La morte è la madre della bellezza. E cos'è la bellezza? Terrore.
Autrice:
Donna Tartt
Editore:
Bur – Rizzoli
Numero
di pagine: 622
Prezzo:
€ 11,00 (Scontato: € 9,35)
Sinossi:
Un
piccolo raffinato college nel Vermont. Cinque ragazzi ricchi e
viziati e il loro insegnante di greco antico, un esteta che esercita
sugli allievi una forte seduzione spirituale. A loro si aggiunge un
giovane piccolo borghese squattrinato. In pigri weekend consumati tra
gli stordimenti di alcol, droga e sottili giochi d'amore, torna a
galla il ricordo di un crimine di inaudita violenza. Per nascondere
il quale è ora necessario commeterne un altro ancora più
spietato...
La recensione
Di
Dio di illusioni non mi dicevano semplicemente che era un
libro bello, ma che era uno di quei libri – scritti una volta ogni
tot di anni – che cambiano la vita di chi lo legge. Aspettative,
dunque, non alte: di più. E' stato strano leggerlo, nella sua voluminosa
interezza, nell'attesa perenne di qualcosa. Esperienza unica girare
pagina con la speranza di trovarsi lì, prima a pagina cento, poi a
pagina seicentoventi, cose rare e grandi. Giravo, giravo,
giravo: come faccio per casa, con i piedi che non stanno fermi,
quando aspetto un ospite importante. Sono stato vigile, in attesa,
sull'attenti, ma qualcosa è andata per il verso sbagliato. Nessuno
ha bussato alla porta, quel misterioso senso del tutto non si è
voluto far vivo. Dunque, filosoficamente, umanamente, culturalmente,
non mi ha cambiato come persona. Sono lo stesso di una settimana fa,
solo con un romanzo in meno da leggere. Avrei voluto vederci tanto,
ma cosa avrei dovuto, esattamente, cercare di scorgere? Non so bene,
e aspetto che qualcuno mi faccia luce e mi indichi, magari, la strada
corretta. Sulla neve fresca del Vermont, la scia dei miei passi alla
deriva. Non ho visto granchè di quello che non c'era scritto,
quindi mi concentro sul concreto. Dati empirici, inchiostro
indelebile, pagine da annusare. Un romanzo, grosso, di seicento
pagine e oltre, che ho scoperto all'inizio di quest'anno. Pubblicato
per la prima volta ventidue anni fa, ha rivisto la luce grazie a una
ristampa recentissima. La misteriosa Donna Tartt, donna bellissima e
criptica che pubblica un libro ogni dieci anni, aveva vinto il premio
Pulitzer e scritto un ennesimo capolavoro. Ennesimo. Il che vuol dire
che ce ne erano stati necessariamente degli altri. Recuperare il
primo, su consiglio di amici e colleghi, è stato immediato. L'ho
portato al mare con me, anche se – per la sua strana natura – è
l'opposto del libro da ombrellone. Sinceramente, però, non sapevo
quando altro avrei potuto leggerlo: in precedenza, con la sessione
estiva e il tempo cattivo? Ad ottobre, con i nuovi corsi e i sali e
scendi continui per raggiungere l'università? Il mare mi rilassa, mi
lascia concentrato e vigile, mi rovina il dorso dei romanzi in
brossura, ma tant'è. Non essendoci momento migliore, l'ho creato un
po' da me. Leggendolo sono arrivato a una sacrosanta conclusione: io
guardo troppi film. Ma proprio tanti. Leggo anche molto, certo, ma
mai un libro al giorno. Invece un film al giorno, bello o brutto che
sia, la guardo; necessariamente. Ecco che succede, quindi, quando un
libro scritto benissimo, e con splendide parole di troppo, ti
racconta una storia che già hai visto e rivisto altrove: sensazione
nota, sentimento spiacevole. Lo fissavo da tempo e lo temevo, a
giusta ragione. Era lungo, prolisso, impegnativo: mi domandavo, tra
me e me, se avrei retto. La lettura si è rivelata piuttosto
scorrevole in molti punti, lenta in altri, ma indubbiamente valida.
