016, anno in cui King ha subito un trattamento quantomeno dignitoso con la miniserie 22.11.63, vede il progetto andare in porto e, in sordina, giungere al cinema. D’estate. Stagione per eccellenza degli horror da poco. Il ritardo è imperdonabile; la curiosità è scarsa anche se si è fan sfegatati come me; il cast è buono, ma promette un compitino fatto di fretta. Nonostante tutto, però, Cell si rivela ben peggiore del previsto: inconcludente, inservibile, noiosissimo. Dopo un incipit piuttosto efficace in  un aeroporto contagiato dalla pazzia, e già lì, per bruttezza, spiccavano i titoli di testa, il film segue il viaggio di un inebetito John Cusack e di un insopportabile Samuel L. Jackson in cerca del figlio del primo. Lungo il cammino, giovani sopravvissuti – la nota meno dolente è Isabelle Fuhrman, bollata come promettente sin dai tempi di Orphan – e uomini e donne che hanno perso il senno. La violenza scarseggia, i dialoghi vorrebbero conferire invano intimità a una pellicola senza perché e, dando una spolverata a vecchi ricordi, giurerei che tanto, tra le pagine, andasse diversamente. Ennesimo caso in cui, passando sul grande schermo, Stephen King viene massacrato, Cell è un’operazione fuori tempo massimo, indesiderata, che, nel fatale passaggio, combina forse più disastri dell’ennesima, incomprensibile apocalisse. (3)

18 commenti:

  1. sul primo sono in linea, il secondo ho visto che è uscito su netflix.. e sembra interessante... il terzo recupererò...

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    1. Il secondo una sopresa carinissima, per me. Poi c'è Craig Roberts che mi fa tanta simpatia, di per sé.
      Da Linklater mi aspettavo più "peso", ma sarà per la prossima. ;)

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  2. ancora tutti da vedere, con precedenza a Linklater e The Nice Guys. Cell non lo prendo manco in considerazione, ho trovato già orribile il libro, non oso immaginare il film...

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    1. Salta, salta.
      A me, invece, il romanzo era piaciucchiato, ma è passata letteralmente una vita...

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  3. Sono d'accordo su The Nice Guys, assolutamente, mentre per quanto riguarda Tutti vogliono qualcosa non sono riuscita a farmi bastare questa atmosfera super allegra e festaiola, forse perché è una realtà a me lontana.

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    1. Ma anche a me, eh.
      Noi, poveri universitari italiani, facciamo ben altro. :-P

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  4. Su Linklater la pensiamo allo stesso modo: in mezzo a tanta leggerezza, c'è qualcosa di più, c'è un'estate che si sente in tutta la sua nostalgia.
    Money Monster invece a me è piaciuto parecchio, sarà che El Desconocido l'ho sofferto parecchio -troppo urlato, troppo brutto il finale-, sarà che la storia mi ha preso e non mi ha più mollato, con la voglia di scoprire e stare dalla parte di Kyle.
    Il resto lo divido in pronto alla visione (Roberts-Rudd), magari una chance estiva gliela concedo (Gosling-Crowe) e un anche no (King) :)

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    1. Salta senza rimpianti Cell, però il buddy movie di Black recuperalo. E' molto divertente, quello sì. :)

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  5. I primi tre della lista me li recupererò senz'altro!

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  6. Dei primi due parlerò presto...

    Cell non mi è sembrato così pessimo. Sarà che avevo delle aspettative bassissime. Molte puntate di The Walking Dead sono ancora peggio. :)

    The Nice Guys e Money Monster mi ispirano parecchio, ma il tuo giudizio tiepidino non è troppo incoraggiante...

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  7. Ti credo sulla fiducia: di The Walking Dead mi sono fermato al pilot! Su Linklater già so - lo vedo nella tua colonna di destra, è il film della settimana -, curioso per l'altro. ;)

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  8. Devo ancora vederli tutti, ma sono curioso.
    Tra l'altro, devo in anticipo qualcosa a questo tuo format. ;)

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  9. Non sono assolutamente fedelissima di Linklater! Mi era piaciuto il primo della trilogia "Before..", gli altri erano entrambi evitabili a mio avviso, e, se ricordi, avevo smontato senza pietà Boyhood. ;) Nonostante ciò, questo "Tutti vogliono qualcosa" è una visione piacevole. Non ci trovo della profondità, è solo una cosa piacevole, che comunque non guasta.
    Gli altri mi mancano tutti tutti.

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  10. No vabbé di Cell già sai. Ne parlerò nei prossimi giorni ma è davvero laMMerda. Nice Guys l'ho adorato, forse perché mi ha ricordato tanto gli amati film con Bud e Terence :D

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  11. Volevo andare a vedere Cell, il libro è stata una lettura carina anche se il finale è stato una delusione. Ho letto ora il commento sul mio blog XD Ma se gli hai dato 3 come voto, trovo qualche altra cosa da vedere ;)

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