venerdì 31 luglio 2015

Dear Old Mr. Ciak: Il sospetto, A Royal Affair, Amanti Criminali, Bronson, The Ring

[2012] I bambini strillano e strepitano; all'asilo non ci vogliono andare. Ma la piccola Klara, ultima nata in una famiglia litigiosa, lì sta bene. Soprattutto, per il maestro Lucas. Klara ogni tanto si perde e, quando tutta presa a contare le linee che solcano il marciapiede non guarda se la direzione presa è quella corretta, c'è Lucas – dolce, disponibile, affettuoso – a darle una mano e condurla verso il bene. A scuola, dove il maestro gioca a acchiapparella con alunni che lo venerano. A casa, dove spesso quell'adulto solitario – nella sua vita privata, infatti, stanze vuote, il divorzio e, all'orizzonte, la promessa dell'affidamento congiunto e di un nuovo amore – si ferma a pranzo. I bambini dicono tante bugie, ma le bugie non hanno mai fatto al caso di Klara, che al contrario è precoce e sotto sotto – come lo si può essere solo a quell'età - un po' innamorata del gigante buono e occhialuto che non nega a nessuno un sorriso. Finché la bambina – che non è la protagonista, perché questa non è la sua storia – non confessa, imbarazzata, l'incofessabile: il suo amico adulto le avrebbe fatto male. Come persone cattive sanno fare a bambini innocenti. Male così. Il sospetto è la storia dell'uomo su cui pesa l'accusa più grave che c'è. Il sospetto che è un titolo bugiardo: giacché lo spettatore, angosciato, non nutre il minimo dubbio che quel padre di famiglia senza macchie, senza colpe, abbia fatto pensieri impuri su quella creatura che maneggia, sulla strada verso casa, alla stregua di un gioiello fragile. Agghiacciante è la domanda che non mi sono posto – Lukas è un pedofilo davvero? - e tremendo, in assenza di un (ir)ragionevole dubbio, è osservarlo arrancare porta a porta, come un cane rognoso, mentre gli amici lo scacciano, i commercianti gli si negano, il suo viso insonne si fa tutto un livido scuro. Ho avvertito gli spintoni, gli insulti, il peggio. Le orecchie che fischiano per i sibili biforcuti delle malelingue e, sulla schiena, occhiate di quelle che squagliano il cappotto. Mi sono sentito il suo male mortale per tutto il tempo; due ore, queste, appresso a cui butti il sangue. Per resistere a uno dei drammi più duri di Vinterberg servono una trasfusione, nervi saldi. Sarai compassionevole? E tu, genitore, sarai abbastanza lucido da discernere la bugia dalla verità, se il sangue tuo verrà, e dio non voglia, a rivelarti un inquietante segreto? In mezzo a comprimari grandi e piccoli, in una chiesa colma di sguardi a Natale, il profilo inconfondibile di un Mads Mikkelsen – il signorile Hannibal che mi ha fatto scordare Hopkins – protagonista di una sublime performance che è un ingrato calvario verso l'oro a Cannes. Quell'anno, sospettato di essere una delle migliori pellicole dell'annata, volava agli Oscar. Vinceva Sorrentino, con quella Grande bellezza che – ancora prima di piangere su Alabama Monroe e di tormentarmi con l'epilogo senza pace ma perfetto dell'ultimo Vinterberg – borbottavo, incompreso dai più, fosse come La corazzata Potemkin per Fantozzi. Il sospetto resta straordinario, anche se ogni volta – troppa la bile che sale in gola, troppa l'ingiustizia – avrai bisogno di un trapianto di fegato. Presente la sensazione maledetta? (9)