Mi ha annoiato raramente e raramente ho desiderato di portalo in
fretta alla fine. Perché, come dicevo, aspettavo. Chissà cosa, ma
aspettavo. Finchè mi sono ritrovato le mani vuote: le pagine erano
tutte finite. Allora mi sono concentrato su altro e, pensando a un
commento da scrivere, mi sono chiesto cosa mi fosse rimasto... Cosa
mi è rimasto? Il sentore forte di un'infinita, connaturata classe:
Donna Tartt è una signora scrittrice.
Riempie le crepe, i fori, i graffi con il cemento di una prosa invidiabile. Si stenta a credere di trovarsi davanti a un esordio, ma lei è nata brava. Già. Brava nell'intrattenere, nello spaccare il capello in quattro, nel dire perfino le cose più superflue nel modo più giusto. Mescola le filosofie di altri e una filosofia che è solo sua. Costruisce una chiesa in cui si avvertono echi vibranti di Nietzsche, Dostoevskij, Euripide: una tragedia gialla che inizialmente non afferri. Ti limiti a definirla “affascinante”, perché così è. Nonostante parli con consapevolezza e faccia sfoggio di una cultura vasta e approfondita e ancora, nonostante nemmeno per un secondo il suo sapere mi sia parso vuota ostentazione da prima della classe, ha elaborato personalmente dottrine, teorie, idee in cui già mi sono imbattuto con i miei studi, per dovere o curiosità personale. Cinque sudati anni di Liceo Classico mi hanno dato un metodo di studio, un'infarinatura di filosofia, nozioni di greco antico: trovate tutto nelle brochure! Nonostante la lingua di Omero non sia diventata mezzo per parlare astrusamente in codice e rendendomi a malincuore conto che i protagonisti del romanzo in due anni di corsi già parlavano fluentemente una lingua morta, alla faccia mia, la particolarità dei caratteri, i frammenti colti di un Callimaco, i riferimenti a miti e credenze passate non mi hanno impressionato. Toglieteci, dunque, la mancata persuasione. Toglieteci che la trama, esile ma articolata alla perfezione, mi sembrava un elegante pasticcio di cose già note. Quel che restava di Dio di illusioni: una prosa florida e poco altro; quei personaggi ipocriti, cinici, biechi, che eppure – delineati in maniera tanto sopraffina – facevano buona compagnia, sorseggiando drink ad alto tasso alcolico e intossicandoti col fumo stantio delle sigarette, il miasma della cospirazione, l'incenso pungente del rito dionisiaco.
Li vedo qui davanti a me, come fantasmi: questa è una
storia che, anche se non lo sapete ancora, ne è piena. Perciò loro,
al buio, mi guardano con occhi a raggi x. Inquadrati in contre
plongée che fissano il baratro, con un cadavere sul fondo, mentre il
baratro fissa loro. Giacca e cravatta, camicia inamidata, occhiali
tartatugati, l'aria distinta, la complicità assicurata da un comune
misfatto. Il narratore, Richard: un ragazzo di umili origini,
bugiardo per necessità, che veste abiti di seconda mano e arrabatta
denaro come può, nei gelidi inverni all'università; il delicato
Francis, che solo tra amici può permettersi di non nascondare la sua
sessualità vissuta con cruccio; gli inseparabili fratelli gemelli,
Charles e Camilla: brillanti e avvenenti angeli; l'imponente e ricco
Henry, dall'ambizione smodata e con un animo di fango da Mr
Ripley; infine, il ragazzo il cui destino è svelato alla prima
pagina, Bunny: assassinato. E perché? Il romanzo parte dalla fine,
svelando a poco a poco i retroscena dell'omicidio; le indagini della
polizia locale; gli sbrigativi piani b; la cattiva influenza di un
ottimo insegnante, l'affascinante e ambiguo Julian. Un burattinaio
che rimane, fino alla fine, in ombra, indecifrabile e bizzarro,
eppure motore vero di quel giovane coro tragico. Rituali e pratiche
arcane: descritte con toni più perfidi e coinvolgenti in L'età
