Il
primo film che mi sono concesso in questo 2014. Come inaugurare bene
un anno al cinema, direi. Anche se American Hustle non è
nelle mie corde. Anche se non mi fido mai del solito “tratto da
una storia vera”. Anche se, con una durata che supera le due
ore, è troppo lungo per i miei canoni. Niente da fare. Inutile
negare l'evidenza. Il nuovo film del regista di Il lato positivo e
The Fighter è una perfetta macchina d'intrattenimento.
Staordinariamente diretto, straordinariamente interpretato,
straordinariamente strutturato. Trasuda acume, intelligenza, intuito
e un gusto vagamente kitsch e cripticamente elegante che fa
letteralmente impazzire. Ha grandi nomi nel cast e un grande nome
alla regia, ha fatto incetta di nomination ai Golden Globe, ha fatto
furore sin dai primissimi trailer, ha fatto parlare tanto e benissimo
di sé, ma non è uno di quei film che guardi passivamente e a testa
bassa, sapendo di non poter criticare chi l'ha acclamato, con la tua
voce spesso fuori dal coro, e sapendo, magari, che, se non lo
troverai grande, è colpa tua, che non sei uno “da film d'autore”
e mai lo sarai. Io, che Il lato positivo l'ho trovato
sopravvalutato a dir poco e che The Fighter non l'ho ancora
visto, l'ho trovato pazzesco: sfizioso, ritmato, sorprendente, folle.
Magnificamente folle. I personaggi, cesellati con cura e incastonati
in un intreccio senza errori, hanno caratteristiche proprie, identità
solidissime, un talentuoso regista di cui si fidano ad occhi
chiusi... ma sono allo sbaraglio. Camaleontici, commoventi,
esilaranti, esaltanti, completamente in parte e completamente fuori
di testa. Intorno a loro, colpi di scena e truffe e, soprattutto, gli
anni '70. Soprattutto, New York. Le luci, i locali, le discoteche, le
pellicce pacchiane e i glitter, la musica disco e le catenine nello
scollo delle camicie, le auto truccate e gli hotel di lusso, gli
scandali finanziari e i politici corrotti. Sfondo pulsante, iconico,
eccessivo e bello per una cinquina di attori strepitosi e mutevoli,
sempre. Attori trasformati in pupe sexy o in casi umani, in
caricature e in spregevoli imbroglioni a seconda delle occasioni:
perché le apparenze ingannano, e Christian Bale può diventare
brutto, grasso e calvo; la adorabile Amy Adams di Come d'incanto
una femme fatale tanto bella da far girare la testa; il sex
symbol Bradley Cooper un brillante agente che meriterebbe
urgentemente una promozione, un parrucchiere e una ceretta al petto;
il sempre trascurato – da me e basta? - Jeremy Renner un attore
degno delle sue due nomination agli Oscar; l'avventosa Jennifer
“Katniss” Lawrence un'appariscente ventenne che sembra soffrire
di bipolarismo e, precocemente, di una tragicomica sindrome di
mezz'età. Pochi personaggi, ma le cui vite – tra disastri e
comicità – sono intrecciate con tutta l'intelligenza di cui il
cinema hollywoodiano è capace. Ricordano, con i loro pazzi eccessi e
i loro tratti marcati e forti, i quattro e inferociti borghesi di
Carnage. Come quei grandi attori diretti da Polanski, infatti,
buttano le loro vecchie maschere, si spogliano della loro solita
pelle e, imbizzarriti e spesso sguaiati, liberano un'anima nascosta,
ma che immediatamente conquista. Personaggi cult in un film pieno di
momenti dannatamete cult: la sequenza d'apertura con l'elaborato e
disgustoso parrucchino di un Bale multiforme e poliedrico, il bacio
tra i vestiti dimenticati della lavanderia, il cameo epico di Robert
De Niro, Bradley Cooper con i bigodini nei capelli, il suo show in
stile La febbre del sabato sera con una Adams dagli occhi e
dalle scollature profondissime, il karaoke improvvisato – con tanto
di piccola coreografia – di una Lawrence triste ma divertentissima,
splendida anche con la tuta sformata e i guanti gialli sporchi di
sapone per piatti. Difficile dire chi tra loro sia il più bravo.