[2012] Il medesimo anno di produzione, altra pellicola danese, lo stesso destino. A Royal Affair punta all'Oscar per il Miglior Film Straniero, un anno prima rispetto a Il sospetto. Con un Mikkelsen sempre magnetico che tenta l'en plein, portanto orgogliosamente la bandiera rossa e bianca di un Paese che sa fare grande cinema, e un genere diverso che – questa volta a giusta ragione – non è abbastanza ambizioso per il premio più desiderato. Alla base, un problema insuperabile: il mio disamore per tutto ciò che è storico. Quanto mi annoia? Tanto, troppo, e – con una durata che si aggira intorno alle due ore e venti – capirete perché il sontuoso dramma in costume di Nikolaj Arcel si sia prestato ora e non in precedenza a un sentito recupero. Ambientato nel XVIII secolo, alla corte di re Cristiano VII, parla di un Paese dalla storia ineditamente travagliata e di un triangolo che venne a crearsi nel momento in cui un carismatico medico – fruitore di libri proibiti, illuminista, rivoluzionario – s'intromise nella vita del re, infantile e iperattivo, e nelle stanze della giovane regina, splendida e malinconica nobildonna inglese. L'imperscrutabile Johann, consigliere fidato ed esperto conoscitore dei cuori nobili e delle sofferenze di un popolo miserabile, userà l'amicizia del sovrano e l'amore della consorte come instrumentum regni. A fin di bene, ma in un ambiente in cui covano l'inganno e la cospirazione da secoli. A Royal Affair, al di là di un lato tecnico all'avanguardia che non deve temere concorrenza alcuna, risulta un triangolo dai lati smussati. Classico, senza ombre. Corretto e fluido, nonostante la durata sostenuta, è all'altezza della migliore produzione BBC, con una prima parte che avvolge e una seconda, invece, che appare liquidata con inspiegabile fretta. Scorre e corre. A volte coinvolgente come un romanzo scritto ad arte, altre stringato come un riassunto per sommi capi, in vista di un esame che preoccupa. Comunque semplificato e condensato, con qualche espediente poco brillante che ha del televisivo – la protagonista morente che in una lettera ai figli, in flashback, ricostruisce la sua storia, ad esempio – e ragionevoli compromessi per appassionare – e così effettivamente è – chi tende a perdere il filo, a distrarsi. Resta il fatto che, se non sapessi il suo valore effettivo e la gloria appena sfiorata, non lo terrei probabilmente a mente. E restano tre interpreti magistrali – un Mikkelsen dal fascino indescrivibile, un Mikkel Boe Folsgaard che stupisce e diverte con la caratterizzazione del suo re matto, una intensa e bellissima Alicia Vikander, che – a tre anni di distanza – sta conquistando anche l'estero. C'è del marcio in Danimarca; lo scriveva Shakespeare. Ma, a conti fatti, c'è anche del buono. Sebbene questo A Royal Affair, altrove acclamato, non rappresenti per me il meglio. (6,5)

[1999] Quando avete scoperto François Ozon? Io ai tempi di Otto donne e un mistero – commedia musicale dai toni pastello, con un cast che comprendeva alcune tra le attrici più meravigliose del cinema d'oltralpe, allora come adesso, e un omicidio a cui dare un senso. Avevo ancora Sky, e Sky non si chiamava neanche così, dunque direi che è passato un po'. In realtà, Ozon – trentenne e con un passato da modello – faceva il suo debutto alla regia sul finire degli anni novanta. Dopo una capatina nel mondo del grottesco con l'introvabile Sitcom, è Amanti criminali la sua autentica opera prima. Giovane coppia di liceali assassini si smarrisce nel fitto di un bosco, con il cadavere di un coetaneo al seguito. Finché non si imbattono in una casa apparentemente disabitata e nell'ombroso orco che la popola. La regia era acerba, il cast povero, ma questo Ozon così diverso – sanguinoso, nudo e crudo – aveva già le idee, il talento e il passepartout per la fama internazionale. Si nota, la cosa, nel fantasioso mélange di toni – la commedia nera che, negli anni '90, spopolava negli USA; il retelling che adesso è venuto a noia a furia di usi e abusi; l'eros sadomasochistico – e nei caratteri ambiguamente delineati di due Bonnie e Clyde liceali: Alice, manipolatrice e fatale, e Luc, pazzo d'amore e sentimentalmente confuso. Coppia fatale: la mente e il braccio. Hansel e Gretel che sviluppano una spiazzante sindrome di Stoccolma nei confronti del loro aguzzino, e una sceneggiatura indigesta – sui misteri del desiderio, sulle ombre fosche dell'identità sessuale – che vuole come protagonista, inaspettatamente, il vulnerabile Jérémie Renier; la sexy ninfetta Natacha Régnierc, invece, è chiusa in cantina, in compagnia di roditori e cadaveri. Le colpe del loro sanguinoso crimine d'amore sottoposte, così, al giudizio di quel cacciatore normativo e spietato. Intrappolati in una baracca che ha una porta sola e di cui solo il loro personale Polifemo possiede la chiave, bramano la libertà e, tra sevizie fisiche e psicologiche, vengono rieducati, in un masochistico doposcuola che sembra sbucato dal cuore nero delle storie dei Grimm. E che, amorale, non tiene conto dell'ultima riga delle favole. (7)