sottile. L'istruzione che uccide e insani legami
studente-insegnante: L'allievo, Cracks, Symbiosis,
Formula per un delitto, Giovani Ribelli, Oxford Murders, l'ottimista L'attimo fuggente (addio, Robin). Soprattutto,
ho pensato a The Dreamers,
tratto da un racconto datato 1989, mi dice Wikipedia: i giochi sentimentali dei
personaggi, le combinazioni amorose, la paura che una crepa nella
torre d'avorio possa buttare giù tutto, l'affinità elettiva, cenni
all'omosessualità e le preoccupanti gelosie dei fratelli verso le sorelle gemelle. Eloquenti e dotti, dal primo all'ultimo, inquietanti e
inquieti, dal primo all'ultimo, discettano di alti argomenti e,
parlando di splendore e paura, immortalità e dannazione, lavorano a
un crimine perfetto. Difetto di un libro non altrettanto perfetto:
l'autrice mette per bene i puntini sulle "i" e, nella parte conclusiva,
elenca vita, morte e miracoli di inutili personaggi minori. Nulla è
lasciato al caso, almeno apparentemente. Il finale è risolutivo e
appagante, ma le informazioni, le digressioni e le novità aggiuntive
mi hanno dato come l'impressione che la Tartt, furba, cercasse di
distrarci, e da quelle che, purtroppo, sono incongruenze; banalità;
toppe posticce. Non lo diresti, vedendola cullarsi in una
molteplicità sterminata di dettagli, ma ha una fretta matta. Io, che
tenevo d'occhio più il filo conduttore della trama che il superfluo,
l'ho notato: la tensione si scoglie in un unico, prevedibile passo
lasciato in balia del caso. Lei svela quello che non deve svelare,
dicendo quello che, imprevedibile, doveva custodire solo la notte. Un deforme romanzo di formazione. Un esordio folgorante, ma lontano, sia dal Paradiso che dal pagano Olimpo.
Riempie le crepe, i fori, i graffi con il cemento di una prosa invidiabile. Si stenta a credere di trovarsi davanti a un esordio, ma lei è nata brava. Già. Brava nell'intrattenere, nello spaccare il capello in quattro, nel dire perfino le cose più superflue nel modo più giusto. Mescola le filosofie di altri e una filosofia che è solo sua. Costruisce una chiesa in cui si avvertono echi vibranti di Nietzsche, Dostoevskij, Euripide: una tragedia gialla che inizialmente non afferri. Ti limiti a definirla “affascinante”, perché così è. Nonostante parli con consapevolezza e faccia sfoggio di una cultura vasta e approfondita e ancora, nonostante nemmeno per un secondo il suo sapere mi sia parso vuota ostentazione da prima della classe, ha elaborato personalmente dottrine, teorie, idee in cui già mi sono imbattuto con i miei studi, per dovere o curiosità personale. Cinque sudati anni di Liceo Classico mi hanno dato un metodo di studio, un'infarinatura di filosofia, nozioni di greco antico: trovate tutto nelle brochure! Nonostante la lingua di Omero non sia diventata mezzo per parlare astrusamente in codice e rendendomi a malincuore conto che i protagonisti del romanzo in due anni di corsi già parlavano fluentemente una lingua morta, alla faccia mia, la particolarità dei caratteri, i frammenti colti di un Callimaco, i riferimenti a miti e credenze passate non mi hanno impressionato. Toglieteci, dunque, la mancata persuasione. Toglieteci che la trama, esile ma articolata alla perfezione, mi sembrava un elegante pasticcio di cose già note. Quel che restava di Dio di illusioni: una prosa florida e poco altro; quei personaggi ipocriti, cinici, biechi, che eppure – delineati in maniera tanto sopraffina – facevano buona compagnia, sorseggiando drink ad alto tasso alcolico e intossicandoti col fumo stantio delle sigarette, il miasma della cospirazione, l'incenso pungente del rito dionisiaco.
Il
mio voto: ★★★½
Il
mio consiglio musicale: Dario Marianelli – Briony (da Espiazione)
Attenzione: Spoiler: evidenziare, per leggere.