Jennifer, la più giovane del cast, sembra più giovane e più
vecchia allo stesso tempo: i capelli sempre intatti, il fare
volgare, gli stessi momenti di debolezza e di euforia della sua
Tiffany in Il lato positivo. E' spettacolare, con la capacità
di rendere grande un ruolo piccino, ma un altro trionfo agli Oscar,
francamente, nonostante l'immensa stima che nutro per lei, mi
sembrerebbe troppo: il suo personaggio, a volte, ricalca notevolemente le
caratteristiche di quello che, lo scorso anno, le ha regalato
l'ambitissima statuetta. Ma, lo sapete, l'Academy ama le
squilibrate, e lei si dimostra decisamente convincente nei panni di
questa disastrosa, frivola e oca Jessica Rabbit bionda, che ama lo
smalto rosso e gli uomini difficili. Un'altra cosa che l'Academy
ama, però, sono le trasformazioni radicali, e l'ex Cavaliere
Oscuro è particolarmente maestoso. Ma Amy Adams, mai così bella,
ipnotizza, e Bradley Cooper – che da un po' ha dimostrato di non
essere il classico belloccio senza arte – è bravissimo. Sfortunato
e oscuro come il suo personaggio, in Il lato positivo non ha
ottenuto quel premio che avrebbe meritato: spero che American
Hustle sia il suo film. Perché David O. Russel è il suo
regista, sì. Una commedia compatta, funambolica, colorata, bugiarda,
ebbra e lucidissima, in cui tutti imbrogliano tutti, ma in cui lo
spettatore è trattato con i guanti bianchi: sul valore di questo
film, infatti, sarebbe impossibile mentire. Non si bara.
Consigliatissimo.
La
vita di Adele,
per molti il film più bello in assoluto del 2013, è il tipico film
da Festival. Ha vinto la Palma d'oro a Cannes, è tra i miglior film
stranieri in lizza per il Golden Globe e, anche se non è arrivato
agli Oscar, è arrivato molto, molto vicino all'ambito traguardo. Uno
di quelli – con un regista amato e molto controverso, illustri
rimandi, scelte coraggiose e coraggiosi movimenti di macchina –
destinati a piacere, forse, più al grande critico di turno che allo
spettatore medio. Io sono lo spettatore medio, immagino, e,
decisamente no, non sono un tipo “da film da Festival”. E,
ancora, non saprei dire se, trovandomi al cospetto della Vita
di Adele,
mi sono sentito di stare guardando il gioiello autentico di un anno
di buon cinema, ma una cosa l'ho capita, sì: l'ultimo film di
Kechiche – regista di cui non avevo mai visto altro prima e di cui
non penso vedrò altro in tempi brevi – è un bel film.
Indubbiamente. Troppo lungo, troppo esplicito, troppo semplice,
troppo onesto. Pretenzioso nemmeno per un attimo. Fatto di momenti
bellissimi e di altri apparentemente superflui, di giorni belli e di
altri noiosamente normali, di svolte degne di essere raccontate e di
altre a cui, invece, nessun altro avrebbe dato visibilità. Per
quanto ami il titolo della graphic novel che ha ispirato il regista,
“Le
bleu est une couleur chaude”,
quello
scelto alla fine, in un secondo momento, è più calzante e perfetto.
Dice il necessario; tutto. Si parla di una vita. Con i suoi alti e
bassi, i suoi momenti felici e i suoi momenti tristi, i suoi pregi e
i suoi difetti. Giovanile, immediata, carnale la prima parte; adulta,
misurata e triste la seconda: il litigio tra le due formidabili
protagoniste e uno dei loro ultimi incontri, in un ristorante quasi
vuoto, rimangono i momenti più emozionanti e struggenti di tre ore
di pellicola. Momenti da ricordare. E io li ricordo, come ho
ricordato, in quegli attimi, a caldo, la struggente Someone
like you, di
una signora cantante che ha lo stesso nome della protagonista, e la
sfuriata di una furibonda e sconvolgente Giovanna Mezzogiorno, in
L'ultimo
Bacio.