[2008] Andatelo a dire a chi era in sala con me, in quel pomeriggio di giugno, che alle nostre orecchie il chiedersi “E questo Tom Hardy adesso chi è?”, davanti all'ultimo Mad Max, suona come la peggiore ammissione di colpa. Tom Hardy, che è sulla piazza da almeno un decennio e che – trentasette anni, il passato da eroinomane, i denti storti che era certo sarebbero stati un problema per Hollywood e invece no – a ogni lungometraggio con la sua strana faccia dentro si scopre bravissimo. E incredibile lo è sempre, soprattutto nell'eccesso: coi personaggi ipercaratterizzati, le scene forti, le macchine da presa di registi suonati che lo mostrano lurido, nudo, multiforme. Dopo il bel Stuart – A Life Backwards, Bronson è un altro consiglio della solita Lisa che, per un equivoco, pensava che le avessi consigliato proprio io uno dei primi Winding Refn, quando invece lo conoscevo solo per la losca fama che lo precedeva. Bizzarra biografia di un criminale senza arte né parte, questa, che, nel culto dell'amata ultraviolenza, cercava l'immortalità di un nome d'arte e una fama ottenuta a suon di pugni. Ancora in vita, ancora in carcere, Michael Gordon Peterson – per la stampa inglese, Bronson, come l'attore – si godrebbe questo suo quarto d'ora di notorietà: trent'anni passati in isolamento, ma finalmente le luci della ribalta. Lui che non sapeva cantare, ballare, recitare, ma sognava disperatamente la notorietà: ottenerla, perciò, diventando il detenuto più pericoloso – e costoso – del Regno Unito. Una spina nel fianco per la Regina in persona. Si parte canonicamente, da un'infanzia noiosa in una noiosa famiglia borghese, e seguono poi i pestaggi, gli atti vandalici, il sanguinoso bisogno d'attenzione; il tutto intervallato da scene grottesche perfette, in cui Bronson – con la faccia truccata di bianco, come un divo del muto – si rivolge a una sala vuota. E' in quei siparietti surreali che il film si scopre meno tradizionale e il protagonista straordinario: lui e la sua camminata alla Charlot, lui e il sogno dell'applauso. Hardy, tozzo e muscoloso, è la star indiscussa di un film che altrimenti, per una trama esile contrapposta a un personaggio che pesa, non mi è piaciuto del tutto. Visivamente all'avanguardia, con un regista che si dà a ritmi meno lenti dei suoi, le impennate pazzesche della colonna sonora classica, lo shock del colore sbattuto in faccia, ma il paragone con Kubrick è un azzardo, e si sapeva, e, alla fine, non si ricorda che per l'ennesima trasformazione di Hardy, e si sapeva. Forte, imponenente: anche abbastanza da reggere il tutto? E io che salto qui e lì nella sua caotica filmografia e, ogni volta, giuro che quella – questa? - sia la prova della sua carriera. Fino a quando, stupefatto, non assisto allla successiva. (6,5)