Il
suicidio della vera anima del gruppo: la
polizia a cosa lo attribuisce? Depressione? E quei colpi volati nella
stanza d'albergo? Com'è possibile che tutti l'abbiano fatta franca,
proseguendo beatamente con le loro vite annoiate? Colpa, senso di
fallimento, abbandono... Penso che anche il più sbatato dei
poliziotti avrebbe collegato il colpo di pistola autoinflitto, alla
fine, alla morte ancora senza perché di Bunny. Mah. Dal giallo non prende in prestito il ritmo, ma il peggio: vale a dire, forze dell'ordine idiote!
Argh, questi attenzione spoiler... sta volta ho resistito all'impulso di sottolineare tutto °__° non mi voglio rovinare la lettura U__U
RispondiEliminaComunque penso sia una delle recensioni più strane tue che abbia mai letto XD mi hai solo messo più curiosità v.v e poi magari chissà, io che di film ne guardo solo di tanto in tanto, riuscirò ad apprezzarlo di più :P anche io però ammetto di avere le aspettative alle stelle XD
Ieri poi in libreria ho visto anche Il piccolo amico ed era lì che mi diceva "compramiii" gli ho dovuto rispondere "spè, prima devo leggere l'altro tuo fratellino, se fa il bravo compro anche te" XD
No, quello non lo leggo nemmeno se me lo regalano, guarda: anche chi adora la Tartt ritiene sia una palla cosmica. Questo non mi ha annoiato, ma l'idea di leggere altre 600 pagine a vuoto mi snerva, perciò niente. Quando sarà, in edizione economica, prendo Il cardellino, se il prezzo è decente ;)
EliminaAh davvero? Non lo sapevo :P non ho mai cercato opinioni a riguardo a dirla tutta LOL
EliminaPerò Il cardellino mi ispira un sacco da quando è uscito :D
Documentati, perché secondo me è un mattone. Eppure pare mooolto nelle mie corde!
EliminaSe riesce comunque a essere meno lento e pesante de "Il piccolo amico", vuol dire che potrebbe pure rientrare nelle mie corde, perchè no?! ;D Non credo però di essere in una fase adatta a questo tipo di letture: più avanti, magari..!! :D ps: un film al giorno, Mik?! E però, non male come record! *___*
RispondiEliminaEh, già! Coi telefilm ho un po' di arretrati, ma un film al giorno: sacrosanto :P
EliminaQuesta autrice mi incuriosisce da molto e questo libro e "Il cardellino", sono quelli che mi attirano di più dei suoi, anche se ho paura sia un pò troppo pesante D:
RispondiEliminaPerò provare non fa mai male, quindi vedrò di provare a darle una possibilità *_*
Eh, è pesantuccia. Aspetta il momento giusto.
EliminaNon ho letto tutta la recensione fino in fondo perché lo sto leggendo in questi giorni. Cosa dire di questo libro l'ho preso perché ne parlavano bene e volevo scoprire lo stile della Tartt. All'inizio non mi piaceva e mi annoiava. Ora sono circa a metà e posso dire che mi piace molto come scrive, anche se a livello di trama sta succedendo poco. Pagine, pagine, pagine per spiegare un solo concetto. E nonostante tutto questo, nonostante le mie lamentele, mi sono accorta che non riesco a staccarmi da questo libro così strano! Non vedo l'ora di finirlo per scoprire tutta la storia...
RispondiEliminaInteressanti i ritratti psicologici e patologici dei protagonisti!!
Ripassa e leggi lo spoiler. A me la faccenda non mi torna. Bellissimi i personaggi, ma troppo banali le relazioni tra loro.
EliminaUn po' mi intriga.. Anche se continue citazioni e rimandi all'ambito classico non so quale effetto potrebbero avere su di me, che pure vengo da cinque lunghi e pesanti (tanto odiati quanto amati) anni di liceo classico... Ho sempre avuto un po' un pallino per la mitologia greca, quindi chissà, potrei apprezzare, anche se decisamente non sono in grado di parlare fluentemente il greco antico o il latino solo perché ho dovuto sbatterci la testa sopra fino all'anno scorso! :P
RispondiEliminaStessa situazione, Giada, ma senza odio. Pesanti, soprattutto gli anni del ginnasio, ma li rifarei :)
EliminaHo appena letto la tua recensione, e vorrei leggere anche la parte spoiler ma il mio maledetto telefono non permette. Sono reduce dalla fine della lettura, e sono capitata in questo blog per caso. Per me è stato un libro di cui avrò un prima e un dopo probabilmente: 5 anni di liceo classico e il gioco è fatto. Sono d'accordo con te sul fatto che lei sia una signora scrittrice... Poi sarà che anche io sono prolissa come lei, quindi la descrizione dell'anche più piccolo è raro germoglio di erba nel Vermont mi ha appassionato e fatto emozionare. Ho apprezzato anche la parte finale (più la fine onirica che non la pre descrizione, tranne di alcuni personaggi). Vorrei tanto leggere la parte spoiler, ti prego (ti do del tu, non vorrei sembrare impertinente) di potermela passare in qualche modo, poiché non ho un pc a disposizione :) vorrei discuterne.