Non vi parlo della storia, perché non c'è niente da raccontare: La
vita di Adele è
incentrato su una giovane donna, prima adolescente poi
improvvisamente adulta, e sul suo primo e ultimo grande amore. Parla
di due persone che si amano, e che queste persone siano due donne non
conta. Non conta, come non ha contato per Kechiche, che non ha
inserito le sue protagoniste in un melodramma che sa inevitabilmente
di amore impossibile, ma del più semplice, vero e comune degli
ingredienti: la normalità. Il regista appiccica la macchina da presa
al corpo della protagonista e non la molla più, fino a quando la
pellicola a disposizione finisce e i titoli di coda scendono dal
nulla, sullo schermo nero. Una protagonista che inquadra mentre va al
liceo, mangia, piange, fa sesso, bacia, spiega, insegna, chiede
perdono, fugge disperata. Adèle Exarchopoulos – appena vent'anni e
origini greche, sconosciuta da noi – è la musa di Kechiche, suo
maestro e suo segreto carceriere. Ha cambiato il nome al personaggio
del fumetto per darle quello di lei, ha inquadrato le sue mille
smorfie e la sua bocca sporca, le ha dato un ruolo impossibile e le
ha fatto vivere una vita non sua: quella di un'altra Adele; una che
ama le donne e si sporca quando mangia, che legge molto e molto ha da
capire. Una ragazza difficile – da amare, da comprendere, da
interpretare -, al contrario di Emma: più decisa, più forte, più
matura. Tra le due, ho preferito lei, che aveva il volto strano di
Léa Seydoux e i capelli blu di un'artista ribelle: un curioso e
affascinante mix tra Marion Cotillard (suoi sono gli occhi), Vanessa
Paradis (suo è il sorriso imperfetto) e il David Bowie di Life
on Mars
(suoi sono i colori). Fanno scandalo le scene di sesso – lunghe,
insistenti, ai limiti dell'esplicito – ma non mi hanno infastidito,
personalmente. Il regista – con una certa morbosità, e lo
riconosco – contempla quei corpi belli e intrecciati insieme,
quelle lingue umide e quelli pelli bianche come il latte, ma il
risultato – non saprei spiegarlo bene – sarebbe stato diverso se,
protagonisti delle criticate scene, fossero stati un uomo e una
donna, o due uomini. Tutto sarebbe stato più terreno, crudo. Adele e
Emma, insieme, in quei momenti così forti, sono la bellezza al
quadrato, l'arte, l'etereo. Perché la donna, l'essere più bello e
complesso del creato – e della coppia -, si duplica, in un gioco
fortemente erotico di prospettive, riflessi, nodi di carne.
L'esperimento, d'altra parte, non so quanto avrebbe funzionato se, a
essere ripresa, fosse stata la vita di una coppia non composta da
sole donne: perché Emma e Adele, e il loro grande e difficile amore
che si rivela esattamente uguali a tutti gli altri, sono l'unica
risposta. L'approccio di Kechiche, fortemente criticato dalle
attrici stesse, è azzardato e a senso unico, fortissimo: ho sentito,
spesso, come anche loro hanno rivelato, le giovani protagoniste in
trappola, schiacciate dalla macchina da presa e dalle pretese di un
autore che voleva più baci, più sesso, più verità: anche troppo.
Lavorare con lui è stato un inferno, forse, ma sono certo che la
Seydoux e la Exarchopoulos non appariranno mai più così: giovani,
belle, brave. Per il resto, La
vita di Adele
è, paradossalmente, un film molto delicato: che cammina lento, e in
punta di piedi. Scalzo.