[2002] Era l'estate dei miei otto anni e avevamo traslocato. La ricerca di un appartamento in cui ci stessimo tutti e quattro, i materassi sul pavimento come barboni perché il camion che ci aveva seguito dalla Sicilia si era perso i letti in giro. Una città nuova, coi centri commerciali di vetro, i McDonald che profumavano di fritto, un negozio di videocassette e cd in cui passavo le ore. Ora è tutto cambiato: la città si è rimpicciolita mentre io crescevo, i supermercati si sono spopolati, quella videoteca non esiste più. Triste visione. Una mattina, ricordo di avere aiutato papà con cose noiose, da grandi: sono orgoglioso di quel bambino già maturo che faceva la fila alle poste, aiutava gli adulti a scegliere, andava matto per i film dell'orrore. Ricompensa per quel giorno, siccome non mi ero lamentato ed ero stato buono, un VHS in regalo. Avevo scelto The Ring, l'horror con la bambina nel pozzo che aveva fatto chiacchierare il mondo. Ricordavo più le circostanze dell'acquisto, sinceramente, che il film in sé. Lo conservo ancora, ma chissà se il nostro videoregistratore funziona... Lo avevamo visto a casa dei miei nonni, intorno a mezzogiorno. La nonna faceva avanti e dietro dalla cucina, lanciando occhiate riprovevoli alla tivù, e il cielo azzurro mi aiutava a scacciare la paura. O ero un bambino coraggioso io, oppure The Ring era una pizza: non mi aveva impressionato. Non come quelle volte quando io e Diego avevamo fatto dormire papà accanto a noi, sulla sdraio, per colpa di un film vietato ai minori. Adesso è cult e io ricordo più positivamente il seguito, piacevolissimo ma bistrattato, che l'inizio di questo cerchio (quasi) senza fine. L'ho rivisto un sabato pomeriggio, con la stessa familiare compagnia di un decennio fa, per vedere come lo avrei trovato a una seconda occhiata. Dodici anni di horror hanno reso scontato il mistero della mitica Samara, ma affascinanti i suoi oscuri simboli e i suoi crudeli percorsi. Ghost story classica, questa, di cui buchi narrativi e l'inconcludente finale, buttato lì a caso, senza un briciolo di enfasi, si scambiano però erroneamente per mistero. Da rivedere di nuovo per lo schermo a tubo catodico, i telefoni antiquati, le cassette maledette di cui ce ne freghiamo, tanto ormai tirano lo streaming e i Blu-Ray, l'effetto post Scary Movie 3. Il pregio è che, come la splendida Naomi Watts, The Ring invecchia bene. I passi concitati dell'indagine li ho seguiti con più curiosità della prima volta e i ricordi appannati che mi ritrovo hanno reso non dico inaspettate, ma riuscite alcune svolte di questo conto alla rovescia dalle ore contate. Per il resto, non inquietava allora; figuriamoci oggi. Gli si riconosce una regia di un perfezionismo notevole, la recitazione che per un horror mainstream è al di sopra della media, il merito – o la colpa? - di avere dato per primo tratti occidentali ai mostri con gli occhi da manga. (6)

20 commenti:

  1. mi ricordo che da piccolo dopo aver visto la scena del telefono in the Ring , mi squillò per coincidenza anche nella realtà, ed ebbi effettivamente terrore nel rispondere...:-)

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    1. A me si è acceso da solo il televisore. Perché ho pareti sottilissime, evidentemente, e il telecomando è lo stesso anche in camera dei miei. Che impressione. Questo, però, succedeva giusto qualche mese fa. ;)

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  2. The Ring non lo vedo da anni ma all'epoca, sono sincera, me l'aveva fatta fare sotto dalla paura e solo The Grudge lo aveva superato. Il secondo invece mi aveva annoiata tantissimo, l'avevo trovato mal diretto e ridicolo... forse dovrei rivedere entrambi.
    A Royal Affair ce l'ho lì da qualche anno, chissà che prima o poi non trovi ispirazione per vederlo...!

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    1. Se sei una sua fan, il buon Mikkelsen ti darà il motivo giusto per recuperarlo.
      A me sia The Ring che The Grudge - i remake, almeno - lasciavano e lasciano completamente indifferente. Sarà che non capisco mai fino in fondo la loro simbologia? Al contrario, cose come Dark Water - e parlo della versione americana, con un'ottima Connelly, l'originale non so - mi hanno messo un magone allucinante. Mi piace triste pure l'horror!

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  3. Non ho visto ma mi incuriosisce "Il sospetto" (cito anch'io Fantozzi quando mi si chiede un parere su "La grande Bellezza")
    E che dire di The Ring? Ho anch'io ricordi un pò sbiaditi su alcuni dettagli della storia e questo significa che non rientra tra gli horror che mi sono rimasti impressi, se un horror mi fa rimanere sveglia la notte, lo ricordo eccome! ;)

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    1. E recupera Il sospetto, Sara. Potresti rimanere sveglia la notte, a logorartici dietro, anche se per motivi diversi. Come The Ring sia diventato un mezzo cult, invece, mi sfugge eccome, sì...

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  4. Bronson a me è piaciuto un sacco, forse è il film che mi ha fatto andare giù di testa per Refn, satirico e Kubrickiano di ispirazione ;-) Cheers!