RispondiEliminaSaluti!
Ciao, Giulia! Scrivevo questo...
EliminaATTENZIONE, SPOILER.
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Ma il suicidio finale della vera anima del gruppo? La polizia a cosa lo attribuisce? Depressione? E quei colpi volati nella stanza d'albergo? Com'è possibile che tutti l'abbiano fatta franca, proseguendo beatamente con le loro vite? Colpa, senso di fallimento, abbandono... Penso che anche il più sbatato dei poliziotti avrebbe collegato il colpo di pistola autoinflitto, alla fine, alla morte ancora senza perché di Bunny. Dal giallo non prende in prestito il ritmo, ma le forze dell'ordine idiote?
Inizialmente avevo subito il suo fascino, ma poi ho desistito e nel tempo si è affievolita la curiosità... Non so se lo leggerò più ormai.
RispondiEliminaCiao a tutti, ho appena finito di leggerlo, dopo aver letto, lo scorso anno, Il Cardellino. La tua recensione, che faccio mia dalla prima all'ultima riga, potrebbe essere scritta anche per lo stesso Cardellino. Stessa identica fretta di concludere, ovviamente con l'irrinunciabile ed improbabile happy end, trame complesse e spesso poco credibili. Lei è brava, scrive bene, è colta, non mi annoia ma finisce li senza troppe emozioni e con un punto di vista mai veramente originale e nuovo. Basta io mi fermo qui, il suo terzo romanzo farà a meno di me...Anche per me il richiamo e l'eco più forte è con The Dreamers....
RispondiEliminanotevole coincidenza,amico anonimo del messaggio precedente, ho finito anch'io di leggerlo poco fa, anch'io dopo aver letto, prima il cardellino.
RispondiEliminasono d'accordo sul fatto che non sia un libro che ti cambia la vita, come non lo è, d'altro canto, "Il Cardellino".
ma quale romanziere vivente, oggi, ti cambia la vita con un romanzo?
Shantaram mi ha cambiato la vita e non vedo l'ora d leggere il sequel... ve lo consiglio se amate i mattoni! Il Cardellino mi è piaciuto tantissimo... Non mi ha cambiato la vita ma tutt'ora, a distanza di mesi, sento ancora il suo fascino. Però il finale mi ha delusa e annoiata,troppo frettoloso (in barba alle 800 pagine che lo precedono...), un po' scontato e inconcludente, ma forse ha voluto lasciare a noi l'interpretazione dei sentimenti del protagonista. Sto leggendo ora Dio di illusioni, non sono neanche a metà, mi sta prendendo ma meno rispetto al Cardellino.. non ho letto lo spoiler ma già che tutti scrivete "non porta a nulla, è inconcludente, vacue parole" mm, spero di ricredermi, amo come scrive e la sua capacità di tenerci incollati riga dopo riga.
RispondiEliminaBella recensione. I riferimenti al mondo greco fanno un po' ridere. E' ben di più. La Tartt è una signora scrittrice, un' abile cesellatrice, ma la fiamma che distingue l'ottimo artigiano dall'artista non si accende mai. Comunque da leggere.
RispondiEliminaBella recensione. I riferimenti all'aoristo o a Callimaco non bastano per impressionare. La Tartt è una signora scrittrice. Un'abile cesellatrice ma la fiamma che distingue l'ottimo artigiano dall'artista non si accende mai. Comunque da leggere. Le persone interessanti non sempre sono esempi da seguire.
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