In
Benvenuti al sud e Benvenuti al nord, due straordinari
successi al botteghino, Luca Miniero aveva parlato di noi, della
nostra Italia, delle tante contraddizioni e delle differenze non
sempre inconciliabili tra settentrionali e meridionali, con ironia,
leggerezza, serenità. Nuovamente al cinema con Un boss in
salotto, ritorna con una storia nuova, ma non troppo. Non ci sono
più Bisio e Siani, non ci sono più O' sole mio e Oh mia bela
Madunina, ma i temi – grosso modo – rimangono gli stessi,
anche se con un cast rinnovato e con una diversa etichetta. Miniero
porta un camorrista tra le montagne, in Trentino. Mette il sud agli
arresti domiciliari, su al nord, e dà a Paola Cortellesi un ruolo da
“terrona” convertita, con tanto di accento sudtirolese, figli
educatissimi e iscritti a una scuola privata e un maritino remissivo
e a modo, che ha il volto di un Luca Argentero sempre presente, sugli
schermi nostrani, e sempre in parte. La Cortellesi, da Carmela, ha
cambiato il suo nome in Cristina: ha perso la cadenza napoletana, ha
imparato a cucinare i piatti tipici e ad odiare la pastiera e,
soprattutto, si è lasciata alle spalle un fratello con la
propensione a mettersi nei pasticci e con la fedina penale sporca. Un
fratello che ha dato per morto, tanto tempo prima. Finché non bussa
alla sua porta ancora. In attesa del processo, il presunto boss Rocco
Papaleo, infatti, starà da lei: in una famiglia noiosamente normale
e fintamente perfetta che non lo vuole e non è disposta minimante ad
accoglierlo. Disastri, gag e buffi equivoci saranno all'ordine del
giorno. Un boss in salotto, arrivato in sala il primo
dell'anno, è un film semplice, edulcorato, ordinario, ma appare oro,
se confrontato ai soliti e scadenti cinepanettoni che il Natale ci ha
portato, quest'anno come gli scorsi. Rimescola i soliti luoghi comuni
su nord e sud, pizzica e prende in giro una parte e l'altra dello
stivale, mostra settentrionali che fanno yoga e mangiano roba
improponibile e meridionali che non perdono mai la cadenza e che
sporcano la cucina con il sugo rigorosamente fatto in casa, ma fa
star bene e, per quell'ora e mezza, diverte. Si sorride per il solito
buonismo dell'epilogo, si fanno le solite riflessioni sulla crisi e
sull'importanza delle relazioni, ma si ride anche, e parecchio.
Merito di un ottimo trio d'attori e di due comprimari particolarmente
simpatici/antipatici. Paola Cortellesi, bravissima come sempre,
potrebbe reggere il film da sola, ma Luca Argentero è bravo e
l'esilarante Rocco Papaleo lo è ancora di più. Molto di più. Solo
ma non spaesato l'Ale del duo Ale & Franz, immancabile e
immancabilmente convincente l'ormai onnipresente Angela Finocchiaro.
Tra Ti presento i miei e Quell'idiota di mio fratello,
si ripercorrono cliché collaudati e collaudate strutture, dunque, ma
di cui lo spettatore medio non è ancora stufo del tutto. Nel
frattempo, si ride di gusto. E quello è l'importante, per cominciare
l'anno.
E'
sempre un'impresa delicata realizzare un biopic. Soprattutto se, a venire
raccontato, è un personaggio che ha fatto storia. Emblematico,
affascinante, iconico. Su Diana – La storia segreta di Lady D si
è abbattuta una sorte simile, sin dall'inizio. E come da copione,
aggiungerei. Impossibile toccare la compianta e amata Principessa del
Galles, un mistero in vita e un mistero ancora più grande dopo la
sua tragica morte. C'è chi ci ha provato, ma si è guadagnato una
pioggia di critiche e stroncature più torrenziale ancora di una di
quelle che, in questo inverno freddo, si saranno abbattute sulla
grigia Londra. Francamente, non ho trovato Diana la catastrofe
annunciata che avevano descritto. Ha una fotografia curatissima, una
regia solida, costumi perfetti, uno stampo perfettamente
cinematografico – alla regia, si nota la mano esperta del tedesco
Oliver Hirschbiegel, regista di La caduta. Soprattutto, sarebbe degno di essere visto anche solo per
Naomi Watts, che nei panni della principessa triste mostra
un'espressività e un rigore ai limiti del maniacale. Il trucco e gli
abiti di scena famosissimi ricordano la vera Diana, ma la somiglianza
fisica non è poi tanta: Naomi Watts ha tratti più dolci, morbidi e
aggraziati della nota principessa, che – sebbene simbolo di
femminilità universalmente riconosciuto – aveva una bellezza più
britannica, con tratti più spigolosi e un viso più arcigno. Recita
con la sua solita naturalezza, portando sullo schermo eleganza e
raffinatezza senza fine: quasi non si vede lo studio meticoloso che dev'esserci stato dietro a questa sua superba prova. Una
prova buona, ma non di certo la migliore della sua carriera. Anche
se, senza dubbio, potrebbe essere considerata la più ambiziosa. Lei
è bravissima, ma non può un'attrice – per quanto brava – fare
di un film un bel film. A questo biopic credo che manchi la verità.