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    1. Io lo avrei trovato un po' troppo convenzionale, se non fosse stato per quelle scenette grottesche in cui Hardy si mostra grande e in cui Refn - che mi piace, ma non troppo, lo ammetto - si mostra Refn. :)

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  5. Ne ho visti due:
    - A Royal Affair mi è piaciuto abbastanza, soprattutto a livello recitativo l'ho trovato notevole.
    Sicuramente non è una botta di vita cinematografica, capisco il tuo senso di noia, però talvolta i film storici sono anche questo.
    - Les Amants Criminel l'ho visto parecchi anni fa, ne conservo un inquetante ma buon ricordo, mi è anche venuta voglia di rivederlo ma forse dovrei dedicarmi prima a tutto ciò che mi manca. ;)

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    1. Sulla recitazione nulla da dire, prove fuori dall'ordinario, naturalissime, ma il film - per quanto elegante e ben fatto - mi è sembrato troppo convenzionale per spiccare. Figuriamoci per portarlo agli Oscar.
      Recupera, e parti dal Sospetto ;)

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  6. "The Ring" è stato il mio primo dvd, insieme a "ll sesto senso": anche quelli provenienti da una videoteca ormai chiusa (da anni e anni...), purtroppo. Quanti ricordi... in quel periodo ero ossessionata dai film dell'orrore orientali e ne guardavo a vagonate, come quasi tutti, immagino! XD
    Guarderò "Il sospetto" appena possibile: spero solo che non sia più traumatizzante di "Dogville", però... se ce l'ho fatta a sopravvivere a quello... :P

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    1. Dogville non l'ho mai visto per intero, sarà che odio Von Trier a pelle, ma penso che il sospetto ci abbia poco a che fare. Leggo, però, che nel precedente Festen il regista fosse vicino "alla scuola" di quel folle - in senso buono? - di Lars. :)

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  7. Solo 6 a The Ring?
    Troooppo poco, è uno dei miei horror preferiti!

    Il sospetto buon film, però non mi aveva convinto fino in fondo...
    E Hannibal the Cannibal resta sempre e solo Anthony Hopkins, non scherziamo. ;)

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    1. Ma da quanti anni non lo guardi, The Ring? :-)
      Hopkins è Hopkins, ma penso che - con tutti quegli Oscar - Il silenzio degli innocenti, al tempo, lo avessero un po' sopravvalutato, quindi tutto questo film dall'aura leggendaria, personalmente, non l'ho mai visto. Poi Hannibal, psichiatra affascinante e carismatico, con l'orrido codino di Red Dragon, che manco il mio benzinaio? Meglio Mads, che è un cinquantenne fighissimo. ;)

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  8. Ottime re-visioni!
    Il Sospetto è un filmone, ricordo ancora quelle sensazioni di impotenza e ingiustizia, con uno spettatore della sala che a un certo punto si è alzato inveendo contro la bimba!
    The Royal Affair un po' troppo freddo forse, una ricostruzione danese eccelsa, ma gli manca qualcosina, se non altro ci fa ammirare ancora Mads nella sua bravura, e sì, pure io lo difendo come Hannibal, un carisma e un magnetismo che avercene!

    Bronson per me è finora il miglior Refn, goliardico e veloce, merito forse del nostro amato Tom scatenatissimo.

    Mi manca invece il primo Ozon che vorrei recuperare al più presto, e quel The Ring, che da fifona lasciai ad altri ai tempi dell'uscita, progettando però scherzi telefonici poi mai fatti a chi si apprestava alla visione :)

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    1. Grazie, Lisa! Il primo Ozon - stranissimo e forse vicino all'ultimo, con lo strano miscuglio di Una nuova amica - è da recuperare. The Ring per me non era granché al tempo, figuriamoci più di dieci anni dopo, ma - tra vecchi televisori e telefoni fissi - è un po' come rivedere la saga di Scream. ;)

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  9. Il sospetto è un grandissimo film ma anche A royal affair secondo me non è male, sugli altri mi trovo sulla stessa lunghezza d'onda, forse avrei valutato più generosamente the ring...

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    1. The Ring, oh, mai andato a genio.
      Neanche al tempo. :/

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  10. Non ce la faccio nemmeno più a complimentarmi con te,
    Leggere questa rece di uno dei film che amo più nella mia vita è ambrosia per me.

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