Si lascia seguire, coinvolge, emoziona a tratti, ma non ha
un'identità precisa. E' autentico quanto può esserlo un romanzo. Ho
apprezzato l'idea di voler mostrare Diana come una donna come tante,
alle prese con nuovi amori e vecchi dolori. Ma la normalità
ricreata, è evidente, sfocia nella finzione più pura. Eppure, non
lo nego, fa anche sorridere piano vedere l'imbarazzo e l'ansia della
donna più famosa della terra alle prese con il primo appuntamento
con il dottor Hasnat Khan, non proprio il principe azzurro delle
favole: fuma troppo, mangia troppo e male, odia i paparazzi e la vita
pubblica. Ma nemmeno Diana, se per questo, lo è. Lei non è mai
stata la principessa delle favole: tradita, divorziata, allontanata
dai suoi due figli, criticata e condannata a non avere un finale
felice. Riprendendo una celebre intervista rilasciata, nei primi anni
'90, alla BBC, il film – all'inizio – mette a nudo le fragilità
sconosciute e la debolezza della donna, non della futura erede al
trono: una donna che, nell'omertà generale, faceva del male a sé
stessa, facendosi tagli profondi lì dove nessuno poteva vedere.
Incisiva l'immagine dei suoi occhi azzurri allo specchio, forte il
soffermarsi sulle sue calze smagliate – dopo una fuga
dall'appartamento di Hasnat -, triste il suo pianto liberatorio sui
tasti del pianoforte. Convincente la Watts, discreto Naveen Andrews,
che – invece – alle spalle ha la partecipazione a serie
televisive come Lost e Once upon in Wonderland. La storia inedita di questo suo ultimo amore, la vita di questo
chirurgo che sperava potesse aggiustare anche il suo, di cuore, è
interessante. Ma la normalità in cui è inquadrato il loro rapporto
sa, alla fine, di posticcio. E'scandita da bei momenti, ma che
rimangono i tipici momenti da film. Ho avuto l'impressione che una
vita importante dovesse essere affrontata in maniera diversa: più
importante. L'esatta ricostruzione storica, dunque, lascia il tempo
che trova e questo è il peggior difetto della pellicola. La loro
storia d'amore si apre a sprazzi di cronaca, ad articoli d'attualità,
ma che, alla fine, non fanno di Diana né un biopic, né un
sostenuto dramma. Un film d'amore a singhiozzi, altalenante. Ha la
pacatezza e il controllo inglesi, ma non ne ha il carattere forte e il
coraggio. Mostra un'unica verità, quella della protagonista, ma
nemmeno lei sa farsi perdonare i buchi nella sceneggiatura che,
purtroppo, caratterizzano soprattutto il noto epilogo. Si poteva fare
diversamente, si poteva fare meglio. Perché la Watts, per quanto
talentuosa, non può far tutto.
American Hustle è un film che attira molto la mia curiosità ma che allo stesso tempo temo di non apprezzare (sai, la famosa sindrome da "non sono tipo da film d'autore" che citavi anche tu...) Però voglio dargli e darmi una possibilità. Decisamente inserito nella Lista dei prossimi film da vedere.
RispondiEliminaPotrebbe piacerti, secondo me!
EliminaMi rifaccio viva per taggarti al Thank you TAG =P
Eliminahttp://thereadingcorner-sere.blogspot.it/2014/01/thank-you-tag.html
La vita di Adele, mi ispira, in realtà prima vorrei leggere il graphic novel e dopo mi tocca lo streaming, purtroppo l'ho scoperto tardi :(
RispondiEliminaFammi sapere come lo trovi, se riesci a recuperarlo :)
EliminaCiao, ti leggo spesso ma non ho mai commentato. Ho visto American Hustle ieri sera, e concordo con la tua opinione. Un film magistralmente diretto e superbamente interpretato. Grande prova di recitazione di tutto il cast (Amy Adams su tutti, mai così bella e sensuale).
RispondiEliminaConcordo pienamente! Alle premiazioni, farò il tifo per lei: divina :)
EliminaVoglio vedere American Hustle e Un boss in salotto...e ti consiglio di recuperare The fighter perchè solo per l'interpretazione di Bale meriterebbe di essere visto. Anche lì super trasformato, esile e strafatto di crack...
RispondiEliminaLo vedrò :)
EliminaCome già sai, La vita di Adele è il mio film dell'anno e ne hai fatto un'analisi splendida :)
RispondiEliminaAmerican Hustle, invece, mi ha convinto fin là: bravissimi gli attori, ma la durata (troppo lunga) e la regia (troppo compiaciuta) mi hanno lasciato insoddisfatta.
Ciao Lisa! Ti ringrazio per essere passata :)
EliminaIo, stranamente, non mi sono annoiato, questa volta. E io mi annoio sempre. Anche Prisoners l'ho diviso in due, per vederlo tutto quanto. Sì, sugli attori nulla da dire: ma io tifo per Cooper e la Adams, lo dico!
ciao, complimenti, davvero un bellissimo blog. Non ho ancora visto il film" la vita di Adele" e mi hai incuriosito molto...spero di riuscire a vederlo presto :)
RispondiEliminaSono una tua nuova follower. un abbraccio.
Fabiana
Ciao, Fabiana. Che piacere! Benvenuta e buona permanenza :)
EliminaAspetto il tuo pensiero sul film, allora. Ti abbraccio.
Alla prossima!
Oddio: Io "The Fighter" l'ho visto un po' di tempo fa, e... mi sa che non lo consiglierei neanche al mio peggior nemico! ;D No, no, scherzi a parte: a tanti è piaciuto, quindi magari invece potrebbe colpirti, Mik, chi lo sa... spero di sì! :D "American Hustle", ad ogni modo, DEVO tassativamente vederlo (fosse pure solo per Jennifer!! *___*) "Vita di Adele" me l'hanno consigliato in tanti (chissà come mai, proprio a me! XD) ma ancora sono un po' in dubbio. Mi fa piacere comunque leggere che tu l'abbia trovato un bel film: prima o poi dovrò pur recuperare, fosse solo pure per poter dire di averlo visto (le mie amiche danno sempre sempre per scontato che io veda sempre tutti i film con protagoniste due donne innamorate, pure quando la trama non mi ispira neanche un po'... sarà il caso di non dar loro una delusione, immagino ahaha! XD) Naomi Watts nei panni di Diana? Non lo conoscevo, interessante! :)
RispondiEliminaAmerican Hustle, invece, lo devi vedere per la Adams. Uno spettacolo!
EliminaThe Fighter anche i miei l'hanno odiato e spento a metà, se può consolarti :P
American Hustle lo vedrò prossimamente, mi incuriosisce parecchio!^^ Non ci crederai, ma mi sono ripromessa di guardare Un boss in salotto e mettere da parte le mie remore per quanto riguarda il cinema italiano, con il nuovo anno ho deciso di essere più buona...:) La vita di Adele mi lascia perplessa, ma dato che ti ha fatto una buona impressione, gli darò una chance. Diana lo escludo perchè non amo i film che parlano della vita dei personaggi famosi, mi mettono tristezza...lo so, sono stramba!:D
RispondiEliminaUn boss in salotto non è esattamente il meglio del meglio, ma fa ridere, senza essere nemmeno volgare. Un filmetto per famiglie discreto, ma più che buono per una serata da passare in relax. Poi a me la Cortellesi piace tantissimo, quindi il gioco è fatto :) Sì, anche a me rattristano, ma ti consiglio My Week with Marilyn: favoloso.
EliminaUn Boss in salotto vuole vederlo maritozzo (figuriamoci -__-) mentre io volevo leggere Il Blu è un Colore Caldo, tanto curiosaaa!!!
RispondiEliminaPasso il biopic di Lady Diana e passo 'un boss in salotto' - Voglio bene alla Cortellesi e ad Argentero, ma so che non mi piacerebbe :(
RispondiEliminaMa American Hustle. American Hustle! Hai colto tutti i meriti di questo bellissimo film. Aggiungerei solo una scena memorabile a quelle ricordate da te: il filo rosso della 'storiella di pesca'. Sono stati grandi momenti ;)
Il tuo modo di raccontare storie si conferma unico.
grazie